Brigit Kraatz, l’Italia a giudizio davanti alla corte europea per colpa della commissione Moro 2

Negli anni Settanta Brigit M. Kraatz era la corrispondente a Roma di Der Spiegel. Negli atti parlamentari viene definita una terrorista coinvolta nel sequestro Moro. Non era vero ma, per ottenere giustizia, si è dovuta rivolgere alla Cedu che ora ha ammesso il suo ricorso. Questo blog ha denunciato già nel maggio 2020 questa storia (puoi leggere qui) di cui ha continuato e continuerà a occuparsi (leggi qui 1,2, 3).
La vicenda è anche all’origine di una querela contro l’ex membro della commissione parlamentare Gero Grassi. All’origine delle accuse mosse contro la corrispondente della stampa tedesca c’è una indagine promossa da un consulente della Commissione Moro 2. Massimo Giraudo – sulla scorta di una ricca letteratura complottista presente sull’argomento – si è mosso per dimostrare che un condominio romano, ex Ior, situato nella zona della Balduina ebbe un ruolo decisivo nelle prime fasi del sequestro del persidente democristiano. L’inchiesta, infarcita di confidenze originate da persone oggi defunte, passate di bocca in bocca, scenari suggestivi e congetture iperboliche è stata rilanciata con grande enfasi anche nella puntata di Report del 7 gennaio scorso.
Definire la signora Kraatz attivista del movimento tedesco 2 giugno, «Bewegung 2 Juni», è un po’ come dire che Lilli Gruber sia stata un membro delle Brigate rosse. Ora che una persona come il tenente colonnello dei Cc, Massimo Giraudo, insignito nel 1988 anche del titolo di cavaliere, ordine al merito della repubblica per il lavoro svolto in diverse indagini, nato nel 1960, non sapesse o non sia stato in grado di verificare con un semplice giro sul web che la signora Kraatz fosse una importante giornalista tedesca, insignita per altro di vari premi per i suoi articoli, autrice di un libro con Willy Brandt e di interviste con i vertici delle istituzioni e dei partiti degli anni 70 e 80, collaboratrice di Rai tre nei giorni in cui cadeva il muro di Berlino (su internet si trova con facilità una sua foto accanto ad Agnelli), accreditata presso il Vaticano mentre seguiva il pontefice nei suoi viaggi intercontinentali, insomma una figura pubblica molto nota negli ambienti della stampa e non solo, solleva inquietanti interrogativi sulla natura cialtronesca, o forse sarebbe meglio dire bantitesca, dei lavori condotti dalla commissione parlamentare sul sequestro Moro, condotti sotto la guida e la responsabilità dell’allora presidente Giuseppe Fioroni. Come se non bastasse, quanto scritto negli atti resi pubblici dalla commissione è poi finito nella sentenza Bellini sulla strage di Bologna. E’ bastato un semplice copia-incolla. Come un virus le affermazioni indimostrate della Cm 2 si sono propagate, riprese come verità, in realtà politica ma dai più confusi con quella storica, sono migrate in una sentenza che nulla c’entra con le vicende del sequestro Moro. E così la brillante giornalista che per un trentennio ha raccontato le vicende italiane al pubblico tedesco si è ritrovata coinvolta nel sequestro Moro e nella strage di Bologna.

Quale è il nesso, vi chiederete? I servizi segreti ovviamente, quei poteri occulti: la Cia, il Secret team, il Mossad, la P2 e la massoneria che tutto reggevano e disfacevano, ovvero la favola che ci ha propinato Report.
Ora il ricorso presentato dai legali della Kraatz davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, ultima possibilità che le restava dopo i tentativi andati falliti di far correggere i grossolani errori, e le prese in giro ricevute da parte dei vertici istituzionali, dal presidente della commissione al Quirinale, ha superato il vaglio dell’ammissibilità legale. La squallida montatura di via dei Massimi assume così una rilevanza internazionale e diplomatica dalle molteplici conseguenze che difficilmente potranno essere ignorate.

Non si tratta solo di ripristinare l’onorabilità di una persona tacciata di essere stata altro da quella che era effettivamente; in ballo ci sono le procedure che conducono alla costruzione delle “verità politiche deliberate” all’interno delle commissioni parlamentari e del loro rapporto con la verità storica.
Il tema è quello della intangibilità delle asserzioni contenute nelle relazioni parlamentari una volta deliberate con il voto dei commissari e del parlamento. Se delle successive acquisizioni storico-documentali vengono a smentire quanto affermato all’interno di queste relazioni perché mai queste non possono essere corrette?

di Paolo Morando, Domani, 19 gennaio 2024

La commissione parlamentare d’inchiesta “Moro 2” l’ha definita «già attiva nel movimento estremista “Due giugno”». Che però era qualcosa di più: un vero e proprio gruppo di lotta armata che, nella Germania Ovest degli anni Settanta, si rese protagonista di svariati attentati e rapimenti, anche con la morte del presidente della Corte federale tedesca Günter von Drenkmann durante le concitate fasi del sequestro.
Ma lei, la giornalista tedesca Birgit Kraatz, oggi ottantacinquenne ma negli anni Settanta firma di punta e corrispondente da Roma per importanti testate (i settimanali “Der Spiegel” e “Stern” e la televisione pubblica Zdf, ha scritto pure un libro intervista con l’allora cancelliere Willy Brandt pubblicato anche in Italia), terrorista non lo è mai stata.
Le ha provate tutte in questi anni per cercare di farsi togliere di dosso quella infamante definizione, ma senza riuscirci. Tanto che si è rivolta alla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) di Strasburgo che, è notizia di queste ore, ha accettato il suo ricorso e ora se ne occuperà formalmente, per giungere a una sentenza che in ipotesi potrebbe portare anche a pesanti sanzioni contro lo Stato italiano, in termini di multe e risarcimenti. E chi conosce l’attività della Cedu, sa bene che nell’80 per cento dei casi l’accoglimento del ricorso (questo è infatti lo scoglio maggiore dal punto di vista procedurale) porta poi nella stragrande maggioranza delle volte a un pronunciamento favorevole al ricorrente.

Una vicenda kafkiana
Quella frase è contenuta nella relazione conclusiva dell’attività 2017 della commissione, depositata dal presidente Giuseppe Fioroni. Fu anche l’ultima. E da allora, come sempre accade in questi casi, non si fermò lì. Di citazione in citazione è finita infatti addirittura in una sentenza, e non di scarsa importanza, anzi: è infatti quella della Corte d’assise di Bologna che nell’aprile 2022 ha condannato all’ergastolo l’estremista di destra Paolo Bellini per la strage alla stazione (il processo d’appello inizierà tra l’altro a fine mese), con la giornalista citata nelle motivazioni depositate lo scorso aprile, nei termini già formulati dalla Commissione Moro 2.
È una vicenda davvero kafkiana, perché invece i fatti parlano chiaro. Si tratta di due comunicazioni del 26 giugno e del 4 ottobre 2018 del Bundeskriminalamt (Bka), l’Ufficio federale della polizia criminale tedesca, nei quali si certifica che il nome di Birgit Kraatz non risulta mai essere stato menzionato in alcun documento della struttura, attestando così la totale estraneità della donna al movimento «2 giugno».
Ha scritto testualmente il direttore del Bka, Jürgen Peter: «Va dato per scontato che la signora Kraatz non ha avuto alcun contatto o altri legami con il gruppo “2 Giugno” che vadano al di là dell’attinenza del lavoro giornalistico allora svolto sull’argomento terrorismo di sinistra in Germania e in Italia». E ancora: «Allo stato degli atti del Bundeskriminalamt non è accertabile nessun contatto o altro legame con il gruppo “2 Giugno” che abbiano a che fare con la signora Kraatz».

La commissione Stragi
Sono documenti che i legali della giornalista spedirono a suo tempo allo stesso presidente Fioroni, senza però che fosse possibile ottenere una rettifica della relazione, avendo la Commissione parlamentare d’inchiesta già concluso i propri lavori e chiuso i battenti per via della fine della legislatura. E quelle relazioni, in quanto approvate dal Parlamento, sono ora del tutto intangibili. Peraltro, appunto in quanto parlamentari, tutti gli allora componenti della commissione sono coperti da immunità. Non lo sono però per affermazioni successive al mandato politico: e infatti l’ex deputato Gero Grassi, tra i più attivi componenti di quella commissione, è già stato raggiunto da una querela della giornalista, querela ancora pendente.
Come una palla di neve che rotolando a valle diventa valanga, quell’evidente errore contenuto nella relazione di Fioroni è figlio di un altro atto parlamentare di addirittura ventiquattro anni fa, rimasto a lungo sottotraccia. Si deve infatti tornare al 2000 e alla allora Commissione Stragi presieduta da Giovanni Pellegrino. In quella sede, i parlamentari di Alleanza nazionale Vincenzo Fragalà e Alfredo Mantica presentarono una relazione in cui veniva appunto fatto il nome di Birgit Kraatz come esponente del gruppo “2 Giugno”.
Così ha ricostruito la vicenda il ricercatore Paolo Persichetti: «A seguito di una rogatoria diretta alle autorità tedesche, presentata dal giudice Francesco Amato sui nomi di alcuni esponenti vicini al movimento eversivo “2 giugno”, la polizia tedesca inviava in risposta una relazione. Senza alcuna giustificazione comprensibile, l’Ucigos – l’Ufficio centrale della polizia politica destinatario della relazione – apponeva il nome di Birgit Kraatz nella lettera che accompagnava il testo del Bundeskriminalamt. Nome che invece non era presente all’interno del documento della polizia tedesca e che mai più riapparirà. Nella successiva minuta della Digos di Roma, che riceve la documentazione dall’Ucigos e la rigira al magistrato, non vi è infatti più alcuna traccia della Kraatz. Nonostante questa anomalia, i due parlamentari che evidentemente si erano soffermati solo sulla minuta di accompagnamento riportano il nome della donna nella loro relazione, indicandola come una esponente del gruppo “2 giugno”».

