Miseria della storia: quel cialtrone di Aldo Giannuli 1/continua

di Paolo Persichetti

Prima di ottenere una cattedra di storia del mondo contemporaneo presso la facoltà di scienze politiche dell’università statale di Milano, Aldo Giannuli è stato per lunghi anni consulente, anzi il consulente, di numerose procure. Come questo ricercatore dell’università di Bari, ancora senza grandi titoli, sia arrivato a lavorare almeno per due decenni, inizialmente per la procura di Bari, poi per quella di Milano nell’ambito delle indagini sulla strage di piazza Fontana, quindi a Pavia e Brescia (strage di piazza della Loggia), per approdare al famoso “porto delle nebbie”, come era chiamata la procura di Roma, infine a Palermo dove si è occupato addirittura di mafia senza ovviamente lasciarsi sfuggire le consulenze per diverse legislature (dal 1994 al 2001) nelle commissioni parlamentari sul terrorismo e le stragi, nonché alla Mitrokhin, è una domanda che incuriosisce molto.

Nato nel 1952, la sua biografia accenna a giovanili collaborazioni con il Quotidiano dei lavoratori, organo di Avanguardia operaia, ad un libro sulle origini del movimento trotzkijsta, pubblicato nel 1983, quando aveva 31 anni, da Adriatica editrice; doppiato cinque anni più tardi con un volume sul Sessantotto e la stagione dei movimenti (1960-1979), uscito per le Edizioni associate. Opere del tutto anonime che non hanno impresso alcun segno, suscitato polemica, aperto nuovi orizzonti interpretativi. Nonostante ciò Giannuli diventa il cocco delle procure, riceve incarichi importanti come quello di fare ricerche negli archivi di Stato, della Presidenza del consiglio, del ministero dell’Interno, della Guardia di finanza, del Sismi, del Sisde, dell’ufficio storico dello Stato maggiore dell’esercito, dei tribunali e delle questure di Roma e Milano. In totale arriverà a redigere una cinquantina di relazioni. Quali meriti scientifici o titoli di altra natura gli abbiano garantito una così ampia fiducia e una così lunga cooptazione negli ambienti giudiziari e nelle commissioni parlamentari non è di dominio pubblico. Tuttavia queste attività gli hanno consentito di accreditarsi come un profondissimo conoscitore della storia delle trame eversive e dei Servizi e di produrre una discreta mole di pubblicazioni e libri di stampo dietrologico-complottistico sulla materia, il più famoso dei quali resta Lo Stato parallelo. L’Italia «oscura» nei documenti e nelle relazioni della Commissione stragi, del 1997 uscito da Gamberetti editore, scritto insieme a Paolo Cucchiarelli.

Erano gli anni in cui andava molto di moda la teoria del «doppio Stato», coniata in un saggio del 1989 da Franco De Felice (“Doppia lealtà e doppio Stato”, Studi storici 3/1989). Una formula molto azzardata ripresa fuor di contesto dai lavori del costituzionalista Ernst Fraenkel che in un libro del 1942 aveva definito «Stato duale» la particolare situazione in cui vennero a trovarsi la costituzione di Weimar e lo statuto albertino. Ordinamenti mai aboliti dal nazismo e dal fascismo, una volta saliti al potere, ma disattivati grazie al potere di sospensione proprio dello stato d’eccezione e affiancati da una seconda struttura statuale, parallela alla prima. Da bravo parassita concettuale, Giannuli si accodò a questa moda intellettuale senza grande successo perché l’aporia di quella formula non resse al tempo, svanendo come tutte le altre fantasmagorie dietrologiche.

