Estradizione di Cesare Battisti: la menzogna dell’ergastolo virtuale

La disinformatia del governo italiano che tenta di negare l’esistenza dell’ergastolo

Tito Lapo Pescheri
L’Altro
13 settembre 2009

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Propaganda fascista contro Cesare Battisti

L’Italia è disposta a fare carte false pur di riavere Cesare Battisti dal Brasile. È da quando si è riaperta la partita delle estradizioni degli esuli italiani che l’Italia bara su tutti i tavoli, quelli del diritto internazionale, della politica diplomatica e della ricostruzione storica degli anni 70. Qualcuno potrebbe anche dire che in questa partita il fine giustifica i mezzi, ma non si pretenda poi di dare lezioni di morale, non s’invochino etica e vittime, ancora meno si pretenda il rispetto internazionale. Il nostro Paese è la fotografia di un ceto politico (di governo e d’opposizione) che vive della doppiezza dei comportamenti e della verità: impunità per sé e i propri amici, regole e sanzioni solo per gli altri, per i propri nemici. Nella vicenda Battisti l’Italia fino ad ora si è contraddistinta per la scelta d’argomenti strumentali, di circostanza, adattati di volta in volta alla controparte. Una truffa dietro l’altra da consumati giocatori di frodo. La prova sta nella strategia scelta di fronte al tribunale superiore federale del Brasile dove l’argomento della contumacia, rilevante quando la discussione si svolgeva di fronte alla giustizia francese, è totalmente scomparso. In Brasile si è parlato soltanto di politicità dei delitti e d’ergastolo. La prima ridicolamente negata, nonostante l’evidenza delle condanne per reati associativi e la presenza d’aggravanti specifiche applicate per sanzionare atti tesi a «sovvertire l’ordinamento costituzionale». Il secondo, il «fine pena mai», anzi «99/99/9999» come recitano gli attuali certificati penali digitalizzati, trasformato nella favoletta dell’«ergastolo virtuale». E questo perché il relatore del tribunale supremo federale, Cezar Peluso, ha vincolato il via libera all’estradizione al rispetto di una clausola: la revoca dell’ergastolo – pena che il Brasile non riconosce perché abolito dopo la dittatura militare – da commutare ad una condanna non superiore a 30 anni. Un criterio del genere è previsto anche nella nostra costituzione che vieta l’estradizione in Paesi dove la persona subirebbe trattamenti degradanti e non riconosciuti dal nostro sistema giudiziario. Ragion per cui, per esempio, non si accolgono richieste da paesi che prevedono la pena di morte. Per aggirare questo nuovo ostacolo le nostre autorità si accingono a organizzare l’ennesimo raggiro. Il procuratore Italo Ormanni, inviato a Brasilia per perorare gli argomenti del governo avrebbe fornito rassicurazioni al Stf sul fatto che la pena dell’ergastolo prevista nel nostro codice sarebbe solo un «concetto virtuale», non una persecuzione a vita. I tecnici di via Arenula avrebbero spiegato, seguendo i canali diplomatici, che l’ergastolo in Italia non oltrepasserebbe i 26 anni, soglia che secondo l’art. 176 consente di chiedere la liberazione condizionale. Questo argomento era già stato impiegato dal guardasigilli Clemente Mastella nel 2007, omettendo però una circostanza decisiva, ovvero che la condizionale è solo un’ipotesi virtuale non un automatismo. Di fronte alla reazione inferocita di alcuni familiari delle vittime, Mastella fece marcia indietro spiegando che si era trattato solo di uno stratagemma per strappare l’estradizione. Un modo per fregare i brasiliani facendogli credere ciò che non era vero. Ora Angiolino Alfano ci riprova, spalleggiato da Frattini e La Russa e con l’assenso di Napolitano. Per denunciare questa operazione di disinformatia alcuni degli oltre 1400 ergastolani italiani (circa il 4,5% dell’intera popolazione reclusa) scrissero anche una lettera aperta al presidente Lula. «In Italia – spiegavano gli autori – uno sciopero della fame che ha coinvolto migliaia di persone contro una pena socialmente eliminativa, figlia giuridica della pena di morte, non fa notizia come il fatto che siano stati depositati alla corte di Strasburgo ben 739 ricorsi contro l’ergastolo». In Italia l’ergastolo resta a tutti gli effetti una pena perpetua. La concessione della liberazione condizionale, dopo il ventiseiesimo anno di reclusione, resta solo un’ipotesi sottomessa alla discrezionalità della magistratura, per altro difforme da tribunale a tribunale e sempre più impraticabile a causa di una giurisprudenza restrittiva che lega il fine pena ad atti pubblici di contrizione e pentimento degni dell’epoca dell’inquisizione. La legge per altro esclude tutti quelli che sono sottoposti al carcere duro (oltre 500 sono in regime di 41 bis). I detenuti rinchiusi da oltre 20 anni sono 1648, tra questi 56 hanno superato i 26 anni e 37 sono andati oltre i 30. Il record riguarda un detenuto rinchiuso nel carcere di Frosinone con ben 39 anni di reclusione sulle spalle. Di ergastolo si muore. Le autorità brasiliane non possono ignorarlo. Stiano ben attente a non farsi ingannare dalle menzogne che vengono da parte italiana.

