Brasile-Italia e caso Battisti: Tarso Gendro 2 – Frattini 0

Il ministro Tarso Gendro domina la partita di calcio Brasile-Italia.174714811_0773b7fb46 Dopo soli 13 minuti il primo goal, con un raddoppio dopo altri 14. Robinho ubriaca l’intera difesa italiana, dribla tutto quello che gli si para davanti, fa passare la palla tra le orecchie degli azzurri e infila Buffon. Il Brasile stravince a ritmo di samba per 2 a 0 contro Frattini e la schiera di politicanti che volevano giocare col lutto al braccio.

Quanto alla polemica innescata dalla proposta avanzata da diversi esponenti di An di non giocare la partita, La Russa dichiara: “era meglio non giocarla vista la figuraccia che ha fatto l’Italia”. Intagasparrinto il relatore del tribunale federale supremo brasiliano non accoglie la richiesta italiana di annullamento preliminare dell’asilo politico concesso a Battisti. Ora il ministro della Giustizia Tarso Gendro e la difesa di Battisti hanno 10 giorni per deporre delle contro memorie in risposta a quella depositata dallo Stato italiano.

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Dalla vendetta giudiziaria alla soluzione politica
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Un kidnapping sarkozien
Brasile: niente asilo politico per Cesare Battisti
Il Brasile respinge la richiesta d’estradizione di Battisti, l’anomalia è tutta italiana
Scontro tra Italia e Brasile per l’asilo politico concesso a Battisti

Tarso Gendro: “L’Italia è chiusa ancora negli anni di piombo”
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Stralci della decisione del ministro brasiliano della giustizia Tarso Genro
Lo sputo in faccia
Testo integrale della lettera di Lula a Napolitano
Caso Battisti: una guerra di pollaio
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Risposta a Fred Vargas
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Tarso Genro: «L’Italia è chiusa ancora negli anni di piombo

Quella verità indicibile

«L’Italia è chiusa ancora negli anni di piombo, la differenza è che in Brasile siamo più avanzati su questo argomento, tanto che stiamo discutendo sulla nostra legge di amnistia».

Tarso Genro, il ministro della Giustizia brasiliano che ha concesso l’asilo politico a Cesare Battisti, ha messo il dito nella piaga pronunciando l’indicibile nel corso di una intervista rilasciata al quotidiano O Globo. Invece di citare Bobbio (i poteri invisibili che evocano l’immagine sul doppio Stato) e la letteratura girotondina, Genro avrebbe fatto meglio a citare Giorgio Agamben o Antoine Garapon che parlano di democrazia dell’emergenza, che descrivono lo stato di eccezione giudiziario, il male che rode le democrazie moderne. Non serve evocare dittature mai esistite. Il problema sta tutto nel modello di democrazia che ha preso piede alla fine degli anni 70. L’America di Bush non era certo una dittatura eppure ha fatto Guantanamo e Abu Grahib. La Francia della guerra d’Algeria non era una dittatura, aveva persino i socialisti al governo, eppure si è macchiata di crimini nefandi, con quasi un milione di morti, dove ha sperimentato le tecniche della tortura moderna poi esportate nelle scuole del Sud e Nord America.

Il ministro Traso Genro in un momento di relax

Il ministro Traso Genro in un momento di relax


A proposito della richiesta di proclamare lo stato di eccezione
avanzata dal professor Angelo Panebianco sul
Corriere delle Sera

Le democrazie si sono sempre macchiate dei peggiori crimini, e allora cosa pretendono le Destre e i girotondini italiani che hanno reagito con veemenza a queste parole perché pensano che solo le dittature creano gli stati d’eccezione e pensano di non poter essere giudicati da nessun paese e dalla storia?
È strano, ma quando si parla di democrazie liberali si omette sempre di ricordare che questi sistemi prevedono, in caso di grave minaccia, specifiche clausole di autosospensione del proprio ordinamento costituzionale.
Per funzionare il sistema giuridico ha bisogno di normalità, perché ciò avvenga esso si avvale di momenti di interruzione che vengono chiamati «stato di eccezione». È questo un punto cruciale, poiché chi introduce una tale misura è in buona sostanza l’ultimo a decidere, non a caso chi ha questo potere è stato indicato come il sovrano reale. Non lo stato di diritto, dunque, ma chi può decidere sulla sua sospensione rappresenterebbe il vero arcana imperii della sovranità.
A ricordarcelo è stato il professor Panebianco che sul Corriere della Sera per ben tre volte (il 13 e 15 agosto e poi il 3 settembre 2006) si è soffermato sull’argomento invocando l’introduzione dello stato di eccezione. Ma c’è un problema: se, a quanto pare, le democrazie non possono sfuggire a quel destino crudele che ne prevede l’autosospensione, non c’è invece unanimità sui modi in cui questa interruzione debba avvenire. Infatti, esistono almeno tre modelli contrapposti:

