Peggio dei nazisti. Parte oggi “Mos maiorun”, la retata europea contro i migranti

Fronte-modificato-1-copia-212x300Una retata su scala europea in nome della tradizione. Parte oggi, sotto l’egida del semestre di presidenza italiano dell’Unione, “Mos maiorun”, un’imponente operazione di polizia e intelligence contro i migranti. Per due settimane, dal 13 al 26 ottobre, le forze di polizia cercheranno di fermare e arrestare i migranti in situazione irregolare e raccogliere il massimo di informazioni sulle reti clandestine, le rotte e i percorsi utilizzati per entrare e spostarsi in Europa. 18 mila poliziotti saranno mobilitati per rafforzare i controlli alle frontiere, negli aeroporti, le stazioni e i porti. Il coordinamento dei lavori sarà affidato alla direzione centrale per l’immigrazione e alla polizia di frontiera del Ministero dell’Interno italiano, affiancati da Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne nei paesi dell’area Schengen che, secondo quanto precisato all’Ansa dal direttore esecutivo dell’agenzia, Gil Arias Fernandez, fornirà solo un contributo di tipo statistico senza aver avuto alcun ruolo nella pianificazione e nell’implementazione dell’operazione.

Stando a quanto descritto nel documento del consiglio dell’Unione europea, reso pubblico dall’associazione britannica Statewatch, i Paesi partecipanti all’iniziativa sono invitati a raccogliere per ogni persona fermata il profilo (nazionalità, genere, età, luogo e data d’ingresso nell’Unione), il percorso effettuato, il tipo di trasporto impiegato, la data di partenza, le tappe intermedie verso la destinazione finale, con particolare attenzione alle tendenze ed eventuali rapidi cambiamenti. Altresì vanno segnalati nel corso delle operazioni: il modus operandi, la falsificazione dei documenti, le somme versate e la tracciatura dei soldi usati per i viaggi, l’identificazione dei collaboratori, la nazionalità e il Paese di residenza dei “facilitatori”. Un report finale sulla retata sarà presentato l’11 dicembre.

Presentata come un’operazione volta ad «indebolire la capacità dei gruppi criminali organizzati che gestiscono le vie dell’immigrazione illegale», l’iniziativa è stata duramente criticata dalle associazioni che si occupano d’assistenza, sostegno e integrazione dei migranti. Il documento del consiglio europeo, infatti, nulla dice sulla sorte che sarà riservata alle persone fermate. Saranno internate, ricondotte alla frontiera, incarcerate? Inoltre i controlli su base razziale, sottolineano ancora la associazioni per i diritti dei migranti, «sono metodi assolutamente illegali secondo il diritto europeo» e l’operazione messa in piedi non sarebbe altro che «una vera e propria caccia al migrante su scala continentale».

Retate del genere non sono rare in Europa, spiega Chris Jones dell’associazione Statewatch, «Operazioni del genere vengono svolte più o meno ogni sei mesi sotto la direzione del Paese che presiede l’unione europea. Prima di “Mos maiorum”, c’era stata “Aerodromos”, pilotata dalla presidenza greca, e ancora prima “Perkuna”, diretta dalla presidenza lituana».
Il ricorso a nomi classici, greci o latini, per designare queste operazioni di polizia non ha solo ragioni linguistiche (la radice comune con molte lingue dell’Unione), serve anche a conferire loro magnificenza, un prestigio quasi mitologico e una retorica di potenza. In taluni casi i nomi hanno delle connotazioni più accentuate che rinviano ad implicazioni di tipo morale o guerresco, come è accaduto con “Mare Nostrum”, l’operazione umanitaria condotta dalla marina militare italiana conclusasi recentemente. “Mare nostrum” era il nome che i Romani avevano dato al mar Mediterraneo quando ne dominavano l’intero bacino, dalla Spagna all’Egitto. Il termine era stato ripreso nel XIX° secolo dai nazionalisti per poi condire la retorica espansionista di Mussolini. L’uso che se ne è tornato a fare oggi, al di là degli importantissimi salvataggi in mare, rinvia ancora una volta ad un immaginario di supremazia e possesso delle acque. Siamo gentili ed umani con voi, o genti disperate che nei flutti cercate salvezza dalle vostre terre martoriate, ma i padroni di questo mare restiamo noi…