Nel corso delle sue ricerche d’archivio Giannuli incappò in una scoperta dovuta, come lui stesso racconta, ad un suo collaboratore: un poliziotto abituato ad orientarsi senza difficoltà tra le scartoffie impolverite del ministero dell’Interno. Questo investigatore-archivista nel novembre 1996 trovò, abbandonati all’interno di alcuni scatoloni lasciati in un archivio distaccato del ministero dell’Interno situato sulla circonvallazione Appia, una gran quantità di documenti non catalogati dell’Ufficio Affari riservati. Dall’analisi di quelle carte venne fuori un nota riservata redatta da un certo Alberto Grisolia, un confidente del nucleo milanese dell’Ufficio affari riservati, che faceva riferimento all’esistenza di un «noto servizio». Da questa scoperta scaturirà un nuovo tormentone destinato a mettere in soffitta la narrazione complottistica costruita attorno alla vicenda Gladio per sostituirla con l’esistenza di un super Sid, una struttura informale, senza nome, definita appunto «noto servizio» oppure denominata «anello».

Struttura parallela o semplice corrente tra le tante presenti nei Servizi? Conventicola traghettata in origine da alcune sezioni del Sim di epoca fascista di Mario Roatta, che passando per l’intelligence confindustriale approda alla neonata Repubblica per poi legarsi ad una delle tanti correnti democristiane di quegli anni? O «“funzione esterna” del servizio militare» come ipotizza lo stesso Giannuli?

Col passar dei decenni questa struttura sarebbe diventata, a detta di Giannuli, uno strumento della politica occulta di Giulio Andreotti ed avrebbe agito, nell’unico caso veramente accertato, per far fuggire dall’ospedale militare del Celio ed esfiltrare dall’Italia il criminale nazista Kappler, in cambio del sostegno tedesco alla disastrata situazione di crisi economica dell’Italia in pieno 1977, si badi bene – afferma Giannuli – operazione realizzata grazie al clima di solidarietà nazionale del periodo.

Il suo apparato, stando ancora alla descrizione che ne offre Giannuli, vantava figure sempre in bilico tra mitomania, millanteria, raggiri, truffaldineria altamente professionale e servigi sporchi, dove non c’è mai un confine chiaro tra tornaconto personale, affarismo privato e fedeltà alla ragion di Stato… Insomma un universo infido, scivoloso, che impone infinite precauzioni d’uso, dove la scoperta di un documento di per sè non prova nulla o forse il suo esatto contrario, in un mondo che per definizione si regge sulla falsificazione e la contraffazione-intossicazione.

Da questa scoperta Giannuli trae il suo ultimo libro, Il noto servizio, Giulio Andreotti e il caso Moro, Tropea editore 2011, che secondo la tesi dell’autore riscrive la recente storia d’Italia; l’ennesima riscrittura dietrologica, aggiungiamo noi. Nel volume Giannuli annuncia anche di prendere definitivamente congedo dalla storia delle trame eversive degli anni 70. Notizia che non renderà certo orfani gli studiosi di quel decennio.

Il libro non è all’altezza delle promesse per ragioni di metodo, presenta infatti un apparato concettuale avvizzito dal paradigma complottista che restringe sistematicamente ogni possibile sviluppo interpretativo dei fatti. Inevitabilmente alla fine il volume non approda, come spesso accade nella letturatura dietrologica, ad una definizione assertiva del fatto storico. L’autore non ne è in grado e supplisce questa sua debolezza dilungandosi in un mare di illazioni che moltiplicano confusamente e contraddittoriamente scenari, suggestioni, ipotesi, allusioni, sospetti, veleni…

Forse in un modo eccessivamente sarcastico, ma non lontano dal vero, in passato avevo così descritto (qui) questo proliferare concorrenziale di narrazioni dietrologiche sulla presenza in Italia di molteplici “doppi Stati”:

«Come spiegare allora il fatto che un giovane sostituto procuratore di nome Luciano Violante, destinato ad una carriera d’esponente storico del primo Stato (quello che la vulgata dietrologica ritiene buono), interviene su informativa del ministro degli interni democristiano Paolo Emilio Taviani, medaglia d’oro della Resistenza bianca, fondatore di Gladio insieme ad Aldo Moro, dunque entrambi esponenti del secondo Stato (quello deviato), per indagare contro Edgardo Sogno, membro a questo punto di un terzo Stato (deviato e traviato), che tramava un golpe gollista di ristrutturazione autoritaria della Repubblica, nel mentre operava attraverso i carabinieri della divisione Pastrengo un quarto Stato (deviatissimo) in combutta col Mar del neofascista Carlo Fumagalli, le bombe stragiste, le cellule nere del Triveneto, il tutto in presenza del «noto servizo» o «super Sid», scoperto da Aldo Giannuli per conto del giudice Guido Salvini, che forse era dunque un quinto Stato (ancora più che deviato, invertito)?
Poi c’erano gli Stati negli Stati come la mafia, cioè lo Stato doppione e, infine, gli antistati, come le Br, che però certuni vorrebbero una diramazione di uno dei precedenti cinque Stati. Che vuol dire tutto questo? Che forse l’Italia era un paese eccessivamente statalista?».

Il lavoro di Giannuli è un raffazzonato assemblaggio delle relazioni che l’autore ha nel tempo consegnato ai suoi mandatari. E questo è uno degli altri aspetti decisivi che ci hanno fatto sempre diffidare da opere del genere, che sono il risultato di ricerche commissionate dalla politica, oppure dalla magistratura, con un preciso mandato, dei quesiti formulati dalle commissioni d’inchiesta che incardinano prim’ancora di cominciare il risultato della ricerca. Parliamo di lavori che nascono dunque dalla fucina dello Stato, del suo apparato ideologico che produce consenso. Si tratta di una storiografia di regime che rifiutiamo alla radice e non consideriamo nemmeno storia ma miseria della storia.

Allora perché occuparsene?

Unicamente per il fatto che, come annunciato nel titolo, il libro affronta anche il rapimento Moro. Ovviamente senza essere in grado di provare alcunché degli sproloqui che sostiene. Soprattutto il volume si conclude, alle pagine 403-404, con 18 domande a Mario Moretti e agli altri ex dirigenti delle Brigate rosse (Giannuli ancora una volta è poco originale ma siccome non ha il dono della sintesi le domande da 10, come ci aveva abituato Repubblica, diventano 18).

Ovviamente si tratta di un artificio retorico. Giannuli non ha mai avuto l’intenzione di porre seriamente questi quesiti ai brigatisti, altrimenti l’avrebbe fatto di persona, li sarebbe andati a cercare o gli avrebbe scritto in carcere. Non lo ha fatto perché non è questo il suo interesse e forse perché voleva evitare imbarazzanti smentite.

Lo storico Marco Clementi, autore tra l’altro di tre importanti volumi sulla storia delle Brigate rosse: La pazzia di Aldo Moro, Rizzoli, Storia delle Brigate rosse, Odradek, Brigate rosse, dalle fabbriche alla campagna di primavera, Deriveapprodi (con Santalena e Persichetti), si è preso la briga di stare al gioco ed ha risposto a Giannuli (qui).

Qui potete leggere il post con le domande di Giannuli e le risposte di Clementi.

Qui sotto le immagini delle due pagine che raffigurano le 18 domande di Aldo Giannuli

 

Sullo stesso argomento
Le 18 risposte ad Aldo Giannuli 2/continua
Lotta armata e teorie del complotto: l’antistoria

I Limiti della dietrologia, un libro che inanella stronzate!