1. Quello tradizionale di ispirazione giacobina, codificato nelle costituzioni liberali dell’800 e del 900, che attribuisce pieni poteri all’esecutivo e sospende le garanzie giuridiche per un periodo limitato nel tempo e nello spazio. Un modello che sarebbe ormai divenuto superfluo di fronte alla natura asimmetrica dei nuovi conflitti.

2. Per questo l’amministrazione Bush ha varato un nuovo modello di applicazione della eccezione caratterizzato da misure stabili e permanenti, che pur salvaguardando regole e procedure prevedono la presenza di buchi neri, «zone grigie» in cui il confine tra legalità e illegalità resta incerto, «ambiti riservati davanti ai quali lo stato di diritto arretra». Una sorta di doppio binario: legalità e diritti riconosciuti solo per una parte della popolazione e trattamenti differenziati per la restante. In egual modo, alcune tipologie di reato sfuggono al regime normale della legge. Uno stato di eccezione postfordista insomma: flessibile, modulabile, a macchia di leopardo, capace persino di delocalizzare ed esternalizzare le incombenze più triviali e compromettenti, organizzando una sorta di stato di eccezione extraterritoriale che conserva per i poteri statali e nella madrepatria unicamente la direzione strategica delle operazioni. images-3

3. Esiste, infine, un terzo modello, lo stato di eccezione giudiziario inventato in Italia alla fine degli anni 70. Quest’ultimo, però, non piace affatto a Panebianco perché «l’eccezione può essere riconosciuta solo se il suo controllo rimane nelle mani della magistratura. Il che riflette lo stato dei rapporti di forza fra magistratura e classe politica». Tuttavia ciò non ha impedito, ricorda sempre l’editorialista del Corriere, che «una qualche forma di stato di eccezione sia stata dichiarata. Brigate rosse, mafia: fenomeni affrontati con leggi speciali (la legislazione antiterrorismo, il 41 bis, ecc)». images-1

Chissà cosa avranno pensato, leggendo queste parole, Bruti Liberati e l’associazione nazionale magistrati che durante la vicenda Battisti si prodigarono per raccontare ai francesi la favola di una Italia giardino incantato dello stato di diritto? Singolare vicenda quella italiana: i costituenti, infatti, per marcare una netta differenza con i tribunali speciali del fascismo, esclusero dalla Costituzione qualsiasi richiamo alla stato di eccezione. Successivamente, però, questo ostacolo venne aggirato riservando alla magistratura, piuttosto che all’esecutivo, il ruolo di dominus dello stato di eccezione.
Ciò, oltre a costituire una novità assoluta, non ha fornito alcuna particolare garanzia in più, ma ha solamente rafforzato una sfera giudiziaria depositaria di un potere di delega che nel tempo si è trasformato in una supplenza politica completa. In questo modo la pratica della eccezione ha assunto una forma ancora più subdola e insidiosa poiché ha potuto legittimarsi con maggiore efficacia attraverso la sua innovativa capacità d’integrare, e non più sospendere, il sistema giuridico-costituzionale, trasformandosi a tutti gli effetti in regola stabile e permanente attraverso il ricorso ad un vasto arsenale di leggi speciali e trattamenti differenziali. Al punto che non è più possibile pensare di poter ripristinare la normalità giuridica poiché non vi è mai stata sospensione, ma unicamente ibridazione di più registri giuridici e penali, legislativi e procedurali, fino ad determinare un groviglio inestricabile che non consente più alcun riassorbimento o fuoriuscita. Allora un simulacro di Stato di diritto ha preso forma a partire dalla sedimentazione successiva e stratificazione ripetuta di fasi replicate di emergenza.
Questo nuovo modello ha reso obsolete tutte le obiezioni legate alla natura extragiuridica della eccezione, poiché essa appartiene oramai interamente alle istituzioni giuridiche dello Stato costituzionale, grazie ad un singolare paradosso che ha fatto del formalismo giuridico non più l’antagonista ma il ricettacolo della dottrina della emergenza. L’introduzione di misure straordinarie e speciali, la cui giustificazione legale impone una messa in forma giuridica sempre più complessa, ha mascherato la rottura della norma: non potendo più far scomparire l’eccezione, la dottrina si è protesa sempre più ad assimilarla e costituzionalizzarla.
È dunque giusto parlare di stato di eccezione giudiziario, non solo perché si è creato un sistema penale ibrido, dove norma regolare e regola speciale convivono, si integrano e si sostengono reciprocamente, ma perché il giudiziario è diventato il centro del sistema, il nuovo sovrano che decide. Scriveva in proposito Montesquieu: «Non può esserci libertà, se la potenza di giudicare non resta separata dalla potenza legislativa e da quella esecutiva. Se questa si salda alla potenza legislativa, il potere esercitato sulla vita e la libertà dei cittadini sarebbe arbitrario poiché il magistrato diverrebbe legislatore. Se venisse unita alla potenza esecutiva, il magistrato potrebbe avere la forza di un oppressore».