La stessa cosa si può dire per l’utilizzo ancora più inquietante dell’espressione latina “mos maiorum”. Non siamo di fronte ad un freddo acronimo o ad un termine descrittivo ma ad una precisa scelta. Si tratta del riferimento più che esplicito a quella morale degli antenati che alimentava le correnti più conservatrici dell’antica società romana. Una visione dei costumi e del sistema di valori che nella battaglia ideologico-culturale della Roma antica era opposta alla decadenza del nuovo. Ciò vuole dire che la politica migratoria deve intendersi innanzitutto come un affare morale, di difesa dei valori, di tutela identitaria di fronte alle invasioni barbariche. Una rappresentazione che rinvia senza mezzi termini ad una visione dell’Europa come fortezza assediata, messaggio di chiusura culturale, di difesa di una purezza immaginaria contro la contaminazione del caos. E’ chiaro, qualcuno pensa ancora che sui nostri bagnasciuga si gioca uno scontro di civiltà.

Una campagna di allerta per i migranti è stata preparata nelle scorse settimane. Volantini in otto lingue sono stati diffusi sulla rete e nelle strade d’Europa per mettere sull’avviso i migranti dai rischi supplementari incorsi in questo momento. Un invito ad utilizzare SMS e social network per segnalare controlli, retate e posti di blocco è venuto dalle reti militanti di solidarietà. Su Twitter, Fb eccetera chi vuole può utilizzare l’hashtag #StopRaids#nomedellacittà per segnalare controlli, retate, posti di blocco.

Cronache migranti

mos-maiorum

SCIOPERO DEL LAVORO NERO tra Napoli e Caserta (via Polvere da sparo)

SCIOPERO DEL LAVORO NERO tra Napoli e Caserta IERI DALLE 5 DI MATTINA ALLE 18 LE ROTONDE TRA NAPOLI E CASERTA SI SONO FERMATE…NIENTE CAPORALI A CARICAR SCHIAVI! UNA GIORNATA IN CUI S’E’ RESPIRATA UN’ARIA NUOVA, DI RIBELLIONE E DIGNITA’. IL LORO COMUNICATO E QUALCHE IMMAGINE, IN ATTESA DI SAPERE COME ANDRA’ LA MANIFESTAZIONE DI OGGI. Oggi si è fermato il mercato delle braccia in Campania! Si sono fermati migliaia di migranti costretti a lavorare in nero principalmente in edilizia e in agricRead More

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Cronache migranti
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Cronache migranti

via Polvere da sparo

Castelvolturno: il sindaco e Forza Nuova riesumano il KKK

In vista dello sciopero dei migranti che si terrà venerdì 8 ottobre a Castel Volturno, durante una conferenza stampa il sindaco Antonio Scalzone e Roberto Fiore di Forza nuova riesumano il Ku klux klan