Richieste vane
Il documento di Mantica e Fragalà peraltro non venne mai né discusso né tanto meno approvato. E di errore in errore, come detto, l’appartenenza di Birgit Kraatz al movimento terroristico è finito addirittura nelle motivazioni della sentenza Bellini. E va detto che la giornalista, nei mesi scorsi, si è rivolta anche ai magistrati bolognesi, affinché correggano nei successivi gradi di giudizio quell’infamante definizione.
Sul fronte Commissione Moro 2, invece, le sue doglianze sono state recepite ma senza apporre correzioni alla relazione Fioroni, per i motivi già citati. Gli uffici del parlamento hanno in effetti protocollato il materiale inviato da Kraatz, ma ad oggi non risulta che siano stati allegati agli atti nel portale della commissione. E quei documenti del Bka sono stati invece catalogati “fisicamente” in una sezione non accessibile al pubblico.
La citazione di Birgit Kraatz da parte della Commissione Moro 2 riguardava le palazzine di via Massimi, anche al centro pochi giorni fa di un ampio servizio della trasmissione di Rai3 “Report” sul sequestro e l’uccisione di Aldo Moro da parte delle Brigate rosse: palazzine indicate come uno dei possibili luoghi in cui lo statista democristiano sarebbe stato tenuto prigioniero.
Questa la citazione completa contenuta nella relazione Fioroni: «Si è in particolare riscontrato che in quelle palazzine abitava la giornalista tedesca Birgit Kraatz, già attiva nel movimento estremista “Due giugno” e compagna di Franco Piperno. Secondo la testimonianza di più condomini Piperno frequentava quell’abitazione e, secondo una testimonianza che l’interessato ha dichiarato di aver appreso dal portiere dello stabile, lo stesso Piperno avrebbe da lì osservato i movimenti di Moro e della scorta. La stessa Kraatz ha ricordato la sua relazione con il Piperno, ma ha escluso che si trattenesse nel condominio».
Piperno, come noto, era stato dirigente di Potere operaio. E venne contattato dal Partito socialista (in particolare dall’allora vicesegretario Claudio Signorile) nel tentativo di giungere a una liberazione dello statista democristiano. Ironia della sorte, in quel servizio di “Report” è comparsa anche la fotografia della stessa Birgit Kraatz, peraltro correttamente indicata solo come giornalista. Ma si diceva, lanciando una suggestione: «Kraatz e Piperno si sono visti anche durante il periodo del sequestro Moro?».

Le palazzine di via Massimi
A questo proposito, ancora nel febbraio 2018 al presidente Fioroni la giornalista aveva scritto così: «L’insinuosa descrizione che il mio amico, il professore Franco Piperno, avrebbe sorvegliato dalla mia casa, oppure in qualche modo con la protezione della mia casa, lo scambio delle vetture durante il sequestro Moro nel garage che apparteneva a due palazzi in via Massimi 91 (ipotesi peraltro mai provata – né tantomeno affrontata – in alcuna sede giudiziaria, ndr), è falsa: questo non sarebbe stato nemmeno tecnicamente possibile perché dalle finestre della mia casa l’entrata del garage non era né visibile né raggiungibile come sarebbe stato facile verificare con un semplice sopralluogo. Inoltre al garage io non avevo mai accesso».
E sono tutte circostanze che la giornalista aveva riferito in precedenza anche al colonnello dei Carabinieri Massimo Giraudo, consulente della commissione, senza la presenza di un avvocato «perché non ho nulla da nascondere». C’è comunque da scommettere che la questione sarà destinata ad avere altre puntate. Sempre che nel frattempo la Corte europea dei diritti dell’uomo non gli dia un taglio netto.

La commissione Moro 2 e la strana scomparsa dei documenti che scagionano la giornalista Birgit M. Kraatz

Doveva essere la commissione della verità finale sul rapimento Moro. Il presidente Giuseppe Fioroni appena insediato aveva promesso che finalmente sarebbe stata accertata la verità sempre «negata, spazzando via il «patto del silenzio», il muro di presunta «omertà» tra brigatisti e uomini dello Stato, secondo la definizione coniata da Sergio Flamigni nella sua saga dietrologica. Una versione dei fatti, nient’affatto coincidente con la realtà, che secondo il presidente della nuova commissione Moro avrebbe «tombato l’indicibile verità» del rapimento e della uccisione nel 1978 del presidente del consiglio nazionale della Democrazia cristiana.


Il nuovo porto delle nebbie

La Moro 2, i cui lavori si sono tenuti dal 2014 al 2018, si è rivelata invece l’ennesimo porto delle nebbie. Un luogo dove non solo non è mai emersa quella verità illibata, promessa all’inizio, ma addirittura alcune risultanze documentali scomode e non preventivate, le fastidiose acquisizioni emerse nel frattempo – ma non in linea con gli auspici del suo presidente – si sono perse tra gli scaffali degli archivi. La verità tanto promessa è così annegata nelle acque torbide del complottismo, risucchiata dai vortici profondi di ipotesi e congetture dietrologiche che hanno guidato come fossero un assioma indiscutibile il cammino della commissione.

Le accuse contro la giornalista Birgit M. Kraatz
Nell’ultimo anno di lavori la commissione si era occupata di un complesso immobiliare sito in via dei Massimi, nella parte alta di via Balduina, a Roma. Una zona distante poche centinaia di metri in linea d’aria dal luogo del rapimento dello statista democristiano. A dire il vero, non si trattava affatto di una novità: già nei giorni successivi al rapimento erano circolate voci sul comprensorio di palazzine dell’Istituto opere religiose del Vaticano situato al civico 91 di quella via. Nel novembre del 1978, un quotidiano romano, Il Tempo, anticipò un articolo dello scrittore Pietro Di Donato apparso nel numero di dicembre sulla rivista erotica-glamour Penthouse. Nell’articolo si sosteneva che la prigionia di Moro si era svolta nella zona della Balduina, luogo dove sarebbe avvenuto il trasbordo del prigioniero ed erano state abbandonate le macchine impiegate in via Fani. Agli atti risulta che le forze di polizia effettuarono controlli e perquisizioni in alcune palazzine e garage dei dintorni senza alcun esito. La sortita di Di Donato fu ripresa nel gennaio 1979 da Mino Pecorelli sulla rivista legata ai Servizi Osservatorio politico. Ne accennò anche il pm Nicolò Amato durante le udienze del primo processo Moro, agli inizi degli anni 80. Più tardi se ne occupò, sempre senza pervenire a risultati, la prima commissione Moro finché la diceria venne consacrata nelle pagine di un libro di Sergio Flamigni, La tela del ragno, pubblicato per la prima volta nel 1988 (Edizioni Associate pp. 58-61), divenendo uno dei cavalli di battaglia della successiva pubblicistica dietrologica.
Una vecchia leggenda presa per buona dalla commissione e riportata nell’ultima relazione approvata nel dicembre 2017 con l’aggiunta di una novità: ad una giornalista di nome Brigit M. Kraatz, corrispondente in Italia delle più importanti testate giornalistiche tedesche e residente nel 1978 in via dei Massimi 91, con la figlia e la governante che accudiva la bambina, si attribuiva un ruolo nel sequestro Moro. Nel relazione si affermava che Franco Piperno, amico da almeno un decennio della Kraatz, la mattina del 16 marzo 1978 avrebbe controllato dalle finestre dell’appartamento della donna il buon andamento del sequestro, ovvero l’arrivo delle macchine dei brigatisti con Moro all’interno e il loro ingresso nel garage dove il prigioniero – sempre secondo la fantasiosa ricostruzione della commissione – sarebbe stato fatto scendere e nascosto in un’abitazione del palazzo. Si aggiungeva inoltre che la giornalista era, in realtà, una nota esponente del gruppo sovversivo tedesco «2 Giugno». Sarebbe bastato svolgere un sopralluogo nella ex abitazione della Kraatz per rendersi conto che dalle sue finestre non era possibile alcuna visuale sull’ingresso del garage, ma sarebbe stato chiedere troppo ad una commissione il cui lavoro è consistito essenzialmente nell’accreditare congetture piuttosto che verificare la fondatezza dei fatti.