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Caso Battisti: ultima udienza in corso

brasile_bandieraDias Toffoli, giudice appena nominato al Supremo Tribunal Federal di Brasilia, ha formalmente annunciato che non prenderà parte alle votazioni che si terranno oggi e che decideranno se estradare o no Cesare Battisti. Come avvocato generale di stato si era espresso a favore della concessione di status di rifugiato politico concesso dal governo brasiliano; per questo precedente non voterà.
Senza il suo voto, il pronostico non è certo favorevole per l’ex militante dei PAC che in Italia dovrebbe scontare l’ergastolo.

L’udienza è in corso da meno di un’ora; l’intenzione di alcuni membri del tribunale è di bypassare completamente il presidente brasiliano Lula, che dovrebbe comunque avere l’ultima parola.Durante l’udienza il ministro giudice Cezar Peluso, ha dichiarato che Lula dovrebbe automaticamente inviare l’imputato verso le prigioni italiane.
Il procuratore generale Roberto Gurgel, tra i tanti, sostiene invece che Lula come capo di stato e del governo, responsabile delle relazioni internazionali in Brasile e garante della Costituzione, abbia il diritto di decidere se estradare o no Cesare Battisti in Italia.
Tra poco si saprà qualcosa…

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Caso Battisti: parla Tarso Genro, “Anni 70 in Italia, giustizia d’eccezione non fascismo”

Ora l’Italia s’inventa l’ergastolo virtuale pur di riavere Battisti

Rinviata la decisione del Supremo tribunale federale brasiliano sull’estradizione. Il procuratore Cesar Peluso favorevole a patto che l’Italia rinunci all’ergastolo commutando la condanna a una pena non superiore a 30 anni

Valentina Perniciaro
L’altro
11 settembre 2009

Dopo otto mesi di stallo il “caso Battisti” è approdato nelle aule del Supremo tribunale federale brasiliano, equivalente alla nostre Corte Costituzionale. Su richiesta del governo italiano, nove magistrati dovranno pronunciarsi per decidere se sospendere o meno l’asilo politico concesso a gennaio a Cesare Battisti, ex militante dei Proletari Armati per il Comunismo condannato in contumacia all’ergastolo per quattro omicidi, dal ministro della giustizia brasiliano Tarso Gendro. Il dibattimento non ha portato alla sentenza come ci si aspettava, ma ad una richiesta di sospensione che dia il tempo di esaminare ulteriormente le carte. A data da destinarsi, quindi. battisti01gCesare Battisti non era presente in aula, al contrario del rappresentante del ministero di Grazia e Giustizia Italo Ormanni e dell’ambasciatore italiano in Brasile. Dovessimo prender per buone le parole e l’enfasi della stampa italiana, immagineremmo già Cesare Battisti su un volo per l’Italia, con solide manette ai polsi. Urlano tutti giulivi, starnazzano ad un’estradizione praticamente ottenuta quando la realtà è chiaramente diversa e rivela una partita aperta, ancora tutta da giocare. Degli undici membri originari del Supremo tribunale federale saranno solamente nove quelli a votare: Meneses Direito è infatti scomparso da pochi giorni mentre Cesar de Melo ha deciso di astenersi su questo specifico caso. Dei nove magistrati sono stati otto ad essersi già pronunciati .Quattro a favore della richiesta italiana tra cui il giudice relatore Cezar Peluso, ed altri quattro hanno difeso la concessione dello status di rifugiato politico. Marco Aurelio de Mello, l’ultimo a dichiararsi pro-asilo politico ha fatto richiesta di sospendere il processo. Quello che la stampa italiana tende a non sottolineare e quasi ad occultare completamente è che anche i giudici che hanno votato per l’estradizione, hanno posto delle clausole che non saranno molto facili da gestire per il governo italiano. L’Italia fino a questo momento ha recitato la parte dello spettatore rumoroso ed arrogante; senza dover muovere alcun passo è stata a guardare con polemiche dai toni medievali e dagli atteggiamenti spesso razzisti a cui ormai stanno tentando di abituarci. Ma se l’Italia dovesse vincere questa prima battaglia si troverebbe comunque non poco in difficoltà per riuscire a sottostare alle leggi internazionali. Cezar Peluso, giudice relatore, quello che con più enfasi ha dichiarato di esser favorevole a veder tornare Battisti in Italia ha però posto come requisito minimo che l’ergastolo venga commutato ad una pena non superiore ai trent’anni, visto che in Brasile è stato abolito.
499445fa87604_zoomIeri il ministro degli Esteri Franco Frattini è riuscito a dichiarare: “Spero che la decisione tenga conto del fatto che l’Europa è la culla dei diritti fondamentali e che se accadesse che un cittadino europeo fosse ritenuto rifugiato fuori dall’Europa significherebbe smentire che l’Europa ha una Carta dei diritti fondamentali e che ovviamente nessuno qui può essere torturato, perseguitato, né trattato indegnamente.”  Forse non è stato mai informato delle condizioni che vivono i detenuti in Italia, schiacciati da un sovraffollamento unico in Europa e dalle discriminazioni razziali ormai sancite con il nuovo pacchetto sicurezza, testo di legge che dovrebbe almeno farci stare silenziosi su come “trattiamo degnamente” le persone. C’è una differenza di fondo tra il Brasile e questo nostro starnazzante paese: nel rovesciare la dittatura, loro, hanno rivoluzionato anche il sistema penale, abolendo la pena di morte e l’ergastolo perché non rispettosi dei diritti umani fondamentali. E’ incostituzionale una condanna che porti scritto sopra “Fine Pena Mai”, è inconcepibile la ghigliottina legalizzata che nella nostra società appare così normale. Ma d’altronde siamo un paese che, nel rovesciare la propria dittatura, non ha sentito l’esigenza di cambiare anche il proprio codice penale: i nostri giudici sentenziano tuttora con il Codice Rocco tra le mani, non c’è altro da dire. Commutare l’ergastolo di Battisti con una pena inferiore ai trent’anni. Come faranno? Se riuscissero ad ottenere la sua estradizione si riaprirebbero le richieste anche per tutti gli altri militanti della lotta armata italiana rifugiati per la maggior parte in Francia, di cui molti ergastolani. Tolgono l’ergastolo a tutti? E chi, e non sono pochissimi, tra gli ex militanti delle Brigate Rosse sta ancora scontando la pena dopo 32 anni di carcerazione? Anche i loro di ergastoli cancelliamo o continueremo a non concedergli nemmeno la condizionale? Ministri e deputati, giudici e magistrati,  giornalisti e parolai che già cantano vittoria in attesa di brindare attorno al nuovo corpo in catene che rientra in patria, inizino a pensare come gestire questo cavillo non da poco posto dai colleghi sudamericani.

