
Antonio Savino è un ex operaio Fiat e vecchio compagno di militanza di Lauro Azzolini all’interno della colonna Walter Alasia delle Brigate rosse, arrestato anch’egli nella operazione del 1 ottobre 1978 che decapitò la colonna milanese. Quarantacinque anni dopo, la mattina del 17 marzo 2023, era presente in casa di Azzolini quando questi veniva sottoposto a intercettazione da parte della procura di Torino, nell’ambito della nuova inchiesta sulla sparatoria alla cascina Spiotta del 5 giugno 1975 e che ha portato all’apertura di un nuovo processo davanti la corte d’assise di Alessandria. Savino smentisce categoricamente che nel corso della conversazione captata Azzolini si sia mai riferito a persona diversa da Valerio Morucci.
L’intercettazione del 17 marzo 2023
Una informativa del Ros di Torino del 21 marzo 2023 riporta stralci delle conversazioni tra i due, intercettate tramite captatore inoculato nel telefonino di Azzolini. L’attività investigativa e l’intercettazione ambientale realizzata quella mattina è stata dichiarata illegittima dalla corte d’assise nell’ultima udienza dell’11 marzo scorso. I giudici hanno riconosciuto che tutte le sue conversazioni captate dal 14 febbraio al 15 maggio 2023 erano illegali perché avvenute quando ancora il gip non si era pronunciato sulla riapertura delle nuove indagini. Un riconoscimento limitato e tardivo dell’abuso, ma pur sempre significativo poiché ha aperto scorci inquietanti sulle forzature realizzate nel corso dell’indagine. L’intercettazione aveva attirato l’attenzione dei carabinieri perché nel corso del dialogo con Savino, Azzolini lasciava intendere di aver preso parte allo scontro a fuoco del 5 giugno 1975. Ma la ragione per cui l’informativa è stata ripresa su alcuni giornali è un’altra: secondo i carabinieri Azzolini rivelava la presenza in via Fani di un nome nuovo mai implicato nelle indagini sul sequestro Moro.
La crisi di coscienza di Bonisoli
Come scrivono gli stessi estensori dell’informativa, l’audio è pessimo. Le voci sono disturbate dal volume della televisione e spesso giungono deformate oltre al fatto che in alcuni momenti Azzolini sussurra le sue frasi e il suo racconto è infarcito di anacoluti. I due stanno rievocando alcuni episodi della loro passata militanza nella lotta armata. In particolare Azzolini evoca alcune rapine di autofinanziamento condotte dalle Brigate rosse dopo i fatti della Spiotta, in una delle quali ci fu un ferito tra i brigatisti e un’altra dove venne catturata Paola Besuschio, a causa di una incertezza commessa – si racconta sempre nell’audio – da «Franco». Franco sarebbe Franco Bonisoli di cui Azzolini sta accennando le ragioni del tormento interiore che hanno poi suscitato una sua successiva «crisi» di coscienza. Bonisoli si sarebbe recato a casa di Azzolini per confidarsi, siamo al minuto 1,33 dell’audio. Stiamo parlando – come si evince dalla logica del temporale del racconto – di un periodo successivo all’arresto di Besuschio, avvenuto ad Altopascio, una località della Toscana, il 30 settembre 1975, e dell’azione di via Fani, a cui lo stesso Bonisoli aveva partecipato. A tormentare Bonisoli è la morte dell’agente di polizia Raffaele Iozzino, con cui aveva avuto uno scambio a fuoco. Iozzino è l’unico poliziotto della scorta di Moro che è riuscito a rispondere al tiro dei brigatisti prima di essere ucciso.
Morucci, Gallinari e Fiore in via Fani
L’inciso pronunciato immediatamente dopo la frase; «poi dopo viene a casa… eh!», ovvero: «Matteo era così», riferito a Morucci, più volte citato nell’audio, che aveva come nome di battaglia «Matteo», è un’anticipazione di quel che Azzolini dirà poco dopo sul ruolo centrale avuto da Valerio Morucci nell’azione di via Fani. Linguisticamente parlando si tratta di una catafora. Al minuto 1,44 riporta invece le parole di Bonisoli: «dice “ma dopo mi ha tirato ho fatto cosi …(inc.)… quello che la stava scappando ho preso ma quando…”». Frase che fotografa un momento cruciale di quel che avvenne in via Fani: la reazione di Iozzino che esplose dei colpi in direzione di Bonisoli e la replica di quest’ultimo. Circostanza che per altro si dimostra una ulteriore smentita intrinseca delle teorie dietrologiche sul tiratore da destra. Il passaggio che ci interessa avviene al minuto 1,47, quando Azzolini sta ancora parlando del comportamento di Morucci. Il sonoro restituisce un nome, «è stato Moroni… a dire a …(inc.)…», nome che appare per la prima e unica volta in tutta l’intercettazione. La logica del discorso appena avviato e quanto verrà detto poco più avanti fanno intuire che la persona indicata per errore col nome di Moroni era, in realtà, Morucci. Intuibile è il riferimento alla sua testimonianza: «Va bene i compagni…… Gallo… e Fiore a un certo punto si inceppano… si inceppano… non c’avevano le pistole …(parole inc.) le pistole Dio can. Morucci cazzo… che era uno che sapeva usarlo… quando ha visto i compagni a terra ha cominciato a spazzolare anche dalle altre parti». «Gallo» era Prospero Gallinari, «Fiore», Raffaelle Fiore, membro della colonna torinese sceso per sostenere, insieme a Franco Bonisoli, i componenti romani della brigata della «Contro» che organizzarono il sequestro e presero parte all’assalto di via Fani. Azzolini, non c’era quel 16 marzo 1978, questo spiega alcune inesattezze presenti nel suo racconto: tutti i membri del commando avevano la loro pistola personale, sia Gallinari che Bonisoli la utilizzarono come hanno provato le stesse perizie balistiche.
