La ragnatela di Anemone e la lista che fa paura

L’inchiesta resta a Perugia. Il restroscena sul ritrovamento della lista dei “clienti” della cricca

Paolo Persichetti
Liberazione 15 maggio 2010

Mentre piovono un po’ da tutte le parti le smentite da parte di chi ha visto il proprio nome comparire nella “lista Anemone”, il promemoria ritrovato nel computer del costruttore figura centrale della “cricca” che lucrava grazie all’assegnazione di appalti concessi in deroga, vengono alla luce le circostanze che hanno portato al suo ritrovamento.
Era il 14 ottobre del 2008, e la lista di nomi più bollente d’Italia venne rinvenuta quasi per caso nel corso di un controllo fiscale di routine condotto dal commando provinciale della Guardia di finanza di Roma. In proposito esiste anche una intercettazione della segretaria, Anna, che allarmata telefonava al suo «capo» avvertendolo di quanto era successo: «Sembrerebbe, da quello che sono riuscita a vedere perché mi sono messa lì vicino con una scusa, che stampavano gli elenchi di personale vecchio, lavori, ‘ste cose qua». Sulla diffusione della lista 18 mesi dopo il suo rinvenimento, lista che sembra fosse sconosciuta alla procura di Perugia ed a quella di Roma, che ha diffuso ieri per nome del suo procuratore capo una nota nella quale afferma di non averne mai ricevuto copia (un modo per dire, «non siamo stati noi a renderla pubblica»), esistono anche dei retroscena.
Quello proposto da Franco Bechis su Libero evoca un scontro interno alla Guardia di finanza. Un regolamento di conti tra il generale Emilio Spaziante e Andrea De Gennaro, fratello dell’ex capo della polizia Gianni, rimosso poco tempo fa dalla direzione del comando provinciale della Capitale. Tra Spaziante, vicino all’ex capo del Sismi Pollari e al comandante generale Roberto Speciale (quello della guerra con Visco e delle spigole comprate con l’aereo), e Giovanni De Gennaro, capo dei Servizi interni, suo acerrimo rivale e fratello di Andrea, non sarebbe mai corso buon sangue. Da qui la vendetta contro il fratello finanziere che avrebbe innescato la reazione a catena che avrebbe portato alla diffusione della lista sugli organi di stampa.
Per nuocere a chi? Non si capisce bene. Il danno è bipartizan: nella lista ci sono decine di indirizzi pubblici e privati di ufficiali della Finanza, e sono indicati i lavori realizzati nelle caserme del corpo, al tempo stesso compaiono i nomi di Gianni De Gennaro, Antonio Manganelli e Nicola Cavaliere, come i lavori svolti per la polizia e il ministero dell’Interno. Retroscena a parte, un problema serio per la Guardia di finanza è rappresentato dalla posizione dell’ufficiale Francesco Pittorru, attualmente in forza nei Servizi, che sembra sia stato incastrato dallo stesso Anemone. I legali dell’imprenditore hanno smentito, tuttavia lo 007 pare che si sia trovato in difficoltà nel dimostrare l’origine degli assegni ricevuti dall’architetto Zampolini, al quale Anemone aveva delegato le operazioni di compravendita degli appartamenti da regalare a politici e funzionari sospettati di esser coinvolti nel sistema d’assegnazione fraudolenta degli appalti speciali. Sulle spalle di Pittorru gravano sospetti sull’origine dei due appartamenti ricevuti al centro di Roma e su tre ristrutturazioni realizzate da ditte di Anemone. Quello che viene fuori dalle inchieste in corso, sia a Perugia che a Firenze, è la ragnatela delle relazioni intessute dall’imprenditore e dal suo ispiratore, il potente gran comis dei lavori pubblici Balducci. Nel 2003, a soli 32 anni, grazie a Balducci, Anemone è proiettato nel giro delle commesse speciali. Ottiene fino al 2008 412 lavori. Grazie al Nos, il nulla osta sicurezza, ottiene tutti i pass necessari per lavorare nei ministeri sensibili: Interni, Difesa, Servizi, Presidenza del consiglio. Sotto la gestione Lunardi e Scajola, via il supertecnico Incalza, ottiene appalti come la costruzione del carcere di Sassari e i ripetuti interventi nel minorile di Casal del Marmo. Non lo ferma più nessuno. Con Bertolaso alla Protezione civile fa il botto. Ai tempi di Tangentopoli era stato coniato il termine di «corruzione ambiente». Da allora, nonostante il ciclone di Mani pulite e il presenzialismo giudiziario abbiamo mutato radicalmente il volto della politica, nulla è cambiato. Da sistemica la corruzione è divenuta molecolare. Giustizialismo e populismo hanno giovato solo a se stessi. C’è un’ambigua simbiosi che sorregge corruzione e retorica dell’anticorruzione. Intanto la sinistra ne muore. Sarebbe tempo di aprire una profonda riflessione.