«Birgit Kraatz non è un membro della 2 giugno», Il documento della polizia tedesca che smentisce Fioroni
Venuta a conoscenza della vicenda solo qualche tempo dopo, il 26 febbraio 2018 Brigit M. Kraatz inviò una prima lettera a Fioroni nella quale chiedeva di cancellare dalla relazione le «calunniose asserzioni» rivolte alla sua persona (allegato 1). Lettera che non ricevette mai risposta anche perché nel frattempo la commissione aveva chiuso i battenti per la fine anticipata della legislatura. Nel frattempo Birgit M. Kraatz segnalò la vicenda anche all’allora presidente della Camera dei deputati, Roberto Fico, prima nel maggio e poi nell’ottobre 2018. Negli stessi giorni si rivolse anche alle altre cariche del Stato, la presidente del Senato Elisabetta Alberti Casellati e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, anche in questo caso ricevendo come risposta solo una glaciale indifferenza.
Il 4 ottobre successivo, Fioroni ormai ex presidente della commissione nel corso della presentazione di un suo libro, Moro il caso non è chiuso. La verità non detta, davanti alle domande dei giornalisti spiegò che nell’agosto 2018 era pervenuta una nuova informativa che smentiva il coinvolgimento della Kraatz nell’organizzazione «2 giugno». L’Ansa del giorno successivo riferì le sue parole: «Sull’adesione di Birgit Kraatz all’organizzazione estremista tedesca del ‘2 Giugno’, “ci sono degli atti che lo dicono e che noi abbiamo ereditato, ma c’è anche un documento di due mesi fa che dice che lei non c’entra niente“». In evidente difficoltà per la micidiale bufala scolpita nella relazione della commissione, Fioroni provava a salvare capra e cavoli affermando che «il riferimento alla giornalista era per il rapporto avuto con Piperno (“assolutamente legittimo”, secondo Fioroni) e in primis per l’eventuale presenza di Piperno nel palazzo romano. “A noi interessa – concludeva l’ex deputato – solo per le relazioni sentimentali che aveva. Abbiamo inserito lei nel testo solamente per dimostrare che c’era Piperno che frequentava quella casa. Poi se era dell’organizzazione del 2 giugno o altro, a me non serviva a niente”».
Il 18 ottobre 2018 i legali della signora Kraatz scrissero nuovamente all’ex presidente Fioroni, chiedendogli ancora una volta di correggere la relazione e allegando due comunicazioni della Bundeskriminalamt, l’Ufficio federale della polizia criminale (Bka), del 26 giugno e del 4 ottobre 2018 nel quale si certificava che il nome della signora Kraatz non era mai stato menzionato in alcun documento della struttura e la sua totale estraneità con le vicende della «2 giugno».

L’origine della calunnia

Il nome della Kraatz era stato tirato in ballo da una vecchia relazione del 31 luglio 2000 presentata dai due parlamentari di Alleanza nazionale provenienti dall’Msi, Alfredo Mantica ed Enzo Fragalà, membri della commissione Stragi nella quale appariva in modo del tutto abusivo il nome di «Birgit Kraatz».
A seguito di una rogatoria diretta alle autorità tedesche, presentata dal giudice Francesco Amato sui nomi di alcuni esponenti vicini al movimento eversivo «2 giugno», la polizia tedesca inviava in risposta una relazione. Senza alcuna giustificazione comprensibile, l’Ucigos – l’Ufficio centrale della polizia politica destinatario della relazione – apponeva il nome di Birgit Kraatz nella lettera che accompagnava il testo della Bundeskriminalamt. Nome che invece non era presente all’interno del documento della polizia tedesca e che mai più riapparirà. Nella successiva minuta della Digos di Roma, che riceve la documentazione dall’Ucigos e la rigira al magistrato, non vi è infatti più alcuna traccia della Kraatz. Nonostante questa anomalia, i due parlamentari che evidentemente si erano soffermati solo sulla minuta di accompagnamento riportano il nome della donna nella loro relazione, indicandola come una esponente del gruppo «2 giugno». Diciassette anni più tardi, alcuni consulenti della commissione Fioroni che scandagliavano i materiali digitalizzati prodotti dalle precedenti commissioni intercettano il nome della Kraatz incrociandolo con quello delle persone che risiedevano nel 1978 nella palazzina di via dei Massimi 91. Nasce così il grossolano errore: nessuno legge attentamente le carte e si domanda perché il nome della Kraatz sia assente dalla relazione inviata della polizia tedesca (la fonte primaria) ma compaia nella minuta italiana che l’accompagna. Non si svolgono le necessarie verifiche, non si fanno approfondimenti su altre fonti di informazione. In poche parole non si utilizza una corretta metodologia. Emerge un modo di lavorare superficiale che evita sistematicamente ogni indizio, segnale o prova che sollevi dei problemi, inceppi o allontani dalla meta prefigurata o peggio smentisca i teoremi precostituiti. Insomma una gigantesca officina di fake news. Ad aggravare ulteriormente il comportamento della commissione è un rapporto del 19 marzo 2018 (protocollo 3698 del 20 marzo 2018), prodotto da una collaboratrice della commissione, contenente diversi documenti dell’Ucigos appena declassificati. Nella nuova documentazione è presente una nota del 28 settembre 1981, inviata all’Ucigos dal questore Giovanni Pollio, in cui si spiega che Birgit Kraatz è una giornalista che «svolge la propria attività lavorativa presso la redazione del periodico tedesco “Stern” di cui è corrispondente».

L’intangibilità delle relazioni prodotte dalle commissioni parlamentari

Dopo essere riuscita a contattare gli uffici della commissione alla signora Kraatz fu spiegato che il testo di una relazione parlamentare una volta deliberato, ovvero accolto e votato dai membri della commissione e successivamente approvato dal voto delle aule parlamentari, non è modificabile in alcun modo. L’unica possibilità era quella di inviare la nuova documentazione della Bka che correggeva le asserzioni contenute nella relazione all’ufficio stralci in modo da poter esser messa a disposizione degli studiosi che ne avrebbero fatto domanda. Richiesta che venne esaudita il 18 ottobre 2018 con l’invio della documentazione all’allora segretario della commissione Moro 2, dottor Tabacchi. Per aggirare l’intangibilità del testo della relazione i legali della Kraatz proposero ragionevolmente di allegare la nuova documentazione al testo della relazione e di modificare le informazioni che circolavano su internet (allegato 2). Ancora una volta nessuno ha mai preso in considerazione la proposta tantomeno inviato un qualunque segnale di risposta.


Verità storica e verità deliberata

L’intangibilità delle relazioni votate dalle commissioni parlamentari d’inchiesta merita una riflessione particolare. Ci troviamo, infatti, di fronte al postulato di una nuova verità: la verità parlamentare che è tale poiché delibera una volontà del popolo che rappresenta. Un modello procedurale che all’atto della deliberazione crea dei fatti, congelandoli, al pari delle sentenze giudiziarie. Una volta deliberate o sentenziate queste versioni degli accadimenti diventano intangibili, salvo lunghe e limitatissime eccezioni, a differenza della verità storica che ha una natura processuale soggetta a possibili e continue rimesse in discussione dovute all’emergere di nuove metodologie o all’acquisizione di nuovi documenti, circostanze e informazioni. Accade così che la verità parlamentare si adagia su una narrazione degli eventi deliberata sulla base delle convenienze di una maggioranza politica senza più recepire eventuali smentite. E’ il grande limite delle commissioni parlamentari che agli occhi degli storici riservano interesse soprattutto per il bacino documentale raccolto, quando questo è accessibile, più che per le loro conclusioni.

La querela contro Gero Grassi
Nell’autunno del 2020, Birgit M. Kraatz nel tentativo di fare giustizia delle calunnie prodotte contro la sua persona querelava anche uno dei membri più attivi della commissione Moro 2, l’ex vice presidente del gruppo parlamentare del Pd alla Camera Gero Grassi (leggi qui). Non più parlamentare, per la mancata ricandidatura nelle liste del suo partito, Grassi aveva ripubblicato in un suo volume le accuse contro la signora Kraatz ribadendo la sua appartenenza al gruppo sovversivo «2 giugno». Ormai privo della immunità, che gli aveva garantito in precedenza di poter affermare qualunque cosa senza conseguenze, Grassi è stato raggiunto dalla denuncia che, inizialmente depositata a Grosseto, per competenza territoriale è stata assegnata al tribunale di Trani, luogo di sua residenza, dove il Gip rigettando la richiesta di archiviazione proposta dalla procura ha disposto ulteriori accertamenti.

La verità parlamentare diventa verità giudiziaria. Birgit Kraatz accusata anche dai giudici della strage di Bologna
Con grande sconcerto la scorsa estate Birgit M. Kraatz ha scoperto di essere finita anche nelle pagine della sentenza di condanna per la strage alla stazione centrale di Bologna del 2 agosto 1980, emessa contro il neofascista Paolo Bellini e depositata nell’aprile del 2023. Riprendendo alcuni stralci della relazione del dicembre 2017 prodotta dalla commissione Fioroni, con l’intenzione fallace di sostenere la tesi delle «convergenze parallele» tra lotta armata di sinistra e stragismo fascista, i giudici della corte d’assise assecondavano, a pagina 1631 (allegato 3), l’appartenenza della Kraatz alla organizzazione sovversiva «2 giugno». Il 20 settembre la giornalista inviava l’ennesima lettera di smentita, stavolta alla corte di appello bolognese che ha in carico il processo d’appello, chiedendo «di interrompere finalmente questa catena di montaggio di accuse false […] e di correggere definitivamente questo sbaglio nella vostra sentenza d’Appello e ristabilire che io non ho mai fatto parte di nessuna organizzazione terroristica (allegato 3) .

