Allarme terrorismo: quel vizio del “Giornale” di imbastire false notizie

Cronista del Giornale denunciato per procurato allarme. Aveva redatto un falso volantino siglato Br

Paolo Persichetti
Liberazione 27 novembre 2009

Scoperto l’autore del volantino firmato Brigate rosse giunto alla redazione genovese del Giornale nei giorni scorsi, dopo l’enorme clamore mediatico che ha accompagnato la notizia dell’arrivo nelle sedi di altri giornali e tv (Bologna, Milano e altri centri del nord), di un volantino di 4 pagine siglato Nat, Nuclei di azione territoriale. Si tratta di Francesco Guzzardi, 49 anni, un nome che da solo dice poco. Molto più interessante è invece la sua professione. Non è un operaio, non è un precario, non è uno studente. Non frequenta i centri sociali, al contrario lavora proprio nella redazione del quotidiano fatto oggetto di minacce. Si tratta, infatti, di un giornalista. Denunciato dalla digos per procurato allarme e simulazione di reato, Guzzardi ha spiegato agli agenti di aver scritto il volantino minatorio per far uscire allo scoperto una storia di minacce gravi rivolte nei suoi confronti, da parte di non meglio precisati «malavitosi e nomadi della periferia genovese», a causa di una serie di inchieste giornalistiche sulla Valbisagno. Il testo, un grossolano falso scritto a mano e con una stella a cinque punte, un logo talmente inflazionato che ormai non si nega più a nessuno, era stato messo da Guzzardi davanti alla porta della redazione. All’interno il giornalista proferiva contro se stesso frasi dal significativo contenuto politico, del tipo: «Non abbiamo ancora deciso se spaccare il culo al vostro servo». Senza percepire il benché minimo senso del ridicolo, il capo della redazione genovese dello stesso quotidiano, Lussana, nel dichiarare il proprio stupore per quanto emerso dall’indagine ha tuttavia voluto ringraziare: «lettori ed istituzioni per la solidarietà e la vicinanza espresse in questi giorni al Giornale ». La vicenda suscita ovvia ilarità. Ma il semplice sghignazzo non basta. Oltre ad osservare che il narcisismo vittimistico è ormai una delle posture più ambite nello spazio pubblico, al punto da rasentare vertigini autopersecutorie, forse vale la pena trarre qualche considerazione in più. Dopo l’arrivo del volantino dei Nat, vi è stata una rincorsa generale ad accreditare un nuovo allarme terrorismo. Una fretta fin troppo sospetta, quasi una voglia malcelata. Intervistato, il magistrato Ferdinando Pomarici ha parlato di «imitatori delle Br». Gli ha fatto eco l’ex pm Libero Mancuso, «Non è un delirio, ma un’analisi lucida». Quando il fenomeno armato esisteva e aveva radici, il suo linguaggio veniva definito «delirante», ora che è fantasmatico diventa «lucido». Nel gioco di ombre cinesi che prende per vero i fantasmi, chi accredita lo fa per darsi credito. È ormai lontana l’epoca in cui nelle redazioni, in particolare quelle di sinistra come l’Unità, una circolare interna ordinava ai giornalisti di non citare mai per esteso la firma “Brigate rosse”, preferendogli la sigla Br o la dizione bierre , accompagnata con aggettivi come «sedicenti» e «deliranti» per evitare imbarazzanti riferimeti a terminologie sulle quali, ovviamente, si voleva mantenere il monopolio assoluto evitando, anche solo attraverso la semplice evocazione di alcuni termini, riferimenti all’immaginario della storia del movimento operaio, al patrimonio memoriale della Resistenza e della lotta internazionalista. In questa rincorsa a dare per buone anche le bufole più inverosimili, il Giornale si è contraddistinto lanciando una campagna su «Milano incubatrice del nuovo terrorismo», descrivendo una situazione di «tensioni, sgomberi e arresti» e il «rischio infiltrazioni Br nei cortei». Il quotidiano di Feltri si riferiva all’arresto di alcuni militanti di un centro sociale, tra cui il figlio di Mario Ferrandi, detto «coniglio», un importante collaboratore di giustizia passato per Prima linea e altri gruppi armati milanesi degli anni 70. Di «clima avvelenato» e «soffio degli anni violenti», ha scritto anche «l’agente Betulla», al secolo Renato Farina, vice direttore del Giornale quando si scoprì la sua collaborazione con il Sismi, ed oggi firma di Libero. La sua proposta? «Lavoro repressivo, condito con analisi sulle fucine di questi pensieri» sovversivi. Farina si riferiva forse a Guzzardi?