Paolo Persichetti
Liberazione 5 ottobre 2010

Il problema di Castel Volturno sono le tre C: comunisti, clandestini e camorra». E’ questo il succo del pensiero – se così lo si può definire – espresso da Roberto Fiore nella conferenza stampa tenuta sabato scorso nella cittadina domiziana insieme al sindaco Pdl, Antonio Scalzone, in sostituzione della manifestazione indetta dal primo cittadino e dalla sua maggioranza ma poi vietata dalla prefettura per ragioni di ordine pubblico. Divieto che seguiva quello di pochi giorni prima, quando sempre per gli stessi motivi non era stata autorizzata la fiaccolata promossa da Forza nuova per la serata di giovedì 30 settembre. Iniziativa alla quale avrebbe dovuto prendere parte lo stesso sindaco, pronto ad accogliere a braccia aperte gli scalcagnati manipoli del centurione Fiore. «Vengono a portarmi la loro solidarietà ed io li accoglierò volentieri nel mio territorio», ha dichiarato il primo cittadino che pochi giorni prima aveva rifiutato di partecipare alla commemorazione della strage del 18 settembre 2008, nella quale vennero uccisi sei lavoratori ghanesi, cinque dei quali con regolare permesso di soggiorno, mentre il sesto aveva denunciato il datore di lavoro che continuava a sfruttarlo al nero.

La rivolta dei migranti dopo la strage di Castelvolturno

Sei onesti lavoratori trucidati barbaramente da spietati killer della camorra, colpiti a caso nel mucchio per dare l’esempio e sottomettere l’intera comunità migrante al lavoro schiavile. Quel giorno sul luogo dell’eccidio venne posta una stele mentre il sindaco continuava a spargere odio infamando la memoria delle sei vittime, accusate contro ogni evidenza processuale, di «non essere innocenti» ma uccise a causa di un regolamento di conti. Senza dimenticare le vituperate associazioni antirazziste ritenute complici dell’immigrazione clandestina. Difendere i diritti di chi è ridotto a rapporti di semischiavitù lavorativa a causa della clandestinità danneggia gli avidi interessi del gruppo sociale di cui il sindaco è espressione. Così Antonio Scalzone, la cui prima amministrazione venne sciolta nel 1998 per «condizionamenti camorristici», ha trovato man forte in Roberto Fiore, il fascista di dio. L’unto e il manganello. Uno visto male persino dagli altri camerati, quelli  con tendenze turbodinamiche e futuristico-creative. Fiore sembra aver scambiato le rive del Volturno con quelle del Mississippi, ha parlato delle “tre c”, ma sogna le “tre k” di un novello Ku klux klan. Nella conferenza stampa ha dichiarato che la sua organizzazione aprirà una sede a Castel Volturno e si attiverà per la costituzione di comitati popolari misti, composti da militanti di Fn e popolazione locale. Obiettivo: le solite ronde, la caccia all’immigrato e al comunista. Ma i lavoratori si stanno organizzando: l’8 ottobre ci sarà il primo “sciopero delle rotonde”, luogo dove ogni mattina si tiene il mercato spontaneo (e al nero) della forza lavoro immigrata. Per Fiore ci saranno solo tre S: scappa, scompari, sparisci.

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Un importante chiarimento politico si attende……..

Comitato Promotore delle Manifestazioni antirazziste dell’8 e 9 ottobre
Caserta, 2 ottobre 2010