La richiesta di spiegazioni rivolta all’archivio della commissione Moro 2 e la scoperta che le lettere e i documenti inviati nel 2018 sono scomparsi

Stupita dal fatto che i documenti inviati nel 2018 a Giuseppe Fioroni e all’ufficio stralci della commissione non fossero stati recepiti, la signora Kraatz si è rivolta nuovamente al vecchio segretario, il funzionario della Camera dei deputati dottor Tabacchi, nel frattempo trasferito a nuovo incarico, chiedendogli dove fosse finita la documentazione inviata e se questa fosse mai stata allegata alla relazione, come richiesto.

La risposta pervenuta è stupefacente: la lettera a Fioroni inviata nel febbraio 2018, acquisita in data 26 marzo 2018 con protocollo 3693 (serie corrispondenza), e i documenti della Bka, acquisti il 5 novembre 2018 con protocollo 88 dell’Ufficio stralcio, risultavano scomparsi, introvabili.

Io stesso prima di redigere questo articolo ho cercato nuovamente i documenti, prima sul portale della commissione, senza trovarli, poi rivolgendomi al dottor Tabacchi che mi ha rinviato all’archivio a cui ho subito scritto ricevendo questa risposta: «La informiamo che sono state avviate le procedure di ricerca e riscontro documentale. Saranno necessari, al riguardo, alcuni tempi tecnici, al momento non precisabili. Avremo cura di comunicarLe gli esiti delle verifiche esperite. Cordiali saluti».
Era il 22 ottobre 2023, da allora più nulla.
Dove sono finiti quei documenti regolarmente protocollati? Possibile che nessuno sappia la fine che hanno fatto? Sono forse stati secretati e inviati alla procura romana nell’ambito dell’inchiesta che sta conducendo su via dei Massimi e via Licinio Calvo? Se fosse questa la ragione appare strano che dei documenti regolarmente protocollati in entrata non risultino segnalati in uscita. Dove sono allora?

Allegato 1
Lettera a Giuseppe Fioroni, presidente della commisione Moro 2, del 26 febbraio 2018, scomparsa dagli archivi

Allegato 2
Le due comunicazioni della Bundeskriminalamt, l’Ufficio federale della polizia criminale tedesca, scomparse dall’archivio della commissione Moro 2

Allegato 3
Lettera con richiesta di correzione inviata alla corte d’apello di Bologna e pagina 1631delle motivazioni della sentenza di condanna in primo grado del neofascista Paolo Bellini per la strage alla stazione centrale di Bologna del 2 agosto 1980

Il sequestro Moro, tra storia e fake news: intervista a Paolo Persichetti

INTERVISTA | di Cristiana Pugliese – RADIO – 20:05 Durata: 37 min 9 sec 12 novembre 2020

Clicca qui per ascoltare l’intervista

Conferenza stampa della Commissione Moro 2 – 14 dicembre 2017

Paolo Persichetti, giornalista , scrittore e coautore di “Brigate Rosse.
Dalle fabbriche alla ‘Campagna di primavera’”.
Vol I (DeriveApprodi)
“Il sequestro Moro, tra storia e fake news: intervista a Paolo Persichetti” realizzata da Cristiana Pugliese con Paolo Persichetti (giornalista e scrittore).
L’intervista è stata registrata giovedì 12 novembre 2020 alle ore 20:05.
Nel corso dell’intervista sono stati discussi i seguenti temi: Brigate Rosse, Cultura, Dc, Fioroni, Giustizia, Grassi, Informazione, Kraatz, Libro, Moro, Parlamento, Politica, Rapimenti, Storia, Terrorismo.
La registrazione audio ha una durata di 37 minuti.

Ennesima querela contro Gero Grassi per le sue falsità sul sequestro Moro

Per l’ex parlamentare Gero Grassi il sequestro Moro sta diventando una vera iattura. L’ex membro della seconda commissione parlamentare d’inchiesta sul rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, che ha chiuso i battenti nella passata legislatura, è incappato in una nuova querela (vedi qui la prima). A denunciarlo stavolta è stata la giornalista Birgit Kraatz, corrispondente in Italia per oltre trent’anni delle più importanti testate giornalistiche tedesche. Nella denuncia per «diffamazione aggravata a mezzo stampa e internet» e per altri reati che la procura potrebbe ulteriormente individuare, la giornalista contesta a Gero Grassi di aver sostenuto in più occasioni la sua appartenenza al «gruppo eversivo tedesco denominato 2 giugno, noto specialmente in Germania per avere compiuto negli anni 70 atti di terrorismo», insinuando che nel 1978, quando la giornalista abitava a Roma, in Via Massimi 91, avrebbe fiancheggiato «l’attività delle Brigate Rosse durante la prigionia dell’onorevole Aldo Moro». Tale affermazione, precisa ulteriormente la giornalista nella sua denuncia, viene poi ribadita da Grassi con ampio risalto in alcune pagine del volume (pp. 143 e 159) «Aldo Moro la verità negata, terza edizione, edito nel 2019 col patrocinio della Regione Puglia e dell’Anci, da Pegaus Edizioni (scaricabile gratuitamente anche dal suo sito: http://www.gerograssi.it), nelle quali si riferisce la vicinanza della Kraatz «ai terroristi tedeschi», la sua appartenenza al gruppo 2 giugno e si afferma che dalle finestre della sua casa «Franco Piperno avrebbe da lì osservato i movimenti di Moro e della sua scorta». Come se non bastasse, più avanti – scrive sempre la giornalista – «sono stata descritta come membro della Raf (organizzazione terroristica analoga alle Brigate rosse) avente ruolo di probabile appoggio logistico nelle vicende relative al tragico sequestro» (p.159 e 160).
Un racconto grossolanamente falso e inverosimile, protesta la Kraatz che nella querela riassume la sua esperienza lavorativa e di vita in Italia ricordando di essere arrivata nel 1968 come corrispondente del settimanale Die Weltwoche; di aver successivamente lavorato per la Zdf (il secondo canale della televisione tedesca) e poi, nel 1976, di essere divenuta capo della redazione romana di Stern e dal 1980 fino al 1990 di aver assunto la stessa posizione per Der Spiegel. In seguito, racconta ancora la donna, «ho collaborato come corrispondente diplomatico per Rai 3 in occasione del processo politico di riunificazione tedesca, effettuando varie interviste e reportage». Iscritta alla Spd dal 1974 – come si può facilmente leggere nella bio presente su Wikipedia – la Kraatz ha di fatto ha curato i rapporti della socialdemocrazia tedesca con la sinistra italiana, in modo particolare col Pci, intervistando nel 1976 lo stesso segretario nazionale Enrico Berlinguer (è citata persino nella biografia scritta da Chiara Valentini). Ha pubblicato per Editori riuniti un libro intervista col premier e capo della socialdemocrazia tedesca fautore della Ostpolitik, Willy Brandt, Non siamo nati eroi. Nel corso della sua carriera ha intervistato anche Helmut Schmidt, Theo Waigel, Oskar Lafontaine. Per la sua attività lavorativa gli sono stati riconosciuti alcuni premi giornalistici, come il Premiolino nel 1974 e il Città di Roma. Insomma una professionista affermata e molto conosciuta nei circoli della stampa e del mondo politico romano, compagna di Lucio Magri da cui ha avuto una figlia nel 1974. Nella denuncia, Birgit Kraatz precisa anche di «aver sempre abitato da sola in via dei Massimi 91, con la figlia Jessica, all’epoca di 4 anni, e la governante che accudiva la bambina quando era fuori per lavoro», sottolinea inoltre che all’epoca del sequestro Moro «non aveva alcun rapporto sentimentale con il prof. Franco Piperno che aveva conosciuto anni prima durante una intervista». Circostanza che aveva già riferito ai consulenti della commissione presieduta da Giuseppe Fioroni, il magistrato Guido Salvini e il tenente colonnello dei carabinieri Massimo Giraudo, che l’avevano ascoltata in una caserma dei carabinieri il 20 febbraio 2017. Dichiarazioni riprese a pagina 261 del testo della terza relazione della Commissione: «La stessa Kraatz ha ricordato la sua relazione con il Piperno, ma ha escluso che si trattenesse nel condominio».

