Arriva il partito della legalità

Ispirato da Eugenio Scalfari, organizzato e diretto da Carlo De Benedetti, probabile capolista un Roberto Saviano ancora recalcitrante ma disponibile a dare il suo imprimatur (non può certo sputare sul piatto dove mangia), scende in campo il partito della legalità

Un po’ come la fine di Craxi coincise con il trionfo postumo del craxismo, il tramonto di Berlusconi ci sta lasciando in eredità molte cose del berlusconismo e del suo modello speculare, l’antiberlusconismo. Prendiamo un esempio: il tracollo elettorale del Pdl nelle recenti amministrative non sta affatto provocando l’uscita di scena del partito-azienda. Al contrario assistiamo al moltiplicarsi di questo modello d’organizzazione diretta degli interessi più influenti della borghesia imprenditoriale e finanziaria nella politica.


Mentre i ceti popolari scompaiono dalla politica attiva, grande borghesia, finanza, Confindustria e salotti scendono direttamente in politica moltiplicando i loro partiti-azienda

Accanto all’ipotesi del Partito dei produttori di Montezemolo, ai blocchi di partenza ormai da molto tempo, costruito anch’esso attorno ad un cuore aziendale, si annuncia l’arrivo del Partito di Repubblica camuffato da cartello della società civile. Mentre la formazione di Montezemolo si candida a colmare il vuoto che il declino del berlusconismo rischia di lasciare dietro di sé, il Partito di Repubblica mira paradossalmente a tenere in vita l’esperienza dell’antiberlusconismo riproducendone il calco speculare: modello mediatico-carismatico, un propietario magnate, una strategia ispirata dal marketing politico, assenza di democrazia interna, gruppo dirigente e apparato cooptato.
Da diversi anni ormai il richiamo alla società civile è diventato lo schermo dietro il quale si cela, nella gran parte dei casi, la discesa in campo dei poteri forti, dei grandi salotti, dei miliardari, senza dover più ricorrere al tradizionale ruolo di mediazione e filtro dei professionisti della politica di cui parlava Weber (relegati nel migliore dei casi al ruolo di gregari o yesmen). Una concezione sempre più oligarchica della politica tanto più lontana da modelli partecipativi e di rappresentanza, sicuramente più presenti in alcune forme-partito classiche del Novencento, quanto più è forte l’appello alla società civile. Non a caso da mesi il governo è retto da un sedicente esecutivo di tecnici che sfugge a qualsiasi principio di rappresentanza elettorale (una sorta di golpe soft).


La repressione emancipatrice leit-motiv del partito promosso dal gruppo editorial-fianziario di Carlo De Benedetti

L’arrivo di una lista ispirata dal duo De Benedetti-Scalfari è data per certa. Ad anticipare questa mossa era stato lo stesso Eugenio Scalfari in un editoriale apparso su Repubblica del 13 maggio scorso. A dire il vero, in quella circostanza, l’ex fondatore di Repubblica aveva condizionato la formazione di «una lista civica apparentata con il Pd e rappresentativa del principio di legalità» alla permanenza del “porcellum”, il sistema elettorale attualmente in vigore. Per Scalfari la legalità, di cui vi sarebbe «urgente bisogno», deve essere il tema ideologico dirimente di questa nuova formazione  per combattere «la corruzione, le mafie, le oligarchie corporative nella pubblica amministrazione, l’evasione fiscale e la legalità costituzionale» (manca ovviamente qualsiasi riferimento alle illegalità della finanza internazionale motore scatenante della crisi economica attuale).
Niente di nuovo dal pulpito di Repubblica che da decenni ha fatto della “repressione emancipatrice” la religione civile che ha permesso di mettere una pietra tombale sulla questione sociale.


Saviano capolista?