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Tra i nomi anche Settembrino Nebbioso, capo di gabinetto del Guardasigilli Angelino Alfano

Paolo Persichetti
Liberazione 14 maggio 2010

La «cricca» comprava la complicità di politici, ministri e sottosegretari del governo, e di altri personaggi situati in posizioni d’influenza, offrendo interventi di ristrutturazione o addirittura regalando facoltose abitazioni, come si sospetta sia accaduto con l’appartamento, vista Colosseo, acquistato, «a sua insaputa», dall’ex ministro per lo sviluppo economico Claudio Scajola? Se questa è una nuova Tangentopoli, vuol dire che la politica si svende per un piatto di lenticchie. Almeno nella prima repubblica si finanziavano partiti e correnti. Dopo la lista delle consulenze d’oro ritrovata in casa di Mauro Della Giovampaola, il funzionario del ministero dell’Infrastrutture e coordinatore dell’Unità tecnica di missione della presidenza consiglio dei ministri,  nella quale comparivano figli di funzionari o magistrati che potevano agevolare l’attribuzione di appalti, ricompensati con incarichi a “tempo determinato”, ora è uscita fuori anche la lista dei lavori, circa 370 interventi, svolti dalle società di Anemone per esponenti del mondo della politica, di magistrati con incarichi di governo, di prelati della Curia vaticana, funzionari Rai e registi. Uno spaccato impressionante del sistema di relazioni costruito dalla «cricca». Ministeri, salotti, caserme. La lista, trovata nel 2009 dalla Guardia di finanza nel computer del costruttore, sembra che non fosse conosciuta della procura di Perugia che sta indagando sulla vicenda degli appalti straordinari per i grandi eventi. Per questo motivo i magistrati stanno valutando l’opportunità di avviare un’inchiesta. Le otto pagine che stanno facendo tremare l’establishment conterrebbe una quarantina di nomi per foglio, con indicato sulla sinistra il numero progressivo e l’anno dei lavori e sulla destra il nominativo o l’indirizzo. Ampi stralci della lista sono apparsi ieri su molti quotidiani e subito sono piovute smentite e precisazioni. In effetti il testo di per sé non prova nulla. Si tratta di un promemoria dei lavori condotti dalle ditte di proprietà di un imprenditore, certamente molto addentro alle relazioni con il mondo che conta. Saranno gli inquirenti a dover svolgere un paziente lavoro di verifica sulla regolarità degli interventi svolti. Compaiono i nomi di politici e sottosegretari, come Settembrino Nebbioso, attuale capo di gabinetto del ministro della Giustizia Angelino Alfano e a suo tempo anche dell’ex guardasigilli Roberto Castelli, che però ha subito smentito ogni coinvolgimento. Pm della procura romana, figurerebbe nella lista col diminutivo di «Rino Nebbioso». Forse si tratta di una disgraziata omonimia, certo è che nel vasto portafoglio clienti di Anemone cruciali sono gli appalti di edilizia carceraria per la costruzione del nuovo carcere di Sassari e del reparto 41 bis. Non è andata allo stesso modo per Ercole Incalza, il super funzionario del ministero delle Infrastrutture che dopo l’accusa di aver ricevuto mezzo milione di euro da uno dei membri della «cricca», l’architetto Angelo Zampolini già coinvolto nella storia degli assegni versati per l’acquisto dell’appartamento di Scajola, ha offerto le sue dimissioni. Ex amministratore dell’Alta velocità, Incalza è già finito 14 volte sotto inchiesta e pure in carcere quando lavorava con Lunardi, salvato alla fine da ripetute prescrizioni. Tra i nomi compare quello di Nicola Mancino, vicepresidente del Csm, citato per dei lavori avvenuti nella sua casa quando era ministro dell’Interno. Ci sono poi quelli dell’attuale capo della polizia Antonio Manganelli e del suo predecessore Gianni De Gennaro, oggi ai vertici dei Servizi. C’è Guido Bertolaso, nei confronti del quale sono indicati tre interventi e non uno solo, come da lui anticipato nei giorni scorsi. C’è il generale della Guardia di finanza, Francesco Pittorru, ci sono i coimputati di Anemone, Claudio Rinaldi e Mauro Della Giovanpaola. Compare l’alto funzionario Rai Giancarlo Leone, figlio dell’ex presidente della repubblica Giovanni Leone, e un paio di registi. Sembra infatti che Angelo Balducci, il potente dirigente dei lavori pubblici che calamitava gli appalti verso le ditte di Anemone, per favorire la carriera cinematografica del figlio elargisse favori a molti personaggi del cinema. La lista contiene anche riferimenti all’immensa mole di appalti ottenuti per palazzi istituzionali, ministeri, caserme, chiese e sedi politiche.