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Populismo armato, alle radici della fraseologia dei Nuclei di azione territoriale
Nta, la sigla vuota utilizzata per lanciare intimidatori allarmi terrorismo
Progetto memoria, Le parole scritte
Annamaria Mantini
Roberto Maroni: Nat, analogie con vecchie Br

Italia a un soffio dagli anni violenti

Tira brutta aria per due motivi: l’attacco alla democrazia nel nome dei «puri» ideali extra-parlamentari e la perdita di identità dell’opposizione che ricorre a media e magistratura per non essere scavalcata

Renato Farina
Il Giornale 18 novembre 2009

C’è una brutta novità nelle solite baruffe autunnali riguardanti scuole e atenei: il bagliore contemporaneo del terrorismo, ancora cartaceo, ma vero, reale, rosso. È un pericolo grave, e lo è tanto più se lo si sottovaluta. Per questo il ministro Roberto Maroni si dice preoccupato. Non è un modo di dire, c’è sostanza. Si sta parlando qui dei nessi tra i fatti di ieri – con cortei dappertutto, ma tensioni e scontri provocati ad arte, con particolare cattiveria, a Milano e a Torino – e la ripresa dell’idea di «lotta armata» timbrata dalla stella a cinque punte brigatista. Gli scioperi e le manifestazioni degli studenti in Italia sono ciclici, ma più stabili delle stagioni non risentono dei mutamenti del clima. Da metà novembre al 20 dicembre dalle Alpi alla Sicilia si celebrano, insensibili all’effetto serra al punto che andrebbero studiati dagli ambientalisti, i casini di licei, istituti tecnici e università. Ogni pretesto è buono. Vanno di moda gli anni ’70, dei quali si ripetono gli slogan. Questa volta oggetto di sdegno è il mancato rispetto del diritto allo studio e la presunta privatizzazione di scuole e atenei. Una privatizzazione che non c’è, ma se non c’è la si inventa: serve a catturare asini da corteo. Non solo asini purtroppo, perché accanto alla massa, piuttosto inerte, c’erano i mestatori. Partiti dai centri sociali, specialmente a Milano, manipoli di «antagonisti» si sono organizzati in commando. Ci sono state incursioni violente negli uffici comunali, non ci sono stati episodi con feriti, per fortuna. Ma c’era qualcosa di acre, di cattivo. Non è stato un rito barbarico ma alla fine sotto controllo, con le mosse preventivate come nel wrestling: accadeva così negli anni ’90, allorché centri sociali e polizia si accordavano tacitamente per una sorta di mimica senza troppi danni né paure dei passanti. Ieri è stato diverso. Le forze dell’ordine non si aspettavano un corteo pazzo, e in realtà ben mirato, e colpisce non ci siano state informazioni in grado di percepire quanto stava accadendo. Una brutta storia.
A questi fatti apparentemente veniali va messo accanto il documento inoltrato ad alcuni mass media, tra cui proprio il Giornale, dove in quattro pagine fanno la loro comparsa i Nat (Nuclei Armati Territoriali). Maroni ha rilevato ieri come questi fogli non siano affatto da prendere come acqua di rose scherzosi o velleitari. Sono aperitivo di qualcosa di serio. Il linguaggio e i simboli ricalcano le Brigate rosse in certi passi, come pure il riferimento a due loro «eroi» morti negli anni ’70. Ma l’analisi del linguaggio di questi terroristi del Terzo Millennio mostra un distacco dalla sintassi legnosa dei vecchi arnesi marx-leninisti, c’è un piglio post-ideologico, una specie di insurrezionalismo elettronico