Anche le democrazie torturano

«In Italia abbiamo sconfitto il terrorismo
nelle aule di giustizia e non negli stadi»

Sandro Pertini, Presidente della Repubblica 1982

Nel maggio 1978 la nazionale di calcio italiana era in Argentina dove stava completando la preparazione in vista del campionato del mondo che sarebbe cominciato il mese successivo, vinto alla fine dai padroni di casa. Due anni prima, nel marzo 1976, un golpe fascista aveva portato al potere una giunta militare ma nonostante ciò i mondiali di calcio si tennero lo stesso. Furono una bella vetrina per i golpisti mentre i militanti di sinistra sparivano, desaparecidos; prima torturati nelle caserme o nelle scuole militari, poi gettati dagli aerei nell’Oceano durante i viaggi della morte, attaccati a delle travi di ferro che li trascinavano giù negli abissi. Intanto i neonati delle militanti uccise erano rapiti e adottati dalle famiglie degli ufficiali del regime dittatoriale.
Nel resto dell’America Latina imperversava il piano Condor orchestrato dalla Cia per dare sostegno alle dittature militari che spuntavano un po’ ovunque nella parte di continente che gli Stati Uniti consideravano il cortile di casa. Cinque anni prima, l’11 settembre del 1973, era stata la volta del golpe fascio-liberale in Cile, dove gli stadi si erano trasformati in lager.
In Italia l’opposizione sfilava solo nelle strade. In parlamento da un paio di anni si era ridotta a frazioni centesimali di punto a causa di un fenomeno politico che gli studiosi avevano ribattezzato col termine «consociativismo»: ovvero la propensione a costruire larghe alleanze trasversali e trasformiste che annullano gli opposti e mettono in soffitta alternanze e alternative. Il 90% delle leggi erano approvate con voto unanime nelle commissioni senza passare per le aule parlamentari. Il consociativismo di quel periodo aveva un nome ben preciso: «compromesso storico». Necessità ineludibile, secondo il segretario del Pci dell’epoca Enrico Berlinguer, per scongiurare il rischio di derive golpiste anche in Italia. 
Dopo un primo «governo della non sfiducia», in carica tra il 1976-77, mentre la Cgil imprimeva con il congresso dell’Eur una svolta fortemente moderata favorevole politica dei sacrifici e il Pci, sempre con Berlinguer, assumeva l’austerità come nuovo orizzonte politico, improntata ad una visione monacale e moralista dell’impegno politico e del ruolo che le classi lavoratrici dovevano svolgere nella società per dare prova della loro vocazione a dirigere il Paese, nel marzo 1978, il giorno stesso del rapimento Moro, nasceva il «governo di solidarietà nazionale», col voto favorevole di maggioranza e opposizione. Oltre al calcio e alla folta schiera di oriundi cosa poteva mai avvicinare una strana democrazia senza alternanza, come quella italiana, ad una dittatura latinoamericana come quella argentina? La risposta sta in una parola sola: la tortura.
Anche la repubblica italiana torturava gli oppositori, definiti e trattati come terroristi. In quei giorni del maggio 1978 veniva arrestato e poi torturato Enrico Triaca, tipografo della colonna romana delle Brigate rosse. Non era la prima volta che accadeva e non sarebbe stata l’ultima. Nel film documentario realizzato da Stefano Pasetto, Il Tipografo, Enrico Triaca racconta la propria vicenda, un agente dei Nocs (Nucleo operativo centrale di sicurezza), Danilo Amore, testimonia l’esistenza di quelle sevizie, il dottor Massimo Germani spiega gli effetti devastanti che la tortura procura sulla psiche di chi la subisce, Paolo Persichetti ricostruisce il quadro storico all’interno del quale le istituzioni italiane diedero il via libera agli interrogatori «non ordossi» degli arrestati.