L’impossibile difesa di Gero Grassi
In una intervista a Radio radicale del 22 ottobre scorso (ascolta qui), Gero Grassi ha tentato una disperata difesa sostenendo di essersi soltanto limitato a riportare quanto sostenuto nella terza relazione della commissione, approvata dalla camera il 13 dicembre 2017 (in commissione era passata col voto contrario di Fabio Lavagno
ascolta qui la sua intervista) e dunque di non avere colpa se quanto vi era sostenuto, sulla scorta del lavoro prodotto dai suoi consulenti, non risponde al vero. Un tentativo di trincerarsi dietro l’immunità che protegge i lavori della commissione parlamentare. In realtà, le contestazioni mosse all’ex parlamentare dalla signora Kraatz fanno riferimento ad affermazioni e testi successivi alla decadenza del mandato parlamentare, ma soprattutto reiterate quando ormai era nota e comprovata la loro infondatezza. Già il 26 aprile 2018, sul quotidiano il Dubbio era apparsa una intervista a Franco Piperno nella quale erano presenti numerose informazioni che smentivano le affermazioni della Commissione. Il 4 ottobre successivo, in una dichiarazione fatta al Senato durante la presentazione del suo libro sui lavori della commissione da lui presieduta Giuseppe Fioroni spiegava dopo le insistenze di alcuni giornalisti che ad agosto 2018 era pervenuta una nuova informativa che smentiva il coinvolgimento della Kraatz nell’organizzazione 2 giugno. L’Ansa del giorno successivo riprendeva le sue parole: «Sull’adesione di Birgit Kraatz all’organizzazione estremista tedesca del ‘2 Giugno’, “ci sono degli atti che lo dicono e che noi abbiamo ereditato, ma c’è anche un documento di due mesi fa che dice che lei non c’entra niente“». In difficoltà per la micidiale bufala scolpita ad memoriam nella relazione della commissione, Fioroni balbettava che «il riferimento alla giornalista era per il rapporto avuto con Piperno (“assolutamente legittimo”, secondo Fioroni) e in primis per l’eventuale presenza di Piperno nel palazzo romano. “A noi interessa solo per le relazioni sentimentali che aveva – ha concluso l’ex deputato – abbiamo inserito lei nel testo solamente per dimostrare che c’era Piperno che frequentava quella casa. Poi se era dell’organizzazione del 2 giugno o altro, a me non serviva a niente”»1. Nonostante questa importante rettificata che avrebbe dovuto metterlo sull’avviso, indurlo a maggiore prudenza svolgendo le necessarie verifiche, Gero Grassi dava alle stampe a dicembre e diffondeva spavaldamente su internet la terza edizione del suo libro su Moro, nel quale tirava nuove bordate contro la Kraatz ribadendo la sua promiscuità con la formazione della sinistra armata tedesca e la sua complicità logistica col sequestro di Aldo Moro. In una successiva intervista all’Agi del 5 marzo 2020,chiamava ancora una volta in causa la donna evocando lo stabile del Vaticano in via dei Massimi 91 «frequentato da Piperno, Faranda e da una terrorista della Raf». Ma non è finita qui!

La verità non detta di Fioroni
Nella querela Birgit Kraatz elenca i ripetuti tentativi fatti per informare il presidente della commissione Fioroni dell’errore commesso e chiedere la dovuta rettifica. Intanto va ricordato che la signora Kraatz, del tutto ignara delle reali ragioni che avevano portato la commissione ad interessarsi della sua persona, si era dimostrata assolutamente collaborativa quando il 20 febbraio del 2017 era stata convocata per essere escussa dai alcuni suoi consulenti che nel porgli le domande restarono evasivi sul nodo essenziale che giustificava il loro interesse nei suoi confronti. Si limitarono a cercare conferma della sua residenza nel 1978 in un appartamento di via dei Massimi 91 e delle sue relazioni con Franco Piperno. Un modo assai strano di accertare la realtà dei fatti che impedì fin da subito alla Kraatz di fornire elementi obiettivi per smontare le grossolane fandonie raccolte sul suo conto. Ricordiamo che la commissione disponeva di poteri giudiziari ed i suoi consulenti erano nella stragrande maggioranza magistrati o ufficiali di polizia giudiziaria, un ruolo che li obbligava al dovere di agire secondo criteri di correttezza giuridica nella escussione dei testi.
Avuta notizia di quanto veniva affermato nei suoi confronti in alcune pagine della terza ed ultima relazione della commissione, il 22 febbraio 2018 Birgit Kraatz inviava una prima raccomandata al presidente Fioroni nella quale ricordava tra l’altro di aver frequentato per il suo lavoro uomini del mondo politico e della cultura, «come La Malfa, Berlinguer, Napolitano, Reichlin, Pertini, Amendola, Craxi, Cossiga, Galloni, Spadolini, Lama, Trentin, Agnelli, de Benedetti, Scalfaro, Scalfari, Fellini, Rosi, Moravia, Eco, a tal punto da essere ricevuta da costoro anche più di una volta per interviste esclusive. Alcune di queste personalità hanno anche frequentato la mia casa». Precisava inoltre che dalle finestre della sua abitazione «l’entrata del garage di via dei Massimi 91 non era né visibile né raggiungibile, come sarebbe stato facile verificare con un semplice sopralluogo».
La raccomandata non riceveva risposta anche perché nel frattempo la commissione aveva concluso i suoi lavori e le camere erano state sciolte in attesa di nuove elezioni politiche indette per il 4 marzo 2018. Il 22 febbraio si era tenuta l’ultima seduta della commissione che aveva deliberato criteri e modalità di pubblicazione degli atti e incaricato una struttura tecnica composta da alcuni ex consulenti di seguire questo lavoro. E’ più che probabile che la raccomandata della signora Kraatz sia giunta a questo ufficio e che l’ex presidente Fioroni ne abbia avuto cognizione. Anche se aveva terminato l’incarico non è pensabile che le relazioni con i suoi ex collaboratori si fossero interrotte, come dimostrano le stesse parole di Fioroni, riprese dall’Ansa del 5 ottobre, su un nuovo documento – giunto nel frattempo – che smentiva l’appartenenza della Kraatz alla “2 giugno”. Certo è che nel suo volume, Moro, il caso non è chiuso. La verità non detta, scritto con la giornalista Maria Antonietta Calabrò, dato alle stampe nell’aprile 2018 (edizioni Lindau), Fioroni mostrando grande scaltrezza evita improvvisamente di definire Birgit Kraatz una esponente del «movimento 2 giugno», parlando di una semplice «giornalista tedesca». Tuttavia l’ex presidente della Commissione Moro 2 – in piena coerenza col sottotitolo del suo volume – evitava di spiegare ai lettori il perché di quella repentina e significativa correzione rispetto a quanto era stato sostenuto nella pagine della relazione, nelle note dei consulenti e nelle numerose dichiarazioni pubbliche rese durante i lavori della commissione.
Il 18 ottobre 2018 gli avvocati di Birgit Kraatz inviavano una seconda raccomandata al presidente Fioroni contenente un documento della Bundeskriminalamt (Ufficio federale della polizia criminale). La più alta autorità pubblica tedesca in materia di polizia affermava che la signora Kraatz: «non ha mai avuto contati o altro legame col gruppo “2 Giugno” che vadano aldilà dell’attinenza del lavoro giornalistico allora svolto sull’argomento di sinistra in Germania e in Italia». I legali chiedevano anche di correggere i passi errati della relazione riferiti alla Kraatz e di far cancellare i medesimi passaggi dai motori di ricerca di Internet. Fioroni ancora una volta taceva: nessuna richiesta di scuse o gesto di cortesia perveniva alla signora Kraatz dall’ex presidente della Commissione Moro 2, nessuna dichiarazione pubblica che correggesse quel grossolano errore, nessun suggerimento a Gero Grassi affiché abbassasse i toni e correggesse le sue affermazioni. L’ex parlamentare Giuseppe Fioroni ha dimostrato fino all’ultimo di sentirsi sollevato da ogni responsabilità politica e morale nei confronti della signora Kraatz, anzi, ancora recentemente, lo scorso 16 ottobre presso la biblioteca e archivio storico del Senato in occasione della presentazione del libro di Gero Grassi oggetto della querela, invece di cogliere l’occasione per correggere l’errore sulla Kraatz ribadiva che in via dei Massimi 91 «c’era di tutto e di più… c’era qualche fiancheggiatrice della 2 giugno» (ascolta qui dopo il minuto 41.10)2.

La commissione Moro 2, ovvero l’officina delle fake news
Il motivo del coinvolgimento della Bundeskriminalamt nel clamoroso errore commesso dalla Commissione Moro 2 sulla giornalista Birgit Kraatz è dovuto al fatto che in una vecchia relazione del 31 luglio 2000, presentata da due parlamentari della destra postfascista, il senatore Alfredo Mantica e il deputato Enzo Fragalà, membri della commissione Stragi presieduta dal senatore Pellegrino, appariva in modo del tutto abusivo il nome di Birgit Kraatz. A seguito di una rogatoria diretta alle autorità tedesche, presentata dal giudice Francesco Amato sui nomi di alcuni esponenti vicini al movimento eversivo 2 giugno, la polizia tedesca inviava in risposta una relazione. Senza alcuna giustificazione comprensibile, l’Ucigos – l’Ufficio centrale della polizia politica destinatario della relazione – riportava il nome di Birgit Kraatz nella lettera che accompagnava il testo della Bundeskriminalamt. Nome che non era presente all’interno del documento della polizia tedesca e che mai più riapparirà. Nella successiva minuta della Digos di Roma, che riceve la documentazione dall’Ucigos e la rigira al magistrato, non vi è infatti più alcuna traccia della Kraatz. Nonostante questa evidente anomalia, i due parlamentari senza svolgere verifiche riportano il nome della donna nella loro relazione, indicandola come una esponente del gruppo “2 giugno”. Alcuni consulenti della commissione Fioroni che lavoravano da tempo sulla palazzina di via dei Massimi 91, ossessionati dall’idea che fosse un luogo chiave del sequestro Moro, scandagliano i materiali digitalizzati delle precedenti commissioni avvalendosi di parole chiave. Intercettano in questo modo il nome della Kraatz incrociandolo con quello delle persone che risiedevano all’epoca nella palazzina dello Ior. Nasce così il grossolano errore: nessuno legge attentamente le carte e si domanda perché il nome della Kraatz sia assente dalla relazione inviata della polizia tedesca ma compaia nella minuta che l’accompagna. Non si svolgono le necessarie verifiche, non si cercano risposte a questa incongruenza, non si fanno approfondimenti su altre fonti di informazione. In poche parole non si utilizza una corretta metodologia. Stupisce anche che autori di indagini giudiziarie che da decenni traversano gli anni 70 non abbiano avuto le capacità di arrivare a comprendere chi fosse veramente Birgit Kraatz, certamente non una personalità sconosciuta. Emerge un modo di lavorare superficiale, viziato dal pregiudizio, orientato unicamente a trovare conferma delle proprie convinzioni, evitando sistematicamente ogni indizio, segnale, o prova che sollevi dei problemi, inceppi o allontani dalla meta prefigurata o peggio smentisca i teoremi precostituiti. Insomma un metodo fallimentare, una gigantesca officina di fake news.