Brasile: stralci della decisione del ministro della Giustizia Tarso Genro

Mentre in Italia proseguono le proteste ufficiali, dopo le lettere del presidente della repubblica Napolitano e del presidente della Camera Fini al presidente brasiliano Lula, ecco alcuni stralci salienti del testo con il quale il ministro della giustizia brasiliano Tarso Genro ha concesso l’asilo politico a Cesare Battisti, ripresi dal blog


http://lapattumieradellastoria.blogspot.com/

Tarso Genro

Tarso Genro

La decisione del Ministro di giustizia brasiliano è stata ricoperta da insulti da mezza Italia. Quasi nessuno l’ha letta, i giornali ne hanno riportato più nulla che poco. Vale forse la pena di segnalare il documento originale (destaque do Diario Oficial ripreso dal sito del governo brasiliano) che molto probabilmente è opera di pugno dello stesso ministro Tarso Genro.
Preliminarmente, va ricordata la differenza tra concessione di asilo (diplomatico) e di rifugio (territoriale – i dettagli sul sito del ministero di giustizia), e che la decisione del Ministro è il risultato del ricorso contro la decisione precedente del Conare (Comitê Nacional para os Refugiados, organo tecnico del ministero che aveva rifiutato lo statuto di rifugiato).


La decisione in dettaglio

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Il presidente brasiliano Lula