Per chi vuole approfondire:

Torture in Italia: Nicola Ciocia, alias professor “De Tormentis”, è venuto il momento di farti avanti

L’inchiesta – Si fa sempre più esile il velo dietro il quale si nasconde l’identità del capo (conosciuto con l’eteronimo di “De Tormentis”) della squadretta speciale della polizia (chiamata “i cinque dell’ave maria”) che tra il 1978 e i primi anni ’80 torturò i militanti, o supposti tali, delle Brigate rosse per estorcere informazioni da impiegare nelle indagini


Paolo Persichetti
Liberazione 11 dicembre 2011


Professor De Tormentis», era chiamato così il funzionario dell’Ucigos (l’attuale Polizia di prevenzione) che a capo di una speciale squadretta addetta alle sevizie, in particolare alla tecnica del waterboarding (soffocamento con acqua e sale), tra la fine degli anni ‘70 e i primissimi anni ’80 si muoveva tra questure e caserme d’Italia per estorcere informazioni  ai militanti, o supposti tali, delle Brigate rosse. Di lui, e del suo violento trattamento riservato agli arrestati durante gli interrogatori di polizia, parla diffusamente Nicola Rao in un libro recentemente pubblicato per Sperling&Kupfer, Colpo al cuore. Dai pentiti ai “metodi speciali”: come lo Stato uccise le Br. La storia mai raccontata. Rivelazioni che portano un colpo decisivo alla tesi, diffusa da magistrati come Caselli e Spataro (recentemente anche Turone) che vorrebbe la lotta armata sconfitta con le sole armi dello stato di diritto e della costituzione. In realtà alle leggi d’emergenza, alla giustizia d’eccezione e alle carceri speciali, si accompagnò anche il più classico degli strumenti tipici di uno stato di polizia: la tortura. Il velo su queste violenze si era già squarciato nel 2007, quando Salvatore Genova, uno dei protagonisti dell’antiterrorismo dei primi anni ’80, coinvolto nell’inchiesta contro le sevizie praticate ai brigatisti che avevano sequestrato il generale Dozier, cominciò a testimoniare quanto aveva visto: «Nei primi anni ’80 esistevano due gruppi – dichiara a Matteo Indice sul Secolo XIX del 17 giugno – di cui tutti sapevano: “I vendicatori della notte” e “I cinque dell’Ave Maria”. I primi operavano nella caserma di Padova, dov’erano detenuti i brigatisti fermati per Dozier (oltre a Cesare Di Lenardo c’erano Antonio Savasta, Emilia Libera, Emanuela Frascella e Giovanni Ciucci)». Per poi denunciare che «Succedeva esattamente quello che i terroristi hanno raccontato: li legavano con gli occhi bendati, com’era scritto persino su un ordine di servizio, e poi erano costretti a bere abbondanti dosi di acqua e sale. Una volta, presentandomi al mattino per un interrogatorio, Savasta mi disse: “Ma perché continuano a torturarci, se stiamo collaborando?”». Come sempre le donne subirono le sevizie più sadiche, di tipo sessuale.