Note
1
Moro: Fioroni, Kraatz non fa parte organizzazione 2 giugno. Su cronista tedesca ex di Piperno. Risulta da atto recente
ROMA (ANSA) – ROMA, 5 OTT – Sull’adesione di Birgit Kraatz all’organizzazione estremista tedesca del ‘2 Giugno’, “ci sono degli atti che lo dicono e che noi abbiamo ereditato, ma c’è anche un documento di due mesi fa che dice che lei non c’entra niente”.
Così Giuseppe Fioroni precisa il riferimento alla giornalista tedesca che fu corrispondente in Italia dal 1968-98 per Spiegel, Stern e Zdf e citata nel libro che l’ex ministro ha scritto sul caso Moro (sulla base del lavoro svolto dalla commissione parlamentare d’inchiesta Moro2, presieduta da Fioroni). La donna ha escluso a più riprese la sua appartenenza al gruppo estremista, contestando quanto scritto, invece, nella relazione della Commissione, in cui viene citata come “già attiva nel movimento estremista 2 giugno e compagna di Franco Piperno”. Un passaggio che nel libro non c’è.
A pagina 123 Kraatz viene nominata perché, all’epoca del rapimento dello statista della Dc, abitava in un palazzo di proprietà dello Ior, in via Massimi a Roma, e lo stesso che ospitò poco dopo Prospero Gallinari, Br, che era nel gruppo che uccise la scorta di Moro. Inoltre, come si legge nel libro, la donna a quel tempo era “legata sentimentalmente a Franco Piperno, il leader di Autonomia operaia”, e “secondo la testimonianza di più condomini – continua il testo – Piperno frequentava l’abitazione della Kraatz che ha confermato alla commissione il suo rapporto d’amore con Piperno, ma ha escluso che si trattenesse nel condominio, anche se vi si recava qualche volta”.
Quindi, come ha chiarito Fioroni alla presentazione del libro ieri al Senato, il riferimento alla giornalista era per il rapporto avuto con Piperno (“assolutamente legittimo”, secondo Fioroni) e in primis per l’eventuale presenza di Piperno nel palazzo romano. “A noi interessa solo per le relazioni sentimentali che aveva – ha concluso l’ex deputato – abbiamo inserito lei nel testo solamente per dimostrare che c’era Piperno che frequentava quella casa. Poi se era dell’organizzazione del 2 giugno o altro, a me non serviva a niente”. (ANSA).
SUA/ S43 QBXL
2.
Venerdì 16 Ottobre 2020, ore 10,30, presentazione del volume di Gero Grassi “Aldo Moro, la verità negata”. Interventi di Gianni Marilotti, Gero Grassi, Giuseppe Fioroni, Luigi Zanda, Stefania Limiti. Coordina: Anthony Muroni. http://webtv.senato.it/webtv_evento?video_evento=120501

Note
1
Moro: Fioroni, Kraatz non fa parte organizzazione 2 giugno. Su cronista tedesca ex di Piperno. Risulta da atto recente
ROMA (ANSA) – ROMA, 5 OTT – Sull’adesione di Birgit Kraatz all’organizzazione estremista tedesca del ‘2 Giugno’, “ci sono degli atti che lo dicono e che noi abbiamo ereditato, ma c’è anche un documento di due mesi fa che dice che lei non c’entra niente”.
Così Giuseppe Fioroni precisa il riferimento alla giornalista tedesca che fu corrispondente in Italia dal 1968-98 per Spiegel, Stern e Zdf e citata nel libro che l’ex ministro ha scritto sul caso Moro (sulla base del lavoro svolto dalla commissione parlamentare d’inchiesta Moro2, presieduta da Fioroni). La donna ha escluso a più riprese la sua appartenenza al gruppo estremista, contestando quanto scritto, invece, nella relazione della Commissione, in cui viene citata come “già attiva nel movimento estremista 2 giugno e compagna di Franco Piperno”. Un passaggio che nel libro non c’è.
A pagina 123 Kraatz viene nominata perché, all’epoca del rapimento dello statista della Dc, abitava in un palazzo di proprietà dello Ior, in via Massimi a Roma, e lo stesso che ospitò poco dopo Prospero Gallinari, Br, che era nel gruppo che uccise la scorta di Moro. Inoltre, come si legge nel libro, la donna a quel tempo era “legata sentimentalmente a Franco Piperno, il leader di Autonomia operaia”, e “secondo la testimonianza di più condomini – continua il testo – Piperno frequentava l’abitazione della Kraatz che ha confermato alla commissione il suo rapporto d’amore con Piperno, ma ha escluso che si trattenesse nel condominio, anche se vi si recava qualche volta”.
Quindi, come ha chiarito Fioroni alla presentazione del libro ieri al Senato, il riferimento alla giornalista era per il rapporto avuto con Piperno (“assolutamente legittimo”, secondo Fioroni) e in primis per l’eventuale presenza di Piperno nel palazzo romano. “A noi interessa solo per le relazioni sentimentali che aveva – ha concluso l’ex deputato – abbiamo inserito lei nel testo solamente per dimostrare che c’era Piperno che frequentava quella casa. Poi se era dell’organizzazione del 2 giugno o altro, a me non serviva a niente”. (ANSA).
SUA/ S43 QBXL
2.
Venerdì 16 Ottobre 2020, ore 10,30, presentazione del volume di Gero Grassi “Aldo Moro, la verità negata”. Interventi di Gianni Marilotti, Gero Grassi, Giuseppe Fioroni, Luigi Zanda, Stefania Limiti. Coordina: Anthony Muroni. http://webtv.senato.it/webtv_evento?video_evento=120501

Altri articoli
La prima querela, https://insorgenze.net/2020/05/17/gero-grassi-querelato-per-le-fake-news-sul-sequestro-moro/


Franco Piperno, «Il Pci impedì a Fanfani di salvare Moro. Gotor? Scrive balle»

L’intervista – «Io in via Gradoli? Una balla di Gotor». Piperno ritorna sulle ultime settimane del sequestro Moro, tra fine aprile e inizio maggio ’78, quando emerse un accenno di trattativa che poi non ebbe seguito. Liquida Miguel Gotor, che nelle ultime settimane lo ha accusato sul Fatto Quotidiano di essere la gola profonda che avrebbe portato alla scoperta della base brigatista di via Gradoli: «non a caso dagli scrittori di libri polizieschi ritenuto uno storico ma dagli storici considerato solo un romanziere». Infine ridicolizza le “clamorose scoperte”, annunciate nella ultima relazione intermedia prodotta dalla defunta Commissione Moro 2