Qui in breve gli argomenti chiari e ben argomentati sollevati nei diversi punti della decisione, che:
– ricorda che l’Italia non si è opposta alla connotazione politica dei reati contestati a Battisti, che al contrario risulta esplicita nelle sentenze di condanna, che parlano di «finalità di sovversione» (punto 8 e 26) ;
– si pone la questione se Battisti abbia un «fondato timore di essere perseguito per motivi politici» (questa è la formula della legge per lo statuto di rifugiato, punto 7) e per rispondere ricorre all’analisi usuale degli aspetti soggettivi ed oggettivi (9-11);
– descrive la «legittima repressione, da parte dello Stato italiano, della militanza di sinistra che voleva abbattere il regime con le armi durante gli anni di piombo». «Durante quel periodo, la società italiana e lo stato di diritto in Italia furono assediati da un insieme di movimenti politici, azioni armate e mobilitazioni sociali alcuni dei quali pretendevano l’affermarsi di un nuovo regime politico-sociale». Le organizzazioni rivoluzionarie che si formarono agivano «in zone “grigie”, nella stretta fascia tra l’azione politica insurrezionale di carttere armato e l’azione marginale del “banditismo sociale”» (12-13);
– ricorda la reazione dello stato italiano come legittima per uno stato democratico di diritto, e che questa si fece «non soltanto applicando norme giuridiche in vigore all’epoca, ma anche creando “eccezioni”, attraverso leggi di difesa dello Stato, che ridussero le prerogative di difesa degli accusati di sovversione e/o azioni violente, compresa l’istituzione della delazione premiata» (14);
– considera che «nei momenti di estrema tensione sociale e politica è comune e prevedibile che si attivino, anche nello stato di diritto, apparati illegali o paralleli allo stato» il che a volte «configuara una forte crisi di legalità: “la legge perde il primato politico nel sistema”. In tali casi paradossalmenete la giudiziarizzazione della politica intacca le garanzie democratiche senza che il regime democratico sia posto in dubbio», e riporta, dopo un riferimento ad Habermas, una citazione dal Futuro della democrazia di Norberto Bobbio (15); e che
– anche in «situazioni d’emergenza come quella italiana» è fondamentale «che non si accetti mai deroga dai principi giuridici che sostengono i diritti dell’uomo», e «nel caso italiano le possibilità di abusi erano date dallo stesso ordinamento giuridico forgiato negli “anni di piombo”» ovvero nell’arsenale di poteri di polizia e di leggi d’eccezione, descritti ricorrendo ad un approfondimento di Jacques Mucchielli (pubblicato in un lavoro sul ricorso al carcere nelle crisi politiche) (16);
– aggiunge che «è pubblico e non controverso il fatto che i meccanismi di funzionamento dell’eccezione operarono, in Italia, anche fuori delle regole della propria eccezionalità prevista dalla legge». È così che si formarono quelle forme di «potere occulto», «tanto più potente quanto meno si lascia vedere». E ciò «è professato in nome della preservazione dello Stato contro gli insorti, che non è meno illeggittima delle azioni sanguinarie degli insorti contro l’ordine». (17, 18);
– come argomento a contrario, richiama Carl Schmitt tra i teorici del diritto che non credono nella democrazia liberale, per dire con Bobbio che «quanto più eccezioni, tanto meno democrazia e diritto» (19);
– rileva che alcune misure d’eccezione adottate in Italia negli “anni di piombo” figurano ancora nei rapporti di Amnesty International e del Cpt (Comitato europeo di prevenzione della tortura, con esplicito riferimento a questo rapporto 2007) (20); e che
– altre persone fuggite dall’Italia per «motivi politici legati alla situazione del paese nella decade del 1970 ed inizi anni 80», come Battisti, non sono stati estradati dal Supremo Tribunale Federale poiché le condanne italiane attribuivano loro l’intenzione di sovvertire violentemente l’ordine socio-economico italino, con esplicito riferimento al diniego di estradizione nel caso di Luciano Pessina (21);
– nota che il ricorrente (Battisti) ha subito direttamente gli effetti della legislazione d’eccezione italiana, e che le accuse contro di lui non si fondavano su prove periziali ma sulla testimonianza del «delatore premiato Pietro Mutti» (23, 24);
– contesta l’argomentazione che si tratti di delitti penali comuni, poiché la violazione della legge penale «costituisce, in alcuni casi, la “giustificazione” giuridica dello Stato richiedente, senza la quale le possibilità di consegna del cittadino richiesto sarebbero senz’altro pregiudicate» (25);
– richiama la lettera di Cossiga, che attesta che i «sovversivi di sinistra vennero trattati, nell’Italia degli anni di piombo, come semplici terroristi e talvolta assolutamente come delinquenti comuni. La lettera conferma la qualità impropria di questa classificazione imposta» a Battisti (28);
– appoggiandosi sulla dottrina (F. Rezek, Direito internacional publico), conclude che «Non resta il minimo dubbio che, indipendentemente dalla valutazione del carattere politico o meno dei crimini imputati – comunque inaccettabili in ogni ipotesi, dal punto di vista dell’umanesimo democratico – costituisce fatto irrefutabile la partecipazione politica del ricorrente, il suo coinvolgimento politico insurrezionale et la pretesa, sua e del suo gruppo, di istituire un potere sovrano “fuori dall’ordinamento”» (29, 30);
– afferma che è un «aspetto molto importante per l’esame della pertinenza della concessione di rifugio, il fatto che il ricorrente riparò sul suolo francese per ragioni politiche assunte per decisione sovrana del capo di Stato di quel paese», ricordando che «Mitterrand accolse i ‘sovversivi’ alla categorica condizione che facessero una rinuncia formale alla lotta armata» e che Battisti, «dopo la rinuncia alla lotta armata resto in Francia per una decade. Fondò una famiglia, sposandosi e facendo due figlie, e visse pacificamante lavorando come portiere e scrittore». La situazione cambiò durante il governo Chirac, che annullò l’ospitalità “per ragioni eminentemente politiche. Il cambiamento di posizione dello stato francese, che gli aveva conferito rifugio come militante politico dell’estrema sinistra, fu il solo motore della sua venuta in Brasile». Sicché il Brasile «è divenuto il “depositario” di un cittadino, di fatto espulso da un territorio per decisione politica che si contrappone ad una decisione precedente che l’aveva riconosciuto come perseguitato politico (31-35);
– riassumendo che Battisti «per motivi politici si coinvolse in organizzazioni illegali perseguite penalmente nello Stato richiedente. Per ragioni politiche fu rifugiato in Francia ed anche per motivi politici, da cui scaturì la decisione politica dello Stato francese, decise, più tardi, di fuggire ancora», conclude che «L’elemento soggettivo del “fondato timore di persecuzione” necessario per il riconoscimento della condizione di rifugiato è pertanto chiaramente configurato» poiché l’elemento soggettivo è basato su fatti oggettivi (36, 37).
– riafferma, con la dottrna, che la qualificazione di individui come rifugiati, ovvero come “persone che non sono delinquenti comuni”, è un atto sovrano dello Stato, e che anche nel contesto della protezione umanitaria vale il principio in dubio pro reo : «nel dubbio, la decisione di riconoscimento dovrà inclinarsi a favore di chi sollecita il rifugio» (38, 39);
– richiama infine la normativa Costituzionale e dei Diritti dell’uomo, segnalando che «non sussitono impedimenti giuridici per riconoscere il carattere di rifugiato del ricorrente. Benché si richiami a diversi illeciti che sarebbero stati commessi dal ricorrente, in nessun momento lo Stato richiedente (l’Italia) ha notificato uno dei crimini che impedirebbero il riconoscimento della condizione di rifugiato» (40-42);
– aggiunge in conclusione che «il contesto in cui ebbero luogo i delitti di omicidio imputati al ricorrente, le condizioni in cui si tennero i suoi processi, la sua potenziale impossibilità di un’ampia difesa a fronte della radicalizzazione politica in Italia, provocano come minimo un profondo dubbio sul fatto che il ricorrente ebbe diritto al dovuto processo legale» (43).