Libri trash – Stefania Limiti, L’Anello della Repubblica, Chiarelettere editore 2009

Marco Clementi
L’Altro 18 luglio 2009

Il dibattito che si è sviluppato sul cosiddetto doppio stato, che sulle pagine di questo giornale ha ospitato già alcuni contributi, si è arricchito da poche settimane di un nuovo tassello grazie a un libro pubblicato dall’editore Chiarelettere, L’Anello della Repubblica, scritto da Stafania Limiti. Il volume sarebbe dedicato, almeno stando al titolo, a un servizio segreto “clandestino”, chiamato “Anello” o “Noto Servizio” che, creato ancora nel 1943 dal generale Roatta, avrebbe gestito alcuni casi della recente storia italiana (la fuga di Kappler, il caso Moro e il caso Cirillo). Nella postfazione di Paolo Cucchiarelli si legge che il servizio “alle informali dipendenze della Presidenza del Consiglio e impegnato a condizionare la vita interna dei partiti e quella del libero gioco democratico”, rappresenta “in pieno quell’organizzarsi nell’ombra per operare in parallelo rispetto alle strutture dello Stato” (p. 298). Purtroppo, nulla di tutto ciò si trova nel libro, e la stessa organizzazione clandestina, lungi dall’essere presente a tutto tondo, emerge raramente nella confusione generale della narrazione. Prima di spiegare quello che intendo, devo premettere che un servizio segreto è una cosa seria; si tratta di un’organizzazione strutturata e gerarchica, dove esistono precisi livelli di segretezza, con relativi accessi. Tanto per essere chiari, non basta appartenere al Kgb per poter conoscere tutti i segreti del Cremlino. Anzi, non esiste proprio un agente onnisciente (il più delle volte è vero esattamente il contrario, un agente sa solo ciò di cui si occupa direttamente) e soltanto in pochissimi hanno accesso ai livelli più alti di segretezza. Se questo è vero, nel servizio clandestino chiamato “Anello” tutto ciò sembrerebbe mancare, se mai il “noto servizio” sia esistito. Perché tutte le informazioni dirette che lo riguardano, nascita, nome, competenze, dipendenze, sono confuse e contraddittorie. Per quanto riguarda la nascita, infatti, esistono diverse versioni. Secondo la prima, il “noto servizio” sarebbe stato creato per volontà dell’ex capo del Servizio militare fascista, il generale Mario Roatta, alla fine del 1943. Destituito il quale, sarebbe stato preso in mano da un generale ebreo polacco, tale Otimsky, giunto in Italia sempre alla fine del 1943 al seguito della delegazione sovietica presso il governo di Badoglio. Roatta fu capo di Stato Maggiore italiano fino al 12 novembre 1943, quando venne destituito perché accusato di non aver difeso adeguatamente Roma. Arrestato nel 1944, riuscì a fuggire in Spagna, mentre in Italia il processo contro di lui si concludeva con la condanna all’ergastolo per l’assassinio dei fratelli Rosselli. L’oscuro generale Otimsky non poteva essere giunto in Italia con i sovietici alla fine del 1943, perché non esisteva alcuna delegazione sovietica presso il nostro governo a quella data, dato che le relazioni dirette tra il governo italiano e quello sovietico furono stabilite solo nel marzo del 1944. Tanto per non fare torto a nessuno, comunque, oltre che con i sovietici, Otimsky viene anche dato come giunto al seguito delle truppe del contingente polacco del generale Anders (p. 59), nonché di un tale Arazi, incaricato nel 1945 di “impiantare e dirigere la locale stazione del Mossad”, cosa definita “un’ipotesi molto seria” (p. 63). La seconda versione sulla genesi di Anello fa risalire la sua nascita agli anni Settanta per volontà di Andreotti (pp. 24/25) che a capo del governo voleva creare una struttura in grado di rimediare al caos dei servizi e fungere da anello di congiunzione tra il vecchio e il nuovo durante la riforma del 1977-78. Esiste, infine una terza versione, che pone la nascita del