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Minzolini e Travaglio, due lati di una stessa medaglia

L’Aquila: i terremotati protestano. Contestata la rete ammiraglia della Rai. Niente più cartoline addolcite di una città ripulita all’istante dalle mortali ferite del sisma, di tendopoli ordinate e pacificate, di famigliole felici che ricevono case nuove di zecca con tanto di fiori, tendine, elettrodomestici e champagne in frigorifero. Dissolta la magia del grande circo goebbelsiano, fatto d’appalti e propaganda, messo in piedi da Guido Bertolaso, l’uomo immagine di Silvio Berlusconi

Paolo Persichetti
Liberazione
24 febbraio 2010

L’improvvisa irruzione del reale con tutte le sue rugose asperità ha squarciato lo schermo incantato sul quale scorrevano le mirabili imprese della protezione civile di Guido Bertolaso. L’incantesimo si è rotto domenica scorsa a L’Aquila. Una manifestazione di cittadini ha dissolto la magia del grande circo goebbelsiano, fatto d’appalti e propaganda, messo in piedi dall’uomo immagine di Silvio Berlusconi. Niente più cartoline addolcite di una città ripulita all’istante dalle mortali ferite del sisma, di tendopoli ordinate e pacificate, di famigliole felici che ricevono case nuove di zecca con tanto di fiori, tendine, elettrodomestici e champagne in frigorifero. Le perquisizioni del 10 febbraio e poi il diluvio d’intercettazioni finito sui quotidiani hanno dato agli abruzzesi l’immagine reale del comitato d’affari che lucrava sul sangue dei sepolti, sulla vita ridotta in polvere dei terremotati ancora senza tetto. Nella notte, mentre la terra veniva squarciata dai movimenti sussultori, alcuni imprenditori si sfregavano le mani in vista delle lucrose commesse, della manna degli appalti che sarebbero venuti dal giro degli amici, dalla banda Bertolaso. Domenica scorsa, durante la manifestazione “1000 chiavi per la città”, una troupe di Tv7 , il settimanale d’approfondimento del Tg1, guidata dalla giornalista Maria Luisa Busi, è stata accolta al grido di «Scondinzolini», dal nome del direttore Augusto Minzolini, accusato di avere diffuso un’immagine falsata del dopo terremoto. Di fronte alle colonne di macerie rimaste intatte dalle 3,32 di quel 6 aprile 2009, la Busi si è difesa dicendo di non poter «rispondere dell’informazione a livello generale che il Tg1 ha fatto nel corso di questi dieci mesi dal terremoto», aggiungendo anche che quello che ha visto all’Aquila, in questi giorni con i suoi occhi, «è molto più grave di come talvolta è stato rappresentato: migliaia di persone sono ancora in albergo, le case non bastano e la ricostruzione non è partita». Una presa di distanza molto netta dalla testata per cui lavora e che ha subito raccolto il sostegno del comitato di redazione, dell’Usigrai (sindacato dei giornalisti Rai) e dell’associazione stampa romana. Tuttavia nel corso di una riunione la redazione ha sconfessato la Busi con un documento in cui si legge che a nessuno «è consentito di offendere i giornalisti del Tg1 accusandoli di avere fatto e di fare un’informazione incompleta e faziosa». Una presa di posizione contestata da altri membri della redazione che hanno fatto trapelare una ricostruzione un po’ diversa dell’accaduto. Secondo questa versione il documento sarebbe stato messo al voto nel corso di una riunione che aveva come odg altre questioni, approfittando del fatto che buona parte dei giornalisti erano già andati via. Insomma non sarebbe interamente rappresentativo. Delle divisioni e lotte interne al Tg1 importa poco. Scriveva Guy Debord che lo spettacolo non è un insieme d’immagini ma «un rapporto sociale fra individui mediato dalle immagini». Quando però nelle immagini irrompe la realtà, grazie al protagonismo dei soggetti in carne ed ossa, il teatrino dello spettacolo entra in tilt. Ci interessa di più sottolineare questo aspetto della vicenda che sembra dimostrare come esista ancora la possibilità di una via fatta d’autonomia e azione contro la passività e l’assoggettamento al «monologo autoelogiativo che l’ordine presente tiene su se stesso». I facitori dell’opinione non amano le contraddizioni del reale, come ha dimostrato lo stesso Marco Travaglio nell’ultima puntata di Anno zero . Minzolini e Travaglio, due lati di una stessa medaglia.