Lega, banda armata «istituzionale». I paradossi dell’inchiesta di Verona contro la Guardia nazionale padana

Reati politici contestati alla Lega nord. Per l’accusa, il ministro degli Interni Maroni sarebbe stato il capo di un’associazione a carattere militare, denominata prima “Camicie verdi” e poi “Guardia nazionale padana”. Graziato dalla Consulta, arresta militanti della sinistra rivoluzionaria accusandoli degli stessi reati di cui lui non dovrà rispondere perchè coperto dall’immunità

Paolo Persichetti
Liberazione 24 gennaio 2010

«Costituzione di un’associazione a carattere militare», con questo capo d’imputazione previsto dall’articolo 1 della legge 243 del 1948, finalizzata a reprimere la creazione di milizie paramilitari, il gup di Verona Rita Caccamo ha rinviato a giudizio 36 esponenti della Lega nord, tra cui spiccano i nomi dell’attuale sindaco di Treviso Gian Paolo Gobbo, del deputato Matteo Bragantini, dell’ex sindaco di Milano Marco Formentini, che non hanno potuto avvalersi dell’immunità parlamentare come invece è accaduto per l’intero gotha leghista: Umberto Bossi, Roberto Maroni, Mario Borghezio, Roberto Calderoli, Francesco Speroni ed altri. A restare impigliati nelle maglie dell’inchiesta condotta dal pm Guido Papalia sono rimasti in prevalenza solo alcuni “caporali” e qualche “sergente”. La vicenda risale al 1996, epoca in cui la Lega perseguiva una strategia che rasentava l’insurrezionalismo secessionista. Diversa acqua è passata sotto i ponti da allora. Nel frattempo, il 25 gennaio 2006 una serie d’innovazioni legislative in difesa della libertà di espressione hanno fatto decadere tre delle 4 imputazioni su cui era incardinata l’inchiesta: l’articolo 241 (attentato contro l’integrità, indipendenza dello Stato) e 283 (Attentato contro la costituzione) del codice penale. E’ bastato che il Parlamento inserisse il requisito degli «atti violenti» perché la configurazione giuridica dei fatti contestati perdesse fondamento. Circostanza questa senza dubbio positiva, anche se non ci si può esimere dal sottolineare come altrove la manifestazione d’opinioni o propositi d’altra natura, anticapitalisti o antigovernativi per un verso, o ispirati a credi religiosi non conformi per l’altro, abbiano subito al contrario un inasprimento repressivo senza precedenti, ivi compreso la reintroduzione dell’offesa a pubblico ufficiale. I leghisti hanno ottenuto l’abolizione dei reati che mettevano a repentaglio le loro opinioni ideologiche e rafforzato quelli che colpiscono le opinioni degli avversari. Venuti meno i reati fine, oltre al 241 e 283 cp veniva contestata anche l’associazione antinazionale finalizzata a «deprimere e distruggere il sentimento della Nazione» (271 cp), dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con sentenza del 5 luglio 2001, n. 243, la magistratura ha dovuto ripiegare sull’unico reato mezzo presente: «l’associazione a carattere militare denominata “Camicie verdi” poi confluita in un’altra struttura più complessa denominata “Guardia nazionale padana”». Secondo l’accusa «gerarchicamente organizzata e addestrata per un eventuale impiego collettivo in azioni di violenza e minaccia – presentate come azioni di legittima difesa di pretesi diritti violati – e utilizzata anche per intimidire gli aderenti contrari alle direttive politiche dei vertici del movimento, e quindi impedirne la partecipazione al dibattito interno, e così imporre attraverso la riduzione al silenzio dei dissenzienti una precisa linea politica». Il processo che si aprirà il primo ottobre 2010, riforma del processo breve permettendo, riserva notevoli paradossi. Alla sbarra sarà giudicata quella che qualcuno ha già definito una «eversione istituzionale». Basti pensare che il capo di questa struttura paramilitare altri non era che l’attuale ministro degli Interni Roberto Maroni, scampato al processo grazie alla Consulta. Tant’è che in molti invocano il tempo passato, oltre 13 anni, il percorso di costituzionalizzazione della Lega, eccetera. Tutto vero e tutto giusto. Peccato però che questi argomenti, del tutto condivisibili, valgano soltanto quando ad essere sul banco degli imputati sono lorsignori. Nei giorni scorsi, da ministro dell’Interno, Roberto Maroni si congratulava con il capo della polizia, Antonio Manganelli, per l’arresto di Manolo Morlacchi e Virgilio Costantino, accusati di fare parte di un’ennesima propaggine delle cosiddette «nuove Br». Ai due, che hanno contestato ogni addebito, è bastato molto meno di quanto fosse contestato al ministro per ritrovarsi in carcere. Scrivere un libro e avere un nome carico di storia. Ci sono poi detenuti politici rinchiusi da oltre trent’anni. Per alcuni il tempo si conta in minuti, per altri in secoli.

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Anatomia del discorso leghista
Camicie verdi di ieri, ronde di oggi
Le ronde non fanno primavera
Ronde: piccole bande armate crescono
Fantasmi dalla vita lunga, un altro Morlacchi dietro le sbarre

«Rabbia populista» o «nuova lotta di classe»?