 

 

 


Qualche nota

Come chiunque può vedere, non v’è nella decisione del ministro alcun riferimento a rischi per la vita di Cesare Battisti, ed ancor meno a mafia o Cia.
La decisione di accoglierlo come rifugiato si fonda solo sull’esistenza di un «ragionevole dubbio sui fatti che, secondo il Battisti, sono alla base del suo timore di persecuzione», né più né meno. Anche le reazioni di Cossiga non possono essere seriamente riferite alla decisione, che, al pari degli altri politici, non ha letto.
Le reazioni, politiche e generali, meritano un’attenzione separata. Vale qui notare che il vero centro dello scontro è la memoria degli “anni di piombo”, ovvero la sua configurazione come storia politica.
Attraverso il caso Battisti il tentativo di criminalizzazione assoluta della violenza politica degli anni 70 ha raggiunto un apice senza precedenti; l’insistenza nel volerlo configurare come un “criminale comune”, vuoi per la sua biografia o per le azioni dei Proletari armati per il comunismo (Pac), forte della riuscita campagna di mostrificazione (vedi il dossier su Carmilla) ma non confermata dagli atti, mirava e mira ad affermare una memoria storica calcata su quella soggettiva dei magistrati anti-terrorismo (che ovviamente hanno condotto dei processi legalmente perfetti e non hanno mai fatto politica).
La decisione del ministro brasiliano, mostra, forse per la prima volta esplicitamente in un atto ufficiale, che la lettura di quell’epoca non può prescindere dalla constatazione dell’esistenza di un violento conflitto nel paese. Si noti che tutti i riferimenti al “rischio di persecuzione” che tanto fanno inalberare i benpensanti, sono relativi all’epoca dei fatti e dei processi (fine anni 70 ed inizio 80!) e non all’attualità.