e un vocabolario da blog grillino. Dice Maroni: «Sono segnali seri, che stiamo valutando. Il volantino ha forti analogie con le Br, ma anche differenze importanti, che ci fanno però ritenere che non sia frutto della mente di un matto, ma che ci sia qualcosa da approfondire». Prudenza come si vede. Ma anche per la prima volta il ministro degli Interni non esita a collegare il rigurgito di terrorismo nostrano con quello islamico, come chi scrive ha evidenziato sin dal 2001, dopo i fatti di Genova e dopo che con una fatwa del febbraio 2003 Osama Bin Laden ha raccomandato ai suoi seguaci di allearsi momentaneamente anche con «gli infedeli» nemici però dell’America e dei governi ad essa alleati.
Maroni è stato chiaro: «Stiamo seguendo questo fenomeno (1. il sorgere dei Nat), anche in collegamento con altri fenomeni, come certi fermenti dell’area antagonista (2. espressisi ieri a Milano negli scontri dove sono stati fermati quattro manifestanti) e (3) soprattutto l’eventuale possibile rapporto con il radicalismo islamico. L’area di Milano e della Lombardia è dove si sono radicati i fenomeni di terrorismo, dove si stanno sviluppando sempre di più. A Milano c’è stato il primo caso di kamikaze in Italia. Purtroppo si concentrano tutti qui. L’attenzione è massima». Chiaro, che più chiaro non si può. La questione è: perché. Quanto all’islam e ad Al Qaida, non c’è bisogno di ripeterlo: tutto fa brodo per cuocervi gli infedeli. Ma il risorgere del terrorismo nostrano, in coincidenza con la ripresa di forme di protesta violenta da parte di settori già usi alla guerriglia urbana, va studiato, oltre che combattuto sul campo della repressione. Nasce per due ordini di ragioni. 1) L’attacco alla democrazia in quanto tale in nome della purezza di ideali extra-parlamentari; ed è ciò cui assistiamo da mesi, da anni, ad opera di magistratura, poteri finanziari ed editoriali. La semina di calunnie contro il governo e soprattutto il suo leader fatto passare per dittatore; 2) la perdita di identità democratica dell’opposizione, costretta a rincorrere i poteri mediatici, giudiziari e finanziari di cui sopra per non essere scavalcata. Rimedi? Uno è già stato accennato: lavoro repressivo, condito con analisi sulle fucine di questi pensieri. Il secondo è una alleanza senza pateracchi o inciuci tra coloro che credono nella democrazia, nella convivenza pacifica e nella sovranità del popolo. La sinistra e certo centrodestra complottando la smettano di tagliare il ramo su cui tutti siamo seduti. Si rimedi a questo golpe giudiziario con il buon senso, e questo vale anche per le cariche istituzionali. Si prosciughi così l’acqua dove gli alligatori sguazzano, siano essi rossi o islamici.
Intanto, con le stesse formule verbali e di pensiero di circa 40 anni fa, si sostiene che il terrorismo sia invenzione del governo. Basta leggere i commenti lasciati sui siti di Corriere.it e di Repubblica.it alla notizia dei volantini dei Nat. Uno scrive: «Evidentemente i nostri governanti sventolano lo spauracchio del terrorismo con l’intento di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dai problemi veri». Un altro: «E adesso si sono inventati la novità del terrorismo! Così si parla sempre meno delle porcate e delle porcherie di questo governo». Mancano solo le «sedicenti» Brigate rosse e poi siamo giusto a un centimetro dagli Anni di Piombo.