Il nuovo Partito della legalità – sempre secondo le parole del suo ispiratore – dovrebbe chiamare a raccolta «persone competenti e civilmente impegnate nella difesa di questi valori». Profilo nel quale molti hanno subito visto l’inconfondibile silhouette di Roberto Saviano.
Chiamato in causa l’autore di Gomorra si è subito precipitato a smentire la circostanza senza rinunciare alla sua consueta dose di vittimismo. Nella celebre rubrica dell’Espresso, che fu un tempo di Giorgio Bocca, Saviano ha attaccato quelli che fanno «disinformazione» annunciando sistematicamente la sua entrata in politica ogni qualvolta gli accade di mietere trionfali ascolti televisivi, nonostante le sue mediocri prestazioni. Gli autori di queste voci, ha spiegato con toni stizziti ma sempre meno convincenti (stavolta a tirarlo in ballo è stato Scalfari mica i suoi avversari), sarebbero dei disonesti che attribuendogli l’intenzione di entrare in politica vorrebbero soltanto delegittimarlo, macchiandone l’illibatezza che gli verrebbe dal non essere «percepito come schierato».
Frase interessante solo per il participio inavvertitamente impiegato. L’uomo che sostiene di voler «ridare dignità alle parole della politica», perché le parole, differentemente da come cantava Mina, non sono chiacchiere ma «azione», strumenti capaci di «costruire prassi diverse», non può non sapere che l’essere percepito è altra cosa che dall’essere realmente.
E’ singolare questa teoria della dissimulazione che ricorda da vicino uno dei più classici precetti della politica descritti da Machiavelli, «Ognun vede quel che tu pari, pochi sentono quel che tu sei», in uno scrittore ­– da tempo sempre meno autore e sempre più interprete – che non cessa di rappresentarsi come sacerdote del vero, senza infingimenti, mediazioni e filtri. Per giunta, dopo la querela milionaria presentata contro il Corriere del Mezzogiorno e Marta Herling, per la polemica sulle fonti indirette e anonime citate nel racconto sul terremoto di Casamicciola, a molti non è sfuggito che Saviano stia dimostrando più interesse al valore monetario delle parole piuttosto che al loro significato.


Il prezzo delle parole

Sarà forse per questa concezione borsistica della lingua, che poca importanza attribuisce al senso delle parole tanto da arrivare a sostenere parole senza senso, che Saviano può scrivere cose come: la fedina penale pulita in politica sarebbe un handicap, un «elemento di sospetto e fragilità». Tesi che nell’orgia di demagogia populista attuale non appare di grande originalità: lo affermano ogni giorno Marco Travaglio e Beppe Grillo.
Chissà se sui banchi di scuola gli hanno mai spiegato che la Costituzione italiana è stata scritta da fior fior di pregiudicati, ex galeotti, ex latitanti ed ex sorvegliati speciali con tanto di confino. E che tra questi si contano ben due presidenti della Repubblica.
Se sei pregiudicato – prosegue ottusamente lo scrittore embedded (con Saviano il vecchio modello dell’impegno civile e politico si è trasformato nell’arruolamento, nell’intruppamento tra le file dei crociati dell’ordine, dei professionisti della punizione) – «vuol dire che hai già un protettore. A seconda del reato commesso, ci sarà la mafia, un partito o una cricca a garantire per te. Invece se sei incensurato non hai tutela, puoi essere aggredito da tutti senza che nessuno ne abbia danno».
Per Saviano le carceri italiane sarebbero sovraffollate di potenti ultratutelati, non di una umanità dolente, di disgraziati senza peso e senza futuro. Esperti e operatori del settore non esitano a definire il sistema carcerario una discarica sociale. E nelle discariche, fino a prova contraria, c’è a munnezza; tanto per citare la considerazione sociale attribuita al popolo delle prigioni.
Sembra di capire che per Saviano l’unico modello di società possibile sia una sorta di 41 bis diffuso, un regime di massima sicurezza sociale, un sistema di gabbie e recinti concentrici dove le parole anziché libere finirebbero confiscate sotto chiavistello. E lui ovviamente sarebbe il portachiave.


Scalfari insiste: «Saviano ci servi»
. Mica puoi sputare sul piatto dove mangi!

Per nulla convinto dell’atteggiamento prudente messo in mostra dall’esponente di punta della scuderia di Roberto Santachiara, in una intervista al Fatto quotidiano Scalfari ha ribadito che la presenza dello scrittore nella lista per la legalità «sarebbe un valore aggiunto che può decidere le elezioni». Saviano è considerato un brand vincente, non è più una persona ma un dispositivo, una macchina del consenso di cui non si può fare a meno. Scalfari-Mangiafuoco non può rinunciare alla sua marionetta per mettere in scena il teatrino della poltica. Quale che sia la decisione finale, lo scrittore ha confermato che in ogni caso non rinuncierà «alla possibilità di costruire un nuovo percorso».