Lo sputo in faccia

«Uno sputo in faccia», un «gesto di sommo disprezzo» verso l’Italia, con queste parole Severino Santiapichi, per anni presidente della prima corte d’assise di Roma, sotto la cui giurisdizione sono passati alcuni dei più importanti maxiprocessi dell’emergenza (Moro ter, insurrezione contro i poteri dello Stato, 7 aprile), ha commentato sul Messaggero (22 gennaio) la decisone del Brasile di concedere l’asilo politico a Cesare Battisti.


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Caso Battisti, scontro tra Italia e Brasile per la concessione dell’asilo politico

Anni 70: «furono reati politici». Il ministro della Giustizia brasiliano Tarso Genro concede l’asilo politico a Cesare Battisti

Paolo Persichetti

Liberazione 16 gennaio 2009

Cesare Battisti, l’ex esponente dei Pac condannato all’ergastolo dalla giustizia dell’emergenza italiana e riparato in amnistiaj3pocvBrasile dopo l’estradizione concessa dalla Francia, non verrà estradato. Il ministro della Giustizia Tarso Genro, anch’egli con un passato di esiliato politico durante gli anni della dittatura e per questo rifugiatosi in Uruguay, gli ha concesso l’asilo politico (sarà libero entro 4 giorni). Decisione che ha capovolto il parere fornito a stretta maggioranza (tre contro due) dal Conare (l’organismo abilitato a fornire un avviso tecnico) il 28 novembre scorso. Arrestato a Copacabana il 18 marzo 2007, Battisti non era riuscito inizialmente a far valere le sue ragioni. Le prime tappe della procedura aveva preso una brutta piega. Insomma l’esito positivo della vicenda non sembrava affatto scontato. Il 2 aprile 2008, il procuratore generale, raccogliendo le pressioni diplomatiche e soprattutto degli ambienti giudiziari italiani, aveva espresso parere favorevole all’estradizione. Per questo la difesa aveva rinunciato a proseguire la sua battaglia sulla via strettamente giudiziaria, che prevedeva il ricorso al tribunale supremo federale (l’equivalente della nostra corte costituzionale), per interpellare direttamente il potere politico. Così in ragione dello “statuto dei rifugiati del 1951” e di una legge del 1997, il ministro della Giustizia ha ritenuto che esistessero tutti i requisiti richiesti per la concessione dell’asilo politico. Tra questi il fatto che gli episodi contestati a Battisti poggiassero tutti sulle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, Pietro Mutti, lautamente remunerato con l’impunità, senza altri fondati elementi di prova; la presenza di una legislazione penale speciale, cioè di una giustizia d’eccezione che sovrasanziona i delitti politici e riduce le garanzie processuali e la sussistenza di un contesto storico caratterizzato da un conflitto sociale acceso. Il mantenimento, a distanza di tanti decenni, di un intento ultrapersecutorio che ha reso tabù qualsiasi chiusura politica delle eredità penali degli anni 70, avrebbe così suscitato quel rischio di «persecuzione politica», evocato per giustificare l’asilo, che tanto scandalo ha suscitato nel ceto politico-giudiziario italiano. A confortare la decisione è intervenuto anche il parere di Francesco Cossiga, già ministro degli Interni e presidente del consiglio negli anni più duri dello scontro tra istituzioni e sovversione di sinistra (nonché promulgatore della legislazione speciale). Alcuni decisivi passaggi della lettera dell’ex presidente della Repubblica sono stati ripresi nello stesso provvedimento emesso dal ministro Genro. Vi si può leggere infatti che «i sovversivi di sinistra venivano considerati nell’Italia degli “anni di piombo”, come semplici terroristi e talvolta criminali comuni. L’autore della lettera – conclude il provvedimento – sostiene, tuttavia, l’impropietà di questa classificazione attribuita al ricorrente». La decisione del Brasile, che si aggiunge a quella della Francia sul caso Petrella, rappresenta un smentita cocente delle arroganti pretese della magistratura e del ceto politico italiano. La dottrina Mitterrand ha trovato in questo modo una rinnovata legittimazione internazionale. L’italia con la sua eccezione giudiziaria resta sempre più sola.

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Su amnistia e dottrina Mitterrand vedi anche i seguenti link

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Sulla vicenda di Marina Petrella vedi anche i seguenti link

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