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La lotta fantas(r)mata: alle radici della fraseologia dei Nuclei di azione territoriale

Il documento di fondazione del populismo armato

La fraseologia dei Nat ha come pantheon ideologico la letteratura giornalistica del populismo giustizialista, da Nanni Moretti a Beppe Grillo, da Marco Travaglio a Roberto Saviano. Ma agli imprenditori dell’emergenza del Viminale fa comodo diffondere un’altra versione che parla della presenza di analogie con la lotta armata degli anni 70, con le “vecchie Br”

Paolo Persichetti, 17 novembre 2009

Di cultura brigatista, nel documento che in calce porta la firma dei Nuclei di azione territoriale, inviato in questi giorni alle redazioni locali di alcuni giornali e tv, non c’è nulla. L’unico riferimento agli anni 70 è il richiamo alla memoria di Luca e Annamaria Mantini, militanti dei Nap trucidati dalla polizia a cavallo tra il 1974 e il 1975.
Eppure media e Viminale, per voce del ministro Roberto Maroni, hanno subito evocato «analogie con le vecchie Brigate rosse». La fretta con la quale gli apparati antiterrorismo accreditano la fondatezza di queste episodi è sospetta. Ricorda molto da vicino quanto Howard Becker spiegò in un libro divenuto un classico della sociologia, Outsiders. Gli apparati repressivi hanno tendenza a costruire e perennizzare il fenomeno considerato deviante che ne ha giustificato la creazione. A tale proposito Becker impiegava la nozione di «imprenditori», con riferimento agli «imprenditori morali», un complesso di enti specifici, associazioni, media e apparati, come fu per la creazione negli Usa di un ufficio centrale antinarcotici, che sul finire degli anni 20 costruirono, attraverso campagne specifiche di allarme sociale, il proibizionismo contro l’uso delle droghe leggere fino a quel momento considerato lecito. Becker osservò come la burocrazia repressiva messa in piedi smise presto di operare  come un apparato di contrasto al fenomeno ritenuto illecito, ma iniziò ad agire in modo creativo inglobando altri comportamenti nell’ambito della propria sfera di competenza.
Prendendo spunto da questo concetto si può parlare oggi della presenza sulla scena politico-sociale di un potente apparato di imprenditori dell’emergenza che hanno come specifico interesse quello di costruire in permanenza allarmi antiterrorismo, alimentando il fantasma della lotta armata e allargando a dismisura la griglia interpretativa dei fenomeni sociali da far rientrare all’interno di questa definizione.
Attenzione: non si tratta dell’ennesima versione delle teorie del complotto ma di una lettura stravolta dei fenomeni sociali.
Non sappiamo ancora se dietro la sigla Nat si celi qualcosa di veramente genuino, ovvero la presenza reale di nuclei territoriali in alcune città del nord Italia, come annunciato nel testo. Il precedente della sigla Nta (Nuclei territoriali antimperalisti), consiglia estrema prudenza.
Tuttavia, se la loro veridicità trovasse conferma saremmo di fronte a un fenomeno ancora più sconcertante. Va detto, infatti, che nella prosa utilizzata e nell’analisi proposta si scorge una lettura socio-politica della realtà italiana quanto mai sprovveduta, un impiego di termini banali, un linguaggio che rinvia più alle tematiche girotondine e giustizialiste presenti in blog come quello di Beppe Grillo o negli articoli di Roberto Saviano e Marco Travaglio, che alla conoscenza di Karl Marx.
Un guazzabuglio populista con fraseologia armata più che «lotta armata per il comunismo».

 

Uno stralcio del testo
«Lo scopo primo ed immediato di questo REGIME – è scritto in uno dei passi nel documento – è lo stravolgimento della costituzione nata dalla Resistenza e dalla lotta al fascismo e per una società più giusta. Destra e PD vogliono annacquare l’antifascismo e trasformare il 25 aprile e la resistenza da momento fondativi della Repubblica a festa nazionale di pacificazione in cui i partigiani ed i boia fascisti siano pari».

Nessun analista del Viminale, posto che ne abbia le capacità e non sia in malafede (i frequenti e clamorosi svarioni presenti nelle loro analisi, riportate dalla stampa, lasciano spesso supporre il contrario), potrà mai sostenere, testi alla mano, che nella letteratura delle Organizazzioni comuniste combattenti (Pl, Br, fino al 1989, e alle altre formazioni minori) fosse presente un apparato concettuale del genere, nel quale si propone una difesa dello spirito originario della costituzione fondato sui valori dell’antifascismo…

D’altronde leggendo un passo del genere sorge spontanea la domanda: ma se gli obiettivi annunciati sono talmente minimi, ben al di qua di qualsiasi proposito riformista o revisionista, limitandosi a difendere la costituzione e più genericamente gli spazi democratici e alcuni diritti sociali e civili calpestati, per quale ragione bisognerebbe operare nella clandestinità? Una strategia del genere ha poco senso, risulta assolutamente illogica, un vero regalo all’avversario. Si fa molta fatica ad accreditare, se non strumentalmente, valenza politica a simili discorsi.

La letteratura politica delle formazioni armate di sinistra (si consiglia ai più giovani la lettura dell’antologia, Le parole scritte. Progetto memoria, terzo volume, edizioni sensibili alle foglie) conteneva una critica durissima della politica e della forma Stato, che inglobava ovviamente un rigetto del patto costituzionale. Per non parlare dell’antifascismo, considerato dalle Br, come dalle fornazioni di cultura operaista in particolare, un diversivo, una contraddizione minore rispetto a quella principale, individuata nel conflitto capitale-lavoro per come si manifestava negli anni 70 e nella critica radicale alla società capitalista.

Siamo in presenza, dunque, di un fenomeno diverso. Per ora limitiamoci a dire questo in attesa di una conferma della reale consistenza di questa sigla e non di un’operazione di intossicazione politica. Il linguaggio abborracciato, l’insistenza sulla territorialità, il carattere localistico, potrebbero far pensare anche all’azione di spezzoni di osservanza leghista dei servizi ad uso e consumo del ministro degli Interni. Basta leggere le conclusioni dell’analisi di Renato Farina (l’agente “Betulla” che collaborava con l’officina del Sismi diretta da Pio Pompa), proposta sul Giornale del 18 novembre 2009: «Lavoro repressivo, condito con analisi sulle fucine di questi pensieri» per fare tabula rasa di tutte le realtà antagoniste, non allineate. Disturbano i cortei degli studenti contro la riforma Gelmini, le azioni operaie delle fabbriche in crisi. Disturba qualsiasi voce di dissenso.