Genova si salvò grazie all’immunità parlamentare intervenuta con l’elezione in parlamento come indipendente nelle liste del Psdi del piduista Pietro Longo (numero di tessera 2223). In quell’intervista Genova si libera la coscienza: «Ovunque era nota l’esistenza della “squadretta di torturatori” che si muoveva in più zone d’Italia, poiché altri Br (in particolare Ennio Di Rocco e Stefano Petrella, bloccati dalla Digos di Roma il 3 gennaio 1982) avevano già denunciato procedure identiche. Non sarebbe stato difficile individuarne nomi, cognomi e “mandanti” a quei tempi». Ma quando il giornalista Piervittorio Buffa raccontò sull’Espresso del marzo 1982 quella mattanza, “informato” dal capitano di Ps Ambrosini (che vide la porta di casa bruciata da altri poliziotti), venne arrestato per tutelare il segreto su quelle pratiche decise ad alto livello.
Chiamato in causa, una settimana dopo anche il «professor De Tormentis» fece sentire la sua voce. Il 24 giugno davanti allo stesso giornalista disseminava indizi sulla sua reale identità, quasi fosse mosso dall’inconscia volontà di venire definitivamente allo scoperto e raccontare la sua versione dei fatti su quella pagina della storia italiana rimasta in ombra, l’unica – diversamente da quanto pensa la folta schiera di dietrologi che si esercita da decenni senza successo sull’argomento – ad essere ancora carica di verità indicibili. De Tormentis non si risparmia ed ammette “i metodi forti”: «Ammesso, e assolutamente non concesso, che ci si debba arrivare, la tortura – se così si può definire – è l’unico modo, soprattutto quando ricevi pressioni per risolvere il caso, costi quel che costi. Se ci sei dentro non ti puoi fermare, come un chirurgo che ha iniziato un’operazione devi andare fino in fondo. Quelli dell’Ave Maria esistevano, erano miei fedelissimi che sapevano usare tecniche “particolari” d’interrogatorio, a dir poco vitali in certi momenti».
La struttura – rivela a Nicola Rao il maestro dell’annegamento simulato – è intervenuta una prima volta nel maggio 1978 contro il tipografo delle Br, Enrico Triaca. Ma dopo la denuncia del “trattamento” da parte di Triaca la squadretta venne messa in sonno perché – gli spiegarono – non si potevano ripetere, a breve distanza, trattamenti su diverse persone: «se c’è solo uno ad accusarci, lascia il tempo che trova, ma se sono diversi, è più complicato negare e difenderci». All’inizio del 1982 venne richiamato in servizio. Più che un racconto quella di “De Tormentis” appare una vera e propria rivendicazione senza rimorsi: «io ero un duro che insegnava ai sottoposti lealtà e inorridiva per la corruzione», afferma presagendo i tempi del populismo giustizialista. «Occorreva ristabilire una forma di “auctoritas”, con ogni metodo. Tornassi indietro, rifarei tutto quello che ho fatto».