La storia di Forza Nuova da sempre è segnata da quel bagaglio di ignoranza che produce la solita retorica. Stavolta si fa demagogia parlando di “comitati popolari per liberare Castel Volturno dal male” e accostando i clandestini alla camorra.
L’insania di essere l’incarnazione del Bene ha sempre caratterizzato la pretesa legittimazione sia di “programmi” discutibili sia di atteggiamenti e azioni violente da parte di FN.
In una fase del genere non crediamo che gli autoctoni e gli immigrati di Castel Voltuno abbiano bisogno di chi mira ad esasperare ulteriormente le situazioni affrontandole con mentalità da bande di strada o peggio ancora da squadracce in azione.
In un territorio dove a comandare è la violenza imposta dalla criminalità organizzata, solo un’azione consapevole delle radici dei problemi può contribuire ad un cambiamento in positivo. Chi crede che a Castel Volturno, oltre alla camorra, le piaghe sociali siano “comunisti e clandestini” forza la realtà ad un suo schema mentale perché incapace di osservare e trarre conclusioni.
Cosa sarebbe l’economia sul litorale domitio senza i cosiddetti “clandestini”? Come si farebbe a sostenere una produzione dai costi così bassi senza di loro? Chi altri se non loro, costretti alla clandestinità da vuoti legislativi, farebbe risparmiare così tanto sul costo del lavoro? Chi pagherebbe i fitti delle tante case del litorale?
Dei tanti immigrati che grazie al lavoro delle associazioni hanno ottenuto un permesso di soggiorno e sono andati altrove a cercare un lavoro regolare, quanti sarebbero ancora sfruttati a Castel Volturno?
Ma più ancora della superficialità e della sterilità delle proposte di FN, ci stupisce l’atteggiamento del Sindaco di Castel Volturno Scalzone. Di lui certo non si può dire che non conosce il territorio e che è piombato come un “marziano” con le sue ricette preconfezionate.
La Questura e la Prefettura gli hanno vietato la manifestazione per motivi di ordine pubblico e sicurezza e Scalzone prima si offende e poi le ringrazia perchè “i centri sociali e le associazioni  che si occupano degli immigrati avrebbero potuto sfruttare anche questo momento di aggregazione della gente del litorale per destabilizzare il territorio.”
Di destabilizzazione, effettivamente, Scalzone se ne intende: non si è mai tirato indietro quando era possibile lanciare una provocazione, tirare un sasso, scaldare gli animi in una situazione già accesa. L’idea di “fare come a Rosarno”, l’ammiccamento ad un partitino di chiara matrice fascista-nazista, l’accusa alle associazioni di sopravvivere sulle sofferenze degli immigrati, le insinuazioni sulla commemorazione dei morti della strage di S.Gennaro: Scalzone ha sempre perso tutte le occasioni per riflettere sul peso delle sue dichiarazioni che nulla di buono e di concreto hanno reso sia agli autoctoni che agli immigrati.
Invitiamo, dunque, il Sindaco Scalzone a invertire questa tendenza, a chiarire le sue posizioni e dunque a partecipare alle mobilitazioni promosse dalla Rete Antirazzista di Caserta: l’8 ottobre ci sarà il primo sciopero del lavoro nero, ossia un blocco delle rotonde del caporalato tra Napoli e Caserta.
Il 9 ottobre, invece, ci sarà una manifestazione a Castel Volturno contro le camorre e il razzismo e per promuovere solidarietà e diritti per tutti.
Siamo curiosi di sapere se Scalzone, oltre a “compiacersi dell’attenzione” che FN dedica a Castel Volturno, sosterrà la lotta contro lo sfruttamento, il razzismo e le camorre che la rete Antirazzista sta promuovendo o se anche stavolta gli basterà la demagogia con cui ha conquistato l’attenzione dei giornali.
Ci permettiamo, dal basso della nostra esperienza, di dare un consiglio al Sindaco Scalzone: c’è una linea chiara e inaggirabile tra le soluzioni consapevoli dei problemi e la giustizia “fai da te”, sempre parziale e spesso violenta. Scalzone si sta divertendo a saltellare aldiquà e aldilà di questa linea, invocando l’aiuto istituzionale e incitando ad una “nuova Rosarno”, organizzando manifestazioni contro gli immigrati e congratulandosi con la Questura e la Prefettura che l’hanno vietata per motivi di ordine pubblico, ringraziando FN per l’attenzione e rivendicando il ruolo istituzionale della Repubblica nella risoluzione dei disagi. Da questo gioco nessuno esce vincitore: né i castellani né gli immigrati, e prima o poi queste due posizioni inconciliabili andranno in un pericoloso corto circuito.
E infine una domanda! Cosa dicono i partiti, i sindacati e le associazioni sul territorio circa le “strane” posizioni di Scalzone? Cosa dicono circa la sua vicinanza all’organizzazione Forza Nuova? Cosa dice l’opposizione politica in questa provincia? Ed il Partito di governo? Il Pdl cosa dice? Il sindaco Scalzone è stato eletto