Il nuovo mix: partito delle procure e partito delle scorte

Insomma i giochi sembrano fatti. Manca solo l’annuncio ufficiale che secondo alcune indiscrezioni è previsto per il prossimo 14 giugno, data di avvio della festa di tre giorni organizzata da Repubblica a Bologna. Un serbatoio pronto per stilare le liste esiste già: si tratterebbe di pescare tra gli aderenti all’associazione “Libertà e Giustizia”, fondata sempre da De Benedetti. La base di riferimento resta il “ceto medio riflessivo” che ha animato l’esperienza dei Girotondi e riempito gli spalti durante le adunate al Palascharp. C’è poi il partito delle procure a cui si affiancherà quello delle scorte spalleggiato da Saviano.


Legalità e iperliberismo: stessa spiaggia, stesso mare…

A questo punto resta da chiedersi cosa potrà portare di nuovo l’avvento di questo partito al di là delle considerazioni tattiche sull’ipoteca messa su un Pd fragile e senza prospettive, che rischierebbe di diventare addirittura un satellite eterodiretto (vecchio pallino della redazione repubblichina) dalla nuova formazione. L’estenuante richiamo al principio di legalità impone un bilancio ed una decostruzione del concetto.
Il richiamo alla legalità, da tangentopoli ad oggi, oltre a non aver impedito ma in qualche modo favorito venti anni di Berlusconismo è servito da legittimazione al passaggio brutale dallo stato sociale a quello penale. La legalità è stata in campo politico-giudiziario il corrispettivo dell’iperliberismo in materia economico-sociale. Un contesto dove i forti sono diventati più forti e i deboli più deboli. Se vogliamo cominciare a capovolgere questa situazione è arrivato il momento di mettere in campo un movimento antipenale.

© Not Published by arrangement with Roberto Santachiara literary agency

 

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RELAZIONE DI SINTESI

In data odierna si è riunito il Gruppo di Osservazione e Trattamento, nella seguente composizione:

Direttore di Reparto Dott.ssa A. T.                                                                       Presidente
Funzionario giuridico-pedagogico A3F1, F. P.                                                   Segretario tecnico
Vice Responsabile di P.P. di Reparto, Isp. G. B.                                                Componente
Asistente sociale L. R.                                                                                              Componente

(si allega copia di relazione del 09.02.2012 dell’UEPE di Roma, uale parte integrante della presente)

La riunione si è tenuta al fine di redigere relazione di sintesi sul detenuto semilibero PERSICHETTI Paolo, nato il 06 Maggio 1962 a Roma, per l’Udienza di discussione dell’Affidamento in prova ai Servizi Sociali, prevista per il 05.05.2012 dinanzi al Tribunale di Sorveglianza di Roma

Il Persichetti, ammesso a fruire della Semilibertà il 23.05.2008 dal Tribunale dì Sorveglianza di Roma, è giunto in questa sede il 24.05.2008.

II 26.05.2008 è stato redatto il primo Programma di Trattamento, ed 31.05.2008 il detenuto ha iniziato a lavorare come giornalista presso la redazione del quotidiano politico “Liberazione“, sita in Roma – zona Castro Pretorio: occupazione tuttora svolta.

Va subito detto, circa il lavoro e le sue logiche implicazioni, che ovviamente il soggetto gode di una legittima possibilità di esternare e dibattere, la quale gli consente di prendere e manifestare posizioni che riflettono un’idea (qualcuno ha detto, piuttosto, un’ideologia).

Tale condizione gli ha consentito e gli consentirà di effettuare legittimamente esternazioni che a taluno (vedasi su internet) sono parse, come detto, ideologiche ed immorali: ci si riferisce, nello specifico, alla difesa del Persichetti della decisione presa alcuni mesi fa dall’allora Presidente del Brasile, Ignazio “Lula” Da Silva, di non estradare in Italia il terrorista Cesare Battisti.
Prendendo lo spunto dalla vicenda in questione, sui media nacque un dibattito sugli “anni di piombo” sulla posizione assunta allora ed ora dalle Istituzioni e sulle vicende personali di alcuni terroristi.
Nell’ambito di tale dibattito, tra l’altro, dal soggetto furono poste su internet – e sono tuttora acquisibili – riflessioni condotte dal Persichetti anche in ordine alla propria vicenda, per certi aspetti simile a quella di Battisti, fuggito anch’egli in Francia. Si tratta di alcuni articoli e di almeno un’intervista radiofonica.

