Dopo la notte di odio, gli invasati della vendetta e le tricoteuses che siedono sugli scranni del Parlamento e nelle redazioni dei giornali e delle televisioni costretti a guardare la realtà.
La decisione sull’estradizione di Battisti resta nelle mani del presidente della Repubblica Lula. Fallisce il golpe giudiziario tentato dal capo del Tribunale supremo, Gilmar Mendes
Paolo Persichetti
Liberazione 20 novembre 2009
Cesare Battisti è ancora in Brasile e l’intricata vicenda della sua estradizione è ben lontana dall’essere conclusa. Cessata la danza macabra dei festeggiamenti seguiti all’annuncio del via libera all’estradizione concesso mercoledì sera, anche se di stretta misura (5 contro 4), dal Supremo tribunale federale brasiliano, diradati i fumi dell’odio, seccata la schiuma del rancore, il risveglio per le tante tricoteuses che siedono sugli scranni del Parlamento o nelle redazioni dei giornali e delle televisioni è stato mesto e sbiascicato. Dopo la sbornia il ritorno alla realtà ha infranto il miserabaile sogno della vendetta. Il sabba della sera prima è apparso in tutta la sua fallace illusione, effetto sugestivo, stato di trans della coscienza provocato dall’acido lisergico del livore. L’applauso che ha interrotto i lavori parlamentari all’annuncio del voto favorevole all’estradizione, le centinaia di lanci d’agenzia che riportavano slavine di dichiarazioni avventate e invasate manifestazioni di vittoria, tutto è finito in fumo, svanito come una nube tossica di menzogne, ricordo confuso di una serata di follia. Tanto rumore per nulla. Il golpe giudiziario tentato dal presidente del tribunale supremo federale del Brasile, Gilmar Mendes, non è riuscito. Dopo aver fatto pesare con il proprio voto, ampiamente scontato da mesi, la bilancia contro la concessione dell’asilo politico a Battisti, Mendes aveva puntato tutto sul furto della decisione finale dalle mani del presidente della Repubblica Lula, in barba a tutta la tradizione giuridica internazionale. Tentativo eversivo di modificare unilateralmente l’equilibrio dei poteri previsto nella costituzione. Ma la bilancia del voto si è ribaltata grazie al cambio di fronte del giudice Ayres Britto, che ha permesso alla corte (con un 5 a 4 capovolto) di rispettare il dettato costituzionale. Il capo dello Stato non è un notaio, un passacarte che sigla col suo nome sentenze altrui. Il potere di firma indica una capacità di valutazione qualificata e autonoma. Ora l’argomento della “politicità” dei reati ascritti a Battisti non potrà più essere utilizzato per giustificare il rifiuto della sua estradizione, perché censurato dalla corte, anche se nella dichiarazione di voto Mendes ha ammesso, contraddicendosi, la natura politica di buona parte delle incriminazioni. Lula dovrà fondare l’eventuale rifiuto di consegnarlo all’Italia con altre giustificazioni giuridiche, che tuttavia non mancano nella lunga lista di violazioni, abusi, norme in deroga presenti nel dossier. Non ultimo il fatto che Battisti non avrà diritto ad un nuovo processo, come invece era stato promesso alla Francia pur di estradarlo. Mendes ha sostenuto che la responsabilità diretta o morale negli omicidi contestati a Battisti è priva di politicità perché questi sono stati commessi in azioni individuali, estranei a contesti di piazza, a manifestazioni pubbliche. Ma seguendo questo ragionamento estemporaneo, solo i linciaggi sarebbero politici mentre tutti i tirannicidi della storia rimarrebbero volgari omicidi a carattere privato. E’ con questi fragili argomenti che il Stf ha negato la natura politica dei reati attribuita nelle sentenze dalla stessa magistratura italiana. Come riportava ieri il quotidiano brasiliano O Globo, l’esecutivo sta valutando la possibilità di mantenere Battisti in Brasile utilizzando altre formule legali. «Nessuno, nel governo, crede che Battisti debba tornare in Italia», sostiene una fonte vicina al presidente. Per farlo, Lula ha dalla sua le clausole d’eccezione presenti nel trattato bilaterale, che gli consentono di bloccare anche un processo di estradizione avallato dal massimo potere giudiziario. Ma forse non avrà nemmeno bisogno di farlo, se l’Italia non si dimostrerà in grado di adempiere alla condizione posta dal Stf per concedere l’estradizione: commutare l’ergastolo ad una pena non superiore ai 30 anni.
Link
Battisti è il mostro, impiccatelo
Caso Battisti: parla Tarso Genro, “Anni 70 in Italia, giustizia d’eccezione non fascismo”
Dall’esilio con furore, cronache dalla latitanza e altre storie di esuli e ribelli
Caso Battisti: voto fermo al 4 a 4. Udienza sospesa
Caso Battisti, Toffoli non vota
Le consegne straordinarie degli esuli della lotta armata

«Vita dorata», «intellettuale della rive gauche»? Battisti in realtà conduceva una vita precaria, dal tenore modesto. Portinaio di un immobile, tirava a campare con meno di 800 euro al mese e viveva in una soffitta. Nei ritagli di tempo si dedicava alla sua passione, la scrittura di gialli che certo non gli davano da vivere. Tutto ciò è stato deformato fino a ridisegnarlo come una delle maschere più odiose degli anni 70: l’icona del male, l’assassino dal ghigno feroce. Sorpassato dagli eventi non ha fatto molto per impedire tutto ciò. E gli scrittori alla Bernard Henri Levy e alla Fred Vargas l’hanno schiacciato sotto il peso del loro narcisismo vittimista, eleggendolo ad emblema della persecuzione contro la casta intellettuale. Parlavano di lui ma vedevano se stessi. La vicenda è uno di quei casi in cui la storia trascende i suoi protagonisti. Come lui stesso ha riconosciuto in una sua recente intervista su un quotidiano brasiliano, Battisti non riesce a comprendere come e perché si sia ritrovato al centro di un affaire internazionale, oggetto di tante polemiche, odio e accanimento. Questa incapacità di comprendere ciò che gli accade la dice lunga sugli strumenti culturali del personaggio che sembra vivere in una dimensione separata, nella trama di uno dei suoi “gialli” piuttosto che nella realtà. Da qui il gusto per le trame, i Servizi che intervengono, i toni guasconi, le semplificazioni che rasentano grettezza.