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Brasile, rinviata la decisione sull’estradizione di Battisti

Il relatore del Tribunale supremo del Brasile si pronuncia per l’annulamento dell’asilo politico concesso a Battisti e ne chiede l’estradizione a patto che l’Italia commuti l’ergastolo ad una pena non superiore a 30 anni. Il Brasile infatti non riconosce la pena dell’ergastolo abolita dal proprio codice penale dopo l’uscita dalla dittatura fascista

Una richiesta che mette in seria difficoltà l’Italia. Il ministro degli esteri Frattini e quello della Difesa La Russa, che vantavano i meriti del nostro sistema giudiziario immacolato (salvo quando si occupa di Berlusconi), sono in difficoltà. L’Italia infatti non è disposta ad accogliere una richiesta del genere che inevitabilmente, in ragione del principio di eguaglianza del trattamento, aprirebbe un contenzioso sull’abolizione di questa pena, per altro già prevista nel dettato costituzionale

Insomma l’Italia è sempre più in un vicolo cieco

Paolo Persichetti
Liberazione 11 settembre 2009

Nonostante l’euforia con la quale molti quotidiani italiani, Repubblica in testa, hanno dato per certa l’imminente estradizione di Cesare Battisti, dopo l’udienza tenutasi mercoledì scorso davanti al tribunale supremo brasiliano (l’equivalente della nostra corte costituzionale), la complessa partita politico-giudiziaria che si sta giocando attorno alla vicenda è ancora tutta aperta. ALeqM5igDSk4Oj0Y4UD4b8FwQtlVQjYD1A
Dopo 11 ore di discussione la corte si è aggiornata rinviando ogni decisione a data da destinarsi. Il presidente Gilmar Mendes ha accolto la richiesta di sospensione avanzata del giudice Marco Aurélio Mello. Oltre al merito, infatti, sono state affrontate numerose opzioni procedurali. Nel corso del primo giro di votazioni la corte si è spaccata: il relatore Cezar Peluso e altri tre giudici hanno votato per l’annullamento dell’asilo politico riconosciuto dal ministro della giustizia Tarso Gendro. A loro avviso la scelta di concederlo sarebbe stata infondata perché i reati ascritti a Battisti (condannato a due ergastoli per la sua militanza nella lotta armata nei lontani anni 70) non sarebbero politici ma di «dritto comune». Tuttavia, poiché il Brasile dopo la dittatura militar-fascista ha abolito l’ergastolo dal suo codice penale, il relatore ha legato l’eventuale via libera per l’estradizione all’accoglimento da parte italiana di una clausola che prevede la commutazione dell’ergastolo ad una pena non superiore ai 30 anni.
Joaquim Barbosa e altri due giudici hanno invece difeso la concessione dello status di rifugiato, replicando che sarebbe stato assurdo smentire la politicità dei reati attribuiti a Battisti perché riconosciuta dalla stessa giustizia italiana attraverso l’applicazione di specifiche aggravanti di pena. Ai tre, che hanno anche censurato l’arroganza del governo italiano e le dichiarazioni razziste di alcuni ministri nei confronti del Brasile, trattato alla stregua di una repubblica delle banane, si è aggiunta la posizione più sfumata di Mello.