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TERRORISMO: MARONI, NEl VOLANTINO ANALOGIE CON VECCHIE BR/ANSA

TERRORISMO:MARONI, NEL VOLANTINO ANALOGIE CON VECCHIE BR/ANSA
POL S42 S0A QBXH TERRORISMO:MARONI, IN VOLANTINO ANALOGIE CON VECCHIE BR/ANSA VALUTIAMO ANCHE POSSIBILI CONTATTI CON IL RADICALISMO ISLAMICO (ANSA)

 

– MILANO, 17 NOV – I Nuclei di azione territoriale (Nat), che in questi giorni hanno inviato volantini alle redazioni di alcuni giornali con proclami che invitano alla lotta armata, non devono essere sottovalutati perchè le analogie con le vecchie Brigate Rosse sono troppo evidenti. L’allarme è stata lanciato dal ministro dell’Interno Roberto Maroni il quale ha escluso il gesto di un matto e ha anzi sottolineato come l’attenzione sia rivolta oltre che all’area antagonista anche a possibili contatti con l’integralismo islamico. Dopo il primo volantino Maroni non aveva esitato a parlare di analogie con le Brigate Rosse da parte del gruppo del quale si conosce ancora poco, se non che ha cellule radicate a Bologna, Milano, Torino, Lecco e Bergamo. «Il volantino – ha spiegato il ministro dell’Interno – ha forti analogie con le Br ma anche differenze importanti, che ci fanno però ritenere non sia frutto della mente di un matto». L’attenzione, quindi, è ai massimi livelli. E dopo la procura di Bologna, anche quella di Milano si muove: la Digos ha infatti trasmesso un rapporto in vista dell’apertura di un’inchiesta che verrà affidata al pool antiterrorismo coordinato dal procuratore aggiunto Armando Spataro. Nel volantino non sono indicati direttamente obiettivi specifici: i Nat accusano Confindustria, i partiti politici (il Pd e il Centrodestra) ma anche giornali e giornalisti che, in quanto «servi del regime, hanno dimostrato di saper intendere come unico linguaggio quello delle armi». «Per le persone alle quali si fa riferimento – ha assicurato Maroni – l’attenzione sarà aumentata. Più in generale, stiamo seguendo questo fenomeno anche in collegamento con altri che abbiamo già seguito, soprattutto nell’area antagonista». Secondo gli analisti del Viminale, il volantino si può considerare come una sorta di ‘risoluzione strategicà che ripropone, da un lato, temi ed obiettivi propri degli anarco-insurrezionalisti; dall’altro, sembra una chiamata alle armi tipica delle Br. Tutta da verificare, comunque, l’esistenza dei cinque nuclei che, si legge nel documento, sarebbero già attivi in altrettante città italiane. Per il ministro, però, il pericolo è molto più esteso soprattutto dopo l’attentato alla caserma ‘Santa Barbarà di Milano, dove un kamikaze ha fatto esplodere un ordigno rimanendo gravemente ferito. «Stiamo valutando – ha precisato Maroni – i possibili rapporti, anche quello eventuale con il radicalismo islamico». E a Milano l’allarme sembra più alto che altrove, non solo perchè è radicata una cellula dei Nat e perchè forte appare l’area antagonista ma anche perchè all’interno del mondo islamico, da sempre, è stata registrata una certa inquietudine. «L’area di Milano e della Lombardia – ha spiegato Maroni – è dove si sono radicati questi fenomeni. A Milano c’è stato il primo caso di kamikaze in Italia. Purtroppo si concentrano tutti qui e per questo l’attenzione è massima». Del rischio terrorismo Maroni ha parlato oggi al Viminale con la sua collega svizzera, Evelyne Widmer Schlumpf. «Proprio perchè questi elementi di rinascita dell’attività del terrorismo politico e del fondamentalismo islamico – ha osservato – sono segnalati in prossimità del confine svizzero, ho chiesto un rafforzamento dello scambio di informazioni tra i due Paesi per contrastare questo fenomeno che sta riprendendo piede».(ANSA). BAB 17-NOV-09 18:42 NNN
FINE DISPACCIO

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Populismo armato, alle radici della fraseologia dei Nuclei di azione territoriale
Nta, la sigla vuota utilizzata per lanciare intimidatori allarmi terrorismo
Progetto memoria, Le parole scritte
Annamaria Mantini
Roberto Maroni: Nat, analogie con vecchie Br