Paolo Persichetti
Il Dubbio 26 aprile 2018

Il sequestro Moro poteva concludersi senza la morte dell’ostaggio? Franco Piperno ribadisce che era possibile. Tutto ruota attorno ai giorni concitati d’inizio maggio ‘78, dopo la telefonata di Moretti del 30 aprile alla famiglia dello statista democristiano e il comunicato Br nel quale figurava quel gerundio – «stiamo eseguendo la sentenza» – che di fatto rimandava l’esecuzione. L’iniziativa socialista aveva aperto un canale di comunicazione ed ai brigatisti era stato detto che il 7 maggio Fanfani avrebbe fatto un’importante dichiarazione di apertura. Perché tacque? Il suo silenzio fu la conseguenza di una interferenza del Pci, che forte dei suoi voti indispensabili per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica aveva validi argomenti per condizionare le decisioni del Presidente del Senato, uno dei pretendenti più quotati? Durante le trattative per la formazione del nuovo governo, Fanfani aveva cercato di scavalcare a sinistra Moro proponendo un governo d’emergenza con la partecipazione diretta dei comunisti. Ne scrive sui suoi Diari un infastidito Andreotti e lo testimonia l’ambasciatore Usa Gardner, allarmatissimo ma poi rassicurato dall’opzione ben più moderata di Moro che tenne fuori dal governo i tre ministri tecnici indicati dal Pci, rompendo gli accordi presi da Zaccagnini, pronto a dimettersi, e dallo stesso Andreotti. Piperno giocò un ruolo chiave attorno a quell’abbozzo di trattativa che però non riuscì  a conseguire il suo scopo. Una lacerazione della «linea della fermezza» che ancora oggi disturba la storiografia ispirata a quelle posizioni e che a distanza di quarant’anni non rinuncia a lanciare i propri strali dietrologici, calunniando i protagonisti di quella complicata vicenda.
Sul Fatto Quotidiano del 6 e del 20 aprile Miguel Gotor ha tirato in ballo nella intricata vicenda di via Gradoli la responsabilità di Franco Piperno, figura di spicco del ’68, tra i fondatori di Potere operaio, coinvolto nei processi 7 aprile e Metropoli. Secondo l’ex parlamentare, già membro della Commissione Moro, dietro la messa in scena della seduta spiritica che si tenne il 2 aprile 1978 a Zappolino, piccola frazione distante una trentina di chilometri da Bologna, nella casa di campagna del professor Clò, presenti Romano Prodi ed altri docenti universitari, che negli anni successivi saranno destinati ad incarichi di governo, ci sarebbe stata la “soffiata” di «un esponente di prestigio dell’area dell’eversione». Piperno avrebbe fornito il suggerimento al futuro ministro del Tesoro, Beniamino Andreatta, secondo alcune voci mai confermate presente anch’egli alla seduta spiritica, approfittando del fatto che fosse fondatore e rettore  dell’Unical, l’università della Calabria,  dove Piperno stesso era docente di fisica.

In via Gradoli, situata nella zona Nord di Roma, il 18 aprile 1978 i Vigili del fuoco, chiamati per una perdita d’acqua, scoprirono una importante base delle Brigate rosse, affittata nel dicembre 1975 all’ingegner Borghi, alias Mario Moretti.

Nel “rapportino”, la scheda che riassume modalità, cause e soluzioni adottate dalla squadra dei Vigili del fuoco per portare a termine l’intervento, redatto al rientro in sede, il Caposquadra Giuseppe Leonardi scrive che alle 9.47 dall’interno 7: «Per mezzo di scala a ganci si provvedeva ad entrare nell’appartamento soprastante [int. 11] per constatare la causa di infiltrazione di acqua». Alla voce probabili cause, risponde: «Dimenticanza chiusura rubinetto della doccia del bagno» Nel relazione dattiloscritta specifica più dettagliatamente: «Il danno era semplicemente provocato dalla doccia, del tipo telefono, ri[ma…] aperta e rivolta contro il muro che faceva infiltrare l’acqua da dietro la vasca da bagno dietro il muro danneggiando i solai sottostanti. Si elimina[…] danno chiudendo il rubinetto erogatore» Più avanti il Caposquadra spiega che «posti in vista di un tavolo, vi erano volantini a firma delle “Brigate rosse» e  «volumi delle B.R» che attirarono la sua attenzione facendo scattare l’allarme.

La preziosa informazione sull’ubicazione della base brigatista – lascia intendere Gotor – sarebbe pervenuta all’ex esponente di Potop dalla proprietaria dell’appartamento di via Gradoli: i due si sarebbero conosciuti alla fine degli anni ‘60 per via della comune frequentazione del Cnen, il centro di ricerca nucleare di Frascati. Gotor, sostenitore della tesi che il danno d’acqua non fosse casuale, solleva ulteriori sospetti, ipotizzando che «un brigatista dissidente, un esponente dell’area dell’autonomia collaborativo con lo Stato o un agente dell’antiterrorismo» possa essere entrato nell’appartamento la mattina del 18 aprile, dopo l’uscita di Balzerani e Moretti che quella sera non sarebbe dovuto rientrare, con l’obiettivo di provare a recuperare gli scritti di Moro, sperando fossero nell’appartamento e poi provocare il danno d’acqua che fece cadere la base.
Tuttavia nel corso della fantomatica seduta spiritica emerse un’indicazione molto diversa dalla strada dove qualche settimana dopo venne rinvenuta la base brigatista. Nell’appunto manoscritto, subito girato al capo della polizia Parlato, redatto da Luigi Zanda, collaboratore del ministro dell’Interno Cossiga, che il 5 aprile ricevette la segnalazione da Umberto Cavina, addetto stampa di Benigno Zaccagnini, a suo volta informato il giorno precedente da Romano Prodi di passaggio a Roma, è annotato: «Caro dottore, ecco le indicazioni di cui s’è detto: Via Monreale 28, scala D, int. 1, piano terreno, Milano; lungo la statale 74, nel piccolo tratto in provincia di Viterbo, in località Gradoli, casa isolata con cantina».
Per giustificare questa incongruenza, Gotor inventa la categoria del “depistaggio a fini informativi”, attribuendo a Piperno una sofisticata strategia che mescolando vero e falso avrebbe mirato a «provocare il fallimento dell’azione Moro senza far arrestare Moretti, che era un avversario politico con una diversa prospettiva rivoluzionaria, non un nemico da tradire», per facilitare la riuscita della soluzione negoziata del sequestro nei giorni in cui il vertice socialista si era attivato in questa direzione.

Abbiamo chiesto a Franco Piperno come ci si sente ad essere raffigurato nei panni di una sorta di Cagliostro, burattinaio che tira le fila di un gioco spregiudicato.
Penso che sia la personalità irrisolta di Gotor ad assegnarmi un ruolo del genere;  non a caso dagli scrittori di libri polizieschi il Nostro viene ritenuto uno storico mentre secondo gli storici siamo in presenza di un romanziere. In ogni caso, ad essere sincero, non posso certo dire che sia il prof. Gotor ad avermi calunniato di più. Ben  prima  dei suoi articoli sul Fatto Quotidiano, sul finire degli anni ‘70, mi hanno fatto decisamente di peggio, sono stato accusato, dalla Procura di Padova e poi da quella di Roma, oltre che del delitto Moro, di ben 20 omicidi e 15 rapine; e, per non farmi mancare niente, ci si mise anche la giornalista americana Clara Sterling: in un suo libro sull’Italia di quegli anni scrisse che la Cia aveva accertato come io fossi un agente segreto comunista, educato alla guerriglia a Praga, frequentando i corsi tenuti nella capitale cecoslovacca direttamente dal Kgb.

Una spia dell’Est? Proprio tu che conoscevi i dirigenti del Kor, il Comitato di difesa degli operai polacchi?
Già, li incontrai tutti insieme nel dicembre del 1978: Jacek Kuron, Adam Michnik e gli altri. Non a caso ci fu poi chi per compensare provò a dire che lavoravo per la Cia perché ero riparato in Canada.

Ma non ti era stato rifiutato l’ingresso quando su invito del Mit di Cambridge ti eri recato negli Usa?
Fu quella la ragione per cui poi mi ritrovai nel Quebec, in Canada, tra i pellerossa.

Quindi smentisci di aver mai parlato con Andreatta?
Faccio molta fatica a prendere sul serio ricostruzioni del genere. Sono arrivato all’università di Cosenza solo all’inizio del 1975, In precedenza ero docente al Politecnico di Milano. All’epoca il rettore dell’Unical era Cesare Roda, Andreatta aveva l’asciato l’università calabrese l’anno precedente; e nel 1976 venne eletto per la prima volta in Parlamento. Non ho mai avuto occasione di conoscerlo. Mi par di capire che Gotor non si sia per nulla informato prima di scrivere.

E via Gradoli? Una vecchia nota di Ansoino Andreassi, funzionario dell’Ucigos, del 6 luglio 1979 riferiva, non sulla base di documenti amministrativi accertati ma di voci provenienti da fonti riservate, originate dal Sismi e dalla questura di Genova, che avresti conosciuto fin dal 1969, al Cnen della Casaccia, Luciana Bozzi, proprietaria dell’appartamento di via Gradoli. Per tenere in piedi le sue congetture, in barba all’Ucigos, Gotor sposta addirittura la Bozzi a Frascati mentre l’informativa della polizia la colloca alla Casaccia, oltretutto il contratto fu stipulato da Moretti col marito della Bozzi, anch’egli coproprietario.
Infatti, ho fatto la mia tesi e poi la specializzazione in fisica della fusione nucleare al Cnen di Frascati, non ho mai frequentato la  Casaccia e il nome di Luciana Bozzi non mi dice assolutamente nulla.

La seconda commissione Moro, presieduta da Giuseppe Fioroni, allude ad un tuo ruolo di supervisore del sequestro. Un suo consulente, il colonnello dei carabinieri Massimo Giraudo, afferma che la mattina del 16 marzo dalle finestre dell’abitazione della signora Birgit Kraatz, descritta come un’esponente del gruppo sovversivo tedesco «2 giugno», in via dei Massimi 91, avresti osservato i movimenti del commando brigatista verificando che tutto procedesse come previsto: il parcheggio delle vetture nel garage della palazzina dello Ior e il trasbordo di Moro nell’attico.  Siamo al delirio?
Anche oltre! Birgit Kraatz era una giornalista assolutamente ben introdotta nei circoli della stampa e del mondo politico romano. L’ho conosciuta nei primi anni ‘70 in occasione di una intervista sul movimento studentesco romano rilasciata per Der Spiegel, il giornale di cui in quegli anni era corrispondente. Niente più lontano dalla intelligenza e dalla sensibilità della signora Kraatz il ruolo di sorvegliante delle prestazioni dei brigatisti.