Francia, fabbriche in rivolta: bloccati i premi per i manager. Si apre la discussione di fronte alla crisi economica

Paolo Persichetti
Liberazione 27 marzo 2009

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«Rabbia populista» o nuova «lotta di classe»? Ieri sulle pagine dei più grandi quotidiani nazionali campeggiava questa domanda: un nuovo spettro si sta aggirando per il globo?
Commenti preoccupati e cronache inquiete s’interrogavano sul reale significato delle notizie provenienti dagli Stati uniti, dalla Francia e dalla Gran Bretagna. A New York, dopo l’arresto del magnate della speculazione finanziaria Maddof e la minaccia del Congresso di tassare con un’aliquota del 90% i bonus padronali, i dieci manager più pagati del colosso delle assicurazioni mondiali Aig, tra i più coinvolti nel crack delle Borse, hanno restituito i bonus milionari ricevuti come premi per i loro disastri. Per farli rinunciare a un po’ della loro famelica ingordigia è bastato un fine settima di picchetti organizzati da manifestanti davanti alle loro megaville blindate e con l’immancabile piscina.
A Edinburgo, in piena notte, il villone di Sir Fred Goodwin, l’amministratore delegato che ha portato al collasso la Royal bank of Scotland, per poi andarsene serenamente in pensione con un bonus di 16,9 milioni di sterline, alla faccia di migliaia correntisti ridotti al lastrico per aver creduto nei portafogli azionari offerti dai servizi finanziari dell’istituto di credito, è stato assalito da un gruppo di attivisti che hanno rivendicato l’azione con la sigla Bank bosses are criminals, «I banchieri sono dei criminali». Motto che riecheggia quello delle curve da stadio di mezza Europa, All corps are bastards, «Tutte le guardie sono bastarde».
Nel centro della Francia, a Pithiviers, Luc Rousselet, amministratore delegato della 3M, società farmaceutica americana in procinto di licenziare 110 dei suoi 235 dipendenti, è stato “trattenuto” negli uffici dell’azienda per oltre 30 ore dagli operai che era venuto ad incontrare. I lavoratori esigevano dei negoziati con l’azienda sulle modalità del piano di crisi che dovrà accompagnare la brusca riduzione di personale.
Ovviamente per gli operai non si è trattato di un «sequestro», com’è stato scritto sposando il punto di vista “padronale”, ma di un imprevisto prolungamento d’orario della giornata di lavoro del loro capo. Uno straordinario giustificato dall’eccezionalità della situazione venuta a crearsi. I 2700 lavoratori della 3M France, società ripartita su 11 siti, conosciuta per la produzione di “post-it” e del nastro adesivo “Scotch”, sono in sciopero illimitato dal 20 marzo. Un episodio analogo era già accaduto il 12 marzo scorso, quando il presidente-direttore generale di Sony France, Serge Foucher, era stato anche lui costretto a uno “straordinario notturno” in compagnia delle sue maestranze in lotta. Lo stabilimento di Pontonx-sur-l’Adour, nelle Lande, impiega 311 persone e la sua chiusura è fissata per il 17 aprile prossimo. Al direttore della Continental, invece, è toccato in sorte un fitto lancio di uova da parte dei 1120 addetti dell’impianto di Claroix, che proprio ieri sono stati ricevuti in delegazione da un consigliere di Sarkozy all’Eliseo.
Questa volta gli operai non sono isolati, hanno alle spalle il sostegno dell’opinione pubblica indignata di fronte alla notizia dei mega compensi attribuiti ai manager d’imprese che licenziano o di banche in deficit dopo aver sperperato il denaro dei clienti.
La rabbia è montata di fronte alle parole di Laurence Parisot, presidente della confindustria francese, che si era detta indisponibile di fronte alla richiesta del presidente della repubblica d’intervenire sui consigli d’amministrazione affinché i manager rinunciassero ai premi elargiti sotto varie forme (stock options, ovvero azioni con remunerazioni privilegiate, liquidazioni d’oro o pensioni stratosferiche). Il primo ministro ha dovuto annunciare il varo di un decreto per vietare l’attribuzione di questi bonus e stock options per le aziende che ricevono aiuti dallo Stato. A questo punto, dopo le resistenze iniziali, Gerard Mastellet e Jean-Francois Cirelli, presidente e vice presidente di Gdf-Suez, il gigante francese dell’energia, hanno dovuto rinunciare ai loro compensi supplementari piegandosi – hanno detto con malcelata ipocrisia – al «senso di responsabilità».
I titoli tossici immessi nei circuiti finanziari stanno forse scatenando la reazione di sani anticorpi sociali? All’estero, certo non in Italia, l’ira popolare sta cambiando bersaglio: dalla «Casta» alla «Borsa», dai «politici» ai «padroni»; che la barba di Marx stia di nuovo spuntando?
Quel che sta accadendo, in particolare al di là delle Alpi, dimostra quanto devastante sia stata da noi la prolungata stagione del giustizialismo, con il suo corollario d’ideologia penale e vittimismo seguiti alle ripetute emergenze giudiziarie. Il decennio 90 si è accanito contro i corrotti della politica assolvendo i corruttori dell’economia, aprendo la strada non solo alla vittoria politica del partito azienda ma alla sua egemonia politico-culturale sulla società.
Vedremo più in là se ha ragione L’Economist quando descrive, un po’ alla Ballard, l’albeggiare di una rivoluzione del ceto medio proletarizzato; o se invece ci sarà un’irruzione di protagonismo del nuovo precariato sociale. Una cosa è certa: oltreconfine hanno individuato la contraddizione da attaccare. È tutta la differenza che passa tra allearsi contro i padroni o fare le ronde contro i romeni. Ma quel che resta della sinistra italiana l’avrà capito?

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