La forzatura interpretativa
«Moroni» non corrisponde ad alcun nome presente nelle Brigate rosse. I carabinieri per risolvere l’enigma si sono abbandonati a una forzatura interpretativa decidendo di attribuirlo a Giorgio Moroni. Una scelta che ha una logica facilmente decifrabile e che nulla c’entra con via Fani. Con Giorgio Moroni i carabinieri di Dalla Chiesa, di cui i Ros sono l’attuale eredità info-investigativa, hanno avuto in passato un grosso contenzioso. Lo scrivono loro stessi in una nota a margine dell’informativa, dove spiegano che «Nel 1978, Moroni, allora militante di Autonomia Operaia, viene perquisito per il sequestro Moro e arrestato con l’accusa di partecipazione a banda armata poiché aveva in casa per la rivista che coordinava (“Nulla da perdere”) il comunicato di un gruppo armato che rivendicava un attentato dinamitardo alla Borsa valori […]». Assolto nel giugno del 1980, intraprende nel 1986 una controinchiesta che lo porta a rintracciare – prosegue la nota – la ragazza che aveva fatto i loro nomi e questa spiega di essere stata obbligata dai carabinieri ad accusarli. Moroni chiede «la revisione e la corte di appello di Genova la concede, il processo di revisione si svolge a Genova, tra il ’92 e il ’93. La revisione viene accolta e il 10 novembre 1994 Giorgio Moroni insieme agli altri viene risarcito per “errore giudiziario”».
Misnaming
L’errore commesso da Azzolini ha un nome preciso, gli studi di neuroscienze lo definiscono «misnaming». Ovvero confondere i nomi delle persone quando si parla. Si tratta di un fenomeno diffuso che non riguarda solo le persone anziane. Avviene soprattutto se c’è una similitudine fonetica o una medesima radice nelle parole, come «mor» nel caso di Morucci-Moroni. Le frasi troncate, a volte biascicate di Azzolini, necessitano di un particolare sforzo di comprensione logica e contestualizzazione storica che gli estensori dell’informativa hanno evitato. L’attore principale che agisce nel racconto è uno: Valerio Morucci. Giorgio Moroni, oltre a non essere mai stato un brigatista, è noto per aver sostenuto all’epoca tesi molto avverse alle Brigate rosse.
Le smentite
Abbiamo chiesto più volte ad Azzolini un chiarimento sulle sue parole. Allora, come oggi, preferisce non replicare pubblicamente e attenersi alla linea difensiva decisa dal suo avvocato, convinto che sia negativo commentare intercettazioni giudiziariamente illegali. Tuttavia se l’intercettazione non può essere utilizzata contro Azzolini nel processo, resta in piedi per i suoi interlocutori e le trascrizioni rimangono intatte nel fascicolo. Una finzione giuridica che non cambia la sostanza del problema e non impedisce di agire nella mente dei giudici. Situazione che vale ancor di più all’esterno dell’aula processuale: sui giornali e i social che l’hanno già ampiamente diffusa e commentata. E se una intercettazione oltre ad essere illegale possiede anche un contenuto infondato appare un crimine non confutarla. Forse è per questo che i gesti, la mimica e il tono della voce con cui Azzolini ci risponde, dicono lo stesso molte cose e si comprende chiaramente cosa pensi della strumentalizzazione che viene fatta delle sue parole. Ma se Azzolini è in qualche modo vincolato dalla sua posizione processuale, il suo interlocutore Antonio Savino smentisce categoricamente chi trova in quella intercettazione una rivelazione che non c’è. La conversazione su via Fani – spiega – è iniziata dopo aver commentato quanto era accaduto il giorno prima, quando: «un gruppo di giovani aveva organizzato eventi nelle campagne del Piemonte sul sequestro Moro, un centinaio di partecipanti che si erano divisi a metà tra guardie e ladri». Savino stigmatizza inoltre che «si voglia a tutti i costi tirare in ballo persone che (come hanno testimoniato anche i pentiti) nulla hanno a che fare con via Fani. Parlo di “Moroni” in guisa di “Morucci”. Purtroppo la scarsa professionalità, il protagonismo, rischiano di coinvolgere innocenti in procedimenti che come minimo risultano dispendiosi per il coinvolto ingiustamente».
Lo strascico giudiziario
La vicenda ha avuto anche un seguito giudiziario. Giorgio Moroni ha citato in giudizio l’autrice dell’articolo apparso sul Fatto quotidiano il 14 marzo del 2024, a giugno si aprirà il processo (qui gli sviluppi della vicenda). Chi si occupa di inchieste giudiziarie sa benissimo che le trascrizioni di intercettazioni vanno prese con molta cautela invece di limitarsi a ricalcare le veline ricevute da mano amica senza gli opportuni approfondimenti. Per altro se la stessa procura di Torino non ha inviato nulla a quella romana, qualche dubbio sulla fondatezza di quel nome deve esserci stato tra gli inquirenti. La presunta rivelazione è stata invece ripresa dall’avvocato Walter Biscotti che il 16 marzo scorso, in occasione del quarantasettesimo anniversario dal rapimento Moro, ha annunciato di voler chiedere alla procura di Roma di effettuare verifiche sul contenuto della intercettazione. L’avvocato Biscotti è stato estromesso dal nuovo processo di Alessandria perché l’associazione vittimaria da lui rappresentata non possedeva i titoli legali per potervi partecipare, poiché costituita solo dopo i fatti oggetto del giudizio. Messo fuori dalla porta principale sta cercando di rientrarvi cavalcando bufale mediatiche.