De Tormentis è in questa foto

Oggi l’identità di “De Tormentis” è un segreto di Pulcinella. Lui stesso ha raccontato di aver prestato servizio in polizia per quasi tre decenni, uscendone con il grado di questore per poi esercitare la professione di avvocato. Accanto al questore Mangano partecipò alla cattura di Luciano Liggio; poi in servizio a Napoli sia alla squadra mobile che all’ispettorato antiterrorismo creato da Emilio Santillo (sul sito della Fondazione Cipriani sono indicate alcune sue informative del periodo 1976-77, inerenti a notizie raccolte tramite un informatore infiltrato in carcere), per approdare dopo lo scioglimento dei nuclei antiterrorismo all’Ucigos dove ha coordinato i blitz più «riservati». De Tormentis riferisce anche di essere raffigurato in una delle foto simbolo scattate in via Caetani, tra gli investigatori vicini alla Renault 4 dove si trovava il corpo senza vita di Moro. In rete c’è traccia di un suo articolo scritto nel gennaio 2001, su un mensile massonico (p. 5), nel quale esalta le tesi del giurista fascista Giorgio Del Vecchio, elogiando lo Stato etico («il diritto è il concentrato storico della morale»), e rivendica per la polizia i «poteri di fermo, interrogatorio e autonomia investigativa». Nel 2004 ha avuto rapporti con Fiamma Tricolore di cui è stato commissario per la federazione provinciale di Napoli e, dulcis in fundo, ha partecipato come legale di un funzionario di polizia, tra l’86-87, ai processi contro la colonna napoletana delle Br, che non molto tempo prima aveva lui stesso smantellato senza risparmio di metodi “speciali”. Una singolare commistione di ruoli tra funzione investigativa, emanazione del potere esecutivo, e funzioni di tutela all’interno di un iter che appartiene al giudiziario, che solo in uno stato di eccezione giudiziario, come quello italiano, si è arrivati a consentire.
Forse è venuto il momento per questo ex funzionario, iscritto dal 1984 all’albo degli avvocati napoletani (nel suo profilo si descrive «già questore, penalista, cassazionista, esperto in investigazioni  nazionali e internazionali su criminalità organizzata, politica e comune, sequestri di persona»), di fare l’ultimo passo alla luce del sole.
Sul piano penale “De Tormentis” sa che non ha da temere più nulla. I gravi reati commessi sono tutti prescritti (ricordiamo che nel codice italiano non è contemplata la tortura tortura).
L’ex questore, oggi settantasettenne, ha un obbligo morale verso la società italiana, un dovere di verità sui metodi impiegati in quegli anni. Deve qualcosa anche ai torturati, alcuni dei quali dopo 30 anni sono ancora in carcere ed a Triaca, che subì la beffa di una condanna per calunnia. Restano da sapere ancora molte altre cose: quale fu l’esatta linea di comando? Come l’ordine sia passato dal livello politico a quello sottostante, in che termini sia stato impartito. Con quali garanzie lo si è visto: impunità flagrante. Venne pizzicata solo una squadretta di Nocs capeggiata da Genova. Condannati in primo grado ma prosciolti in seguito. Di loro, racconta compiaciuto “De Tormentis”: «vollero strafare, tentarono di imitare i miei metodi senza essere sufficientemente addestrati e così si fecero beccare». All’epoca Amnesty censì 30 casi nei primi tre mesi dell’82; il ministro dell’Interno Rognoni ne riconobbe 12 davanti al parlamento, ma il fenomeno fu molto più esteso (cf. Le torture affiorate, Sensibili alle foglie, 1998).
La tortura, scriveva Sartre: «Sconfessata – a volte, del resto, senza molta energia – ma sistematicamente applicata dietro la facciata della legalità democratica, può definirsi un’istituzione semiclandestina».

Postscriptum: potete facilmente scovare il nome del professor De Tormentis cliccando sui link presenti all’interno dell’articolo. Se prorpio andate di fretta, il suo nome è Nicola Ciocia

Per approfondire
Anche il professor De Tormentis era tra i torturatori di Alberto Buonoconto
Torture contro i militanti della lotta armata
Torture: Ennio Di Rocco, pocesso verbale 11 gennaio 1982. Interrogatorio davanti al pm Domenico Sica
Le torture della Repubblica 2,  2 gennaio 1982: il metodo de tormentis atto secondo
Le torture della Repubblica 1/, maggio 1978: il metodo de tormentis atto primo

Torture contro le Brigate rosse: il metodo “de tormentis”
Acca Larentia: le Br non c’entrano. Il pentito Savasta parla senza sapere
Torture contro le Brigate rosse: chi è De Tormentis? Chi diede il via libera alle torture?
Parla il capo dei cinque dell’ave maria: “Torture contro i Br per il bene dell’Italia”
Quella squadra speciale contro i brigatisti: waterboarding all’italiana
Il penalista Lovatini: “Anche le donne delle Br sottoposte ad abusi e violenze”
Le rivelazioni dell’ex capo dei Nocs, Salvatore Genova: “squadre di torturatori contro i terroristi rossi”
Salvatore Genova, che liberò Dozier, racconta le torture ai brigatisti
1982, dopo l’arresto i militanti della lotta armata vengono torturati

Proletari armati per il comunismo, una inchiesta a suon di torture
Torture: l’arresto del giornalista Piervittorio Buffa e i comunicati dei sindacati di polizia, Italia 1982

Le rivelazioni dell’ex capo dei Nocs Salvatore Genova: «Squadre di torturatori contro i terroristi rossi»

Padova: quei brigatisti seviziati dalla Celere dopo la liberazione del generale americano. La polizia li chiamava «Vendicatori della notte», erano specializzati nel pestaggio dei detenuti