servizio “nel vuoto istituzionale e politico dell’immediato dopoguerra”, quando, è bene ricordarlo, anche il Pci era al governo (p. 419). Le tre versioni sono offerte al lettore senza ulteriori commenti, né ci si preoccupa di metterne in luce le contraddizioni. Sul nome la questione non migliora: “magari fin dalla nascita questo nome è stato ‘Anello’, oppure un altro che non è filtrato mai da testimonianze e documenti. Nel gergo delle spie ‘noto servizio’ è un termine utilizzato per riferirsi a una precisa ‘cosa’ e si presuppone che l’interlocutore la conosca o che, altrimenti, è bene non capisca”. (p. 24). Se data di nascita, paternità e nome non sono chiari, nessuna luce neanche sullo status del servizio. Esso è chiamato “struttura illegale” (p. 24), “gruppo parapolitico” (p. 124) e nel corso del libro genericamente “servizio segreto occulto”; dato che fin dall’inizio del racconto si chiarisce che era alle dirette dipendenze della presidenza del Consiglio, addirittura fino a Craxi, perché definirlo illegale o parapolitico? Per quanto riguarda le sue dotazioni, poi, siamo vicini al surrealismo: “Il ‘noto servizio’ – leggiamo a p. 101 – contava su parecchi mezzi: disponeva anche di un aereo e di un elicottero. Non risulta però che avesse una propria dotazione di armi: sarebbe stata un ‘ingombro’ e avrebbe accresciuto solo i rischi che qualche ficcanaso ne chiedesse conto. E poi, probabilmente, non c’è n’era quasi bisogno. In moltissime caserme c’erano […] i cosiddetti Magazzini Dit, destinati alla difesa interna del territorio: grandi quantità di materiale bellico, custodite in stanze ben chiuse nelle caserme dei Carabinieri sparse sul territorio. È molto probabile che lì si rifornissero anche gli agenti del ‘noto servizio’ ”. Ovviamente, un servizio segreto non può funzionare in questo modo macchinoso, ma comunque si tratta, come ci dice la chiosa del brano citato, di una mera ipotesi.
Ora, quale che ne fu la genesi, il nome, il padre, lo status e gli attributi, “Anello” sarebbe intervenuto in tre episodi importanti della storia recente italiana: la fuga del criminale nazista Herbert Kappler dal Celio di Roma, il rapimento di Aldo Moro e quello di Ciro Cirillo, entrambi operati dalla Br, anche se all’epoca del secondo ormai non esisteva più un’organizzazione unitaria e chi prese Cirillo e poi lo liberò per denaro (le future Br Partito Guerriglia di Senzani e dei capi storici ancora in carcere) fu aspramente criticato dalle vecchie Br morettiane. Ebbene, in tutti e tre i casi l’Anello, secondo quanto si afferma nel libro, non solo non agì in modo occulto, ma eseguì in modo assolutamente leale gli ordini che avrebbe ricevuto dalla presidenza del Consiglio. Nel primo caso l’ordine era proprio organizzare la fuga del criminale delle Fosse Ardeatine, nel secondo caso, dopo aver svolto egregiamente il proprio lavoro, ossia trovato la prigione di Moro, il capo dell’Anello sarebbe stato fermato da Andreotti, che avrebbe detto “Moro vivo non serve più a nessuno” (p. 196), mentre nel terzo avrebbe avviato e concluso le trattative con le Br attraverso il capo della camorra, Raffaele Cutolo, riuscendo a far rilasciare l’assessore democristiano Cirillo. Alla fine della lettura, lungi dal trovarci di fronte alla soluzione dei nostri problemi, si ha come l’impressione che il “noto servizio” non sia mai esistito e che quanti ne hanno rivendicato l’affiliazione siano stati, forse, dei millantatori. Un’altra ipotesi, è che gli scarsi documenti a disposizione degli studiosi siano stati creati illo tempore per un’operazione di depistaggio e per questo poi dimenticati nella “discarica dei servizi” di via Appia, a Roma, dove Aldo Giannuli li trovò più di dieci anni fa. Sarà stato davvero così? È un’ipotesi credibile? Mistero.

Link
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