Quattro contro quattro insomma. Mancavano due membri del collegio, il giudice Menezes Direito deceduto da pochi giorni, ferocemente convinto dell’estradizione di Battisti. In attesa che riacquistasse le forze il presidente del tribunale aveva appositamente rinviato per mesi la discussione del caso, con la segreta speranza di potersi avvalere del suo voto. L’altro magistrato, Celso de Melo, si è pilatescamente tirato fuori dalla contesa. Ago della bilancia potrebbe essere il Presidente Mendes che mercoledì ha preferito non votare, sempre che non si decida di escludere dal voto il relatore, come proposto da alcuni. Mendes, uomo della destra e gran rivale di Lula, è uno dei capofila del partito dell’estradizione, molto sensibile alle pressioni del governo italiano. Terminata la pausa di riflessione, se non ci saranno nel frattempo cambiamenti, l’aritmetica farà il suo corso sfavorevole a Battisti. Se permanesse invece una situazione di parità, dovrebbe prevalere il principio del favor rei.
499e6d2fc191c_zoomQuello che stampa, mondo politico ed esponenti della vittimocrazia italiana omettono di raccontare, è che l’eventuale annullamento dell’asilo politico avrà come unico effetto immediato la riapertura della procedura d’estradizione, sospesa proprio in virtù della copertura fornita dallo status di rifugiato. Insomma non vedremo affatto Battisti manette ai polsi arrivare in Italia, per la delusione del ministro Frattini e del suo collega La Russa, che un po’ di diritto penale comparato e qualche convenzione internazionale potrebbero pure studiarli. In ogni caso la decisione finale – sempre che la magistratura non dichiari irricevibile la richiesta d’estradizione (va ricordato che il mancato riconoscimento dell’asilo politico non inficia minimamente la possibilità di rifiutare una domanda d’estradizione) – spetta in ultima istanza a Lula.
Non è chiaro cosa farà il presidente brasiliano, negli ultimi tempi sembra che per ragioni di politica interna e d’opportunità internazionale abbia ammorbidito la sua posizione e si sia fatto più ricettivo rispetto alle posizioni italiane, nonostante la loro fastidiosa invasività. La stessa scrittrice Fred Vargas, nume tutelare di Battisti, si è fatta portavoce nelle ultime ore di questi timori legati al mutare degli equilibri interni al governo brasiliano, alla necessità per Lula di avvalersi del sostegno elettorale di un ministro rivale di Gendro. Certo la scrittrice poteva pensarci prima. È lei una delle responsabili della disastrosa linea difensiva sempre portata avanti. Per l’Italia, comunque vada, la vicenda Battisti sarà una grosso problema. Con la sua ostinata insistenza si è cacciata in un vicolo cieco. Figuraccia internazionale se il Brasile dovesse alla fine negare l’estradizione, confermando il giudizio pessimo che già in sede internazionale viene espresso nei confronti del suo sistema penale e penitenziario. Sono ben sette i paesi al mondo che nel corso degli ultimi decenni hanno rifiutato l’estradizione di militanti politici degli anni 70. Tra questi, oltre alla Francia della dottrina Mitterrand, c’è stata anche la Gran Bretagna. In caso contrario, l’Italia dovrebbe mettere mano alla pena dell’ergastolo per Battisti adeguandosi a quei parametri internazionali di civiltà giuridica che da noi fanno difetto. A quel punto si porrebbe il problema degli oltre 1400 ergastolani d’Italia, e degli altri detenuti politici in carcere da oltre 30 anni. La disponibilità espressa a suo tempo dal ministro Mastella venne travolta dalla reazione della lobby vittimocratica. A differenza del Brasile, il nostro sistema politico non ha avuto la nitidezza di liberarsi delle eredità della dittatura fascista, di cui conserviamo ancora un codice penale addirittura irrigidito dalle leggi dell’emergenza.

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