Enzo Bordin
il mattino di Padova
17 giugno 2007

A 25 anni di distanza dalla liberazione del generale americano James Lee Dozier (27 gennaio 1982) trova conferma l’ipotesi di squadre di polizia specializzate «in torture e sevizie degli arrestati» create alla fine degli anni Settanta. Dopo quanto affermato al processo per i fatti del G8 di Genova dal funzionario di polizia Michelangelo Fournier, ecco le rivelazioni di un altro poliziotto, Salvatore Genova, che ai tempi del caso Dozier, come capo dei Nocs, finì sotto processo a Padova con altre quattro «teste di cuoio».
All’operazione antiterrorismo erano pure presenti alcuni agenti della Cia, peraltro mai identificati. In primo grado (presidente del tribunale Francesco Aliprandi) gli imputati vennero condannati per lesioni volontarie nei confronti del brigatista Cesare Di Lenardo, e un sottufficiale di polizia fu incriminato in aula per falsa testimonianza. In appello l’accusa a carico degli imputati fu derubricata in abuso d’autorità e poi prescritta in Cassazione.
Adesso Genova, dirigente della Polfer alla soglia della pensione, in un’intervista al quotidiano «Il Secolo XIX» conferma a posteriori l’assunto accusatorio delle «squadrette torturatrici» ipotizzato al processo ai Nocs di Padova. «Fin dai tempi delle Br sono esistiti, nella polizia, corpi speciali, soprannominati “I vendicatori della notte” e “I cinque dell’Ave Maria” specializzati nell’esercitare torture e sevizie sugli arrestati», sostiene Genova. Un passato da parlamentare, fu tra i poliziotti in servizio nel luglio 2001 al G8 del capoluogo ligure: «In quell’occasione i superiori ci hanno lasciato in cinquanta davanti a ventimila. Posso permettermi di svelare dopo 30 anni di servizio alcuni dei mali profondi della polizia», rileva, raccontando di aver pure denunciato a più riprese, a chi di dovere, l’esistenza delle «squadrette».
Tornando al trattamento usato coi carcerieri del generale Dozier, secondo l’ex capo dei Nocs almeno cinque brigatisti vennero sottoposti a torture nella sede del reparto mobile di Padova: legati, ad occhi bendati, e obbligati a bere abbondanti, dosi di acqua e sale, una tortura all’«algerina» come solevano fare i francesi dell’Oas contro il fronte di liberazione. Fra destinatari di tale trattamento anche il Br Antonio Savasta. Ecco cosa Genova riferisce sul punto riportando il commento dell’allora capo della colonna brigatista veneta: «Ma perché continuano a torturarci se stiamo collaborando?». Savasta fu pure «narcotizzato con siero della verità», come documentato da Gianni Riotta, allora giornalista del «Manifesto», il 12 febbraio 1982.
Ma negli «esercizi di stile» in fatto di tortura si sarebbero verificate sevizie peggiori. L’avvocato Antonio Lovatini, patrono di parte civile per Di Lenardo al processo contro i Nocs, ricorda che al suo assistito «ruppero un timpano» e «bruciarono testicoli e pene». E venne pure sottoposto ad una «finta fucilazione, nudo e con secchiate d’acqua gelida». Il 27 febbraio 1982, Magistratura democratica riunì l’esecutivo a Bologna elaborando un documento che, letto a posteriori, suona assai significativo: «C’è il dovere di procedere sempre tempestivamente d’ufficio alle opportune indagini e agli esami medico-legali necessari per accertare se arrestati e detenuti abbiano subito illecite violenze», affermarono i giudici della componente progressista. Da parte sua, l’irriducibile Di Lenardo uscirà presto dal carcere per fine pena.

Link
Parla Nicola Ciocia, alias De Tormentis, il capo dei cinque dell’Ave Maria: “Torture contro i Br per il bene dell’Italia”
Le torture contro i militanti della lotta armata