Si premette ciò in quanto i contenuti e le valutazioni di cui si è detto, le quali ovviamente riflettono un’idea e quindi anche una certa “difesa” del passato, da parte del soggetto, da un lato possono indicare in lui la presenza o meno di una revisione critica ma, dall’altro, rappresentano la concreta attuazione del Programma di Trattamento, caratterizzato proprio dalla previsione poter svolgere da parte del soggetto l’attività giornalistica, caratterizzata proprio dal diritto di espressione e limitata unicamente dalla commissione di illeciti civili e/o penali (si dirà più avanti della querelle tra il Persichetti e lo scrittore Roberto Saviano).

[…]

Il 18.07.2009 il detenuto, al mattino, è uscito in ritardo dall’Istituto; L’A.D., udite le giustificazioni addotte, ha ritenuto di non dover procedere disciplinarmente.

[…]

Si è accennato alla diatriba con lo scrittore Roberto Saviano.

All’inizio del 2011, come riportato sulla stampa e in internet (che ospita vari articoli al riguardo), si è verificata una schermaglia tra il Persichetti ed il suo editore da una parte, ed il Saviano dall’altra: schermaglia originata da affermazioni di quest’ultimo sul caso dell’omicidio di Giuseppe Impastato, affermazioni ritenute dalla controparte false o, quanto meno, superficiali.

La vicenda è sfociata nella presentazione di una querela per diffamazione da parte del Saviano nei confronti del Persichetti e del suo editore. La Direzione dell’Istituto ne è stata informata formalmente dalla Polizia di Stato con nota del 17.02.2011.

Il 02.03.2011 il Persichetti, durante un colloquio col Direttore di Reparto sulla vicenda, è stato da questi invitato a produrre gli articoli relativi alla querelle, al fine di fornirgli un quadro della situazione.

La richiesta è stata percepita come atteggiamento “censorio” che per tutta risposta ha detto chiaramente che gli scritti sono liberamente accessibili su internet e che non vedeva la necessità di doverli produrre lui.

Si è pertanto ritenuto di dover informare dell’accaduto e dell’atteggiamento tenuto dal semilibero il Sig. Magistrato di Sorveglianza.

La sera dello stesso giorno il semilibero è rientrato con dieci minuti di ritardo, alle ore 22,40; avendo preavvisato telefonicamente questa Direzione del ritardo e delle circostanze, non si è proceduto disciplinarmente ma, comunque, l’interessato è stato invitato a porre maggior attenzione sulle gestione dei tempi.

Identico ritardo è stato portato in occasione del rientro serale del 18.5.2011 (due mesi e mezzo dopo) ed identico è stato l’atteggiamento assunto dall’A.D. ma, come risulta agli atti, in tale frangente si è comunque invitato, quasi spronato, il soggetto a riporre maggiore fiducia nelle Istituzioni e – concretamente – nei suoi operatori.

[…]

A questo punto è doveroso rappresentare quanto segue.

La forma mentis del Persichetti lo conduce ad avere talora, un atteggiamento “paritario” (anche se tale aggettivo rischia di acquisire una valenza negativa) nei confronti di un’Amministrazione verso la quale, comunque, egli deve rispondere del proprio comportamento e non trattare da pari: il tutto, ovviamente, nel rispetto del diritti della persona.

Talora però nel soggetto pare vi sia una difficoltà a rendersi conto che, a differenza di quanto accade in un rapporto tra persone fisiche, rapportarsi con l’Amministrazione richiede una diversa “dialettica”, fatta – anche obtorto collo – di una puntuale esecuzione delle direttive o anche, delle sole indicazioni fornite dalla stessa e dai suoi operatori.

[…]

Il GOT pur prendendo atto senz’altro atto di una buona evoluzione dell’andamento della misura, ritiene proficua l’effettuazione di un ulteriore periodo –anche breve – di osservazione, al fine di consentire al soggetto di consolidare un percosro le cui premesse sembrano positivamente avviate.

Roma,  lì 16 aprile 2012

L’estensore

Funzionario giuridico-pedagogico A3 F1
F. P.

Per il Gruppo di Osservazione e Trattamento
IL DIRETTORE DELEGATO
Dott.ssa A. T.

Link
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