In effetti aver tirato in ballo il nome della signora Kraatz appare l’ennesimo incredibile infortunio di questa commissione. Non solo è iscritta alla Spd dal ’74, e di fatto ha curato i rapporti della socialdemocrazia tedesca con la sinistra italiana, in modo particolare col Pci, intervistando nel 1976 lo stesso Berlinguer (è citata persino nella biografia scritta da Chiara Valentini), ma è stata corrispondente per più di trent’anni oltre che di Der Spiegel, dello Stern e ZDF, ha scritto un libro intervista con Willy Brandt, pubblicato da Editori riuniti.


C’è un episodio molto importante che smentisce alla radice quanto afferma Gotor: poche settimane dopo la morte di Moro hai incontrato Mario Moretti. Perché?
La richiesta era venuta dalle Br; l’incontro, come ho riferito alla Commissione presieduta dall’on. Pellegrino, si svolse in un appartamento del quartiere Prati.

In commissione Stragi ad una precisa domanda dicesti che ad aprire la porta era stato un maggiordomo. L’episodio suggestionò molto la fantasia dei commissari: il Presidente Pellegrino vi intravide la presenza di «inquietanti zone di contiguità» che negli anni successivi hanno alimentato la pubblicistica cospirazionista.
Il maggiordomo con i guanti era un modo metaforico per sottolineare la qualità alto-borghese dell’appartamento.

Insomma li hai presi in giro e loro ci hanno creduto. Cosa volevano sapere le Br?
Moretti ed i suoi avevano chiesto d’incontrarmi con urgenza per ricostruire l’insuccesso della trattativa ma anche per chiarire se ci fosse stata una nostra influenza esterna sui loro militanti provenienti da Potop. Volevano capire se la vicenda della trattativa fosse stata una nostra costruzione per orientare il sequestro. Nonostante queste premesse la discussione si concentrò subito sul silenzio di Fanfani. Volevano capire perché il presidente del Senato non parlò il 7 maggio smentendo l’impegno preso. Lì mi resi conto di quanto le Brigate rosse avessero preso sul serio quei segnali di apertura e capii che il sequestro avrebbe potuto avere un esito diverso se solo ci fosse stata quella dichiarazione annunciata.

Come sei finito in questa storia?
In realtà all’inizio furono Scialoia e Mieli a contattarmi per conto di Livio Zanetti, che conoscevo perché l’Espresso da lui diretto aveva seguito tutto il ‘68. Zanetti mi fece capire che c’era una forte insistenza dei socialisti per aprire una trattativa. Fu lui a mettermi in contatto con Signorile, vice segretario del Psi che si muoveva per conto di Craxi. Il segretario non voleva esporsi direttamente, lo incontrai personalmente solo alcune settimane dopo la morte di Moro. Inizialmente ero restio a farmi coinvolgere malgrado fossi assolutamente consapevole che l’eventuale uccisione di Moro avrebbe provocato  una repressione tragicamente liberticida per tutti i movimenti antagonisti di quegli anni. Per altro, il mio trasferimento in Calabria mi aveva allontanato dalla militanza politica; oltre ad insegnare, dirigevo un dipartimento universitario sicché mi restava poco o nessun tempo per l’attività politica extra-accademica. Poi, a metà aprile accadde qualcosa destinata a mutare non solo il mio umore ma la mia vita stessa: Fiora Pirri Ardizzone, allora mia moglie, venne arrestata ed accusata di aver partecipato al rapimento di Moro in via Fani ed all’uccisione degli uomini della scorta. Un testimone aveva scambiato il suo volto con quello di una donna del commando, quando in realtà quella mattina Fiora partecipava ad una assemblea universitaria a Cosenza. Di conseguenza riorganizzai da cima a fondo la mia agenda, rimandai l’impegno  di “visiting professor” assunto con il Mit di Boston e mi lasciai afferrare dal dramma che, per altro, l’intero nostro Paese stava vivendo. Cosi, una  settimana dopo quell’arresto, mi recai a Roma per incontrare Zanetti e poi Signorile. A maggio il direttore dell’Espresso mi chiese un articolo sulla trattativa che ebbe un destino singolare: apparso il giorno del ritrovamento del cadavere di Moro in via Caetani, dopo 5 ore fu ritirato dalle edicole e inviato al macero. Nel dicembre del 1978 ripresi e sviluppai quel testo che uscì su Pre-print col titolo «Dal terrorismo alla guerriglia».

Quello che riprendeva il verso di Yeats, «coniugare insieme la terribile bellezza del 12 marzo del ‘77 per le strade di Roma con la geometrica potenza dispiegata in via Fani»?
Sì, nel testo ragionavo cercando di spiegare perché era meglio liberare Moro. Al tempo stesso tentavo di aprire un discorso sulla lotta armata legandola al carattere insurrezionale della manifestazione del 12 marzo. Quel giorno ero di passaggio in città perché dovevo raggiungere la fiera di Lipsia, allora nella Ddr, dove avevo un appuntamento con degli armeni per acquistare un computer necessario al Dipartimento di Fisica che allora dirigevo. Per inciso la  “macchina socialistica” costava all’epoca un decimo della sua analoga “capitalistica”, ma occupava uno spazio venti volte maggiore – insomma fu un viaggio inutile, salvo il fatto che per caso mi offrì l’occasione, nel pomeriggio di quel fatale giorno di marzo, di partecipare ad un vero e proprio tentativo insurrezionale. Nel centro storico di Roma, tutti i negozi e perfino i bar erano chiusi: per le strade ed i vicoli si svolgevano durissimi scontri tra manifestanti e gendarmi, scontri nei quali gli abitanti, per esempio quelli di Campo de Fiori, fraternizzavamo attivamente con i dimostranti. Ricordo un fruttivendolo che aveva riaperto il suo negozio per dare rifugio ai feriti; così come un’armeria su Lungotevere presa d’assalto e saccheggiata dalla folla in tumulto. Prima di quel pomeriggio di marzo, nei miei non brevi anni di militanza, non avevo mai partecipato o anche solo assistito ad una esperienza di ribellione sociale, per dir così, allo stato nascente. Da qui l’immagine sulla «terribile bellezza» che riprendeva gli scontri della Pasqua irlandese del 1916.

Secondo te perché Fanfani non parlò?
Ritengo che ci fu un intervento molto forte del Pci, una pressione che fece venir meno l’impegno preso. Io penso che Fanfani avesse informato il Pci del suo intento. Non poteva fare diversamente anche per il ruolo istituzionale che rivestiva. Signorile non aveva parlato solo con Craxi ma anche con altri politici. Di sicuro ne era al corrente il Presidente della Repubblica Leone, il suo addetto militare, ovviamente i vertici socialisti e del partito democristiano. Lo sapevano in troppi perché la cosa non fosse circolata e pervenuta al Pci.

In effetti il 2 di maggio Berlinguer aveva visto Craxi e Balzamo. Durante l’incontro i socialisti spiegarono che un modo possibile per salvare la vita di Moro sarebbe stato, per esempio, la scarcerazione anche di un solo detenuto politico con problemi di salute ed in regime di carcerazione preventiva. Berlinguer era radicalmente contrario a qualsiasi concessione favorevole ai brigatisti; piuttosto si mostrava, come un commissario della polizia politica, interessato ad avere informazioni sui canali di cui si avvalevano i socialisti e che li rendevano sicuri di una possibile liberazione dell’ostaggio. In ogni caso, bisogna pur dire che il tentativo dei socialisti, nel quale fosti coinvolto e travolto, non riuscì e vinse il partito della «fermezza repubblicana», quello che aveva rimosso ogni autocritica e si mostrava disposto a sacrificare la vita di Moro.
In un primo momento Fanfani si era mostrato disponibile ad intervenire pubblicamente: Signorile lo aveva incontrato per la sua posizione critica rispetto alla linea della fermezza ed aveva ricevuto rassicurazioni. Alle Br giunse questa informazione: «Fanfani ha una disponibilità ad ascoltare le richieste delle Br purché queste non comportino inaccettabili violazioni  della legalità». Ad esempio: alleggerire le condizioni carcerarie, al limite della tortura, alle quali erano sottoposti migliaia di detenuti politici. La domenica invece parlò Bartolomei, credo ad Arezzo, dove pronunciò un bla bla incomprensibile e inaccettabile a livello di senso comune. Noi che eravamo della partita riuscimmo a percepire nelle sfumature di una frase un esile messaggio. Ma non era questo il segnale atteso. Per i brigatisti che si aspettavano una dichiarazione chiara e netta quel discorso suonò come un rifiuto.

Signorile ha raccontato che davanti a lui Fanfani aveva dato istruzioni telefoniche a Bartolomei su cosa dire mentre si era riservato di prendere la parola nella riunione di Direzione prevista il 9  maggio. Ma alla fine non disse nulla neanche in quella sede, basta leggere i suoi diari. La notizia del ritrovamento del corpo di Moro in via Caetani arrivò dopo il suo intervento.
Risulta anche a me. Credo che questo repentino cambio di atteggiamento riassuma il nodo politico della vicenda: Fanfani fece un passo indietro su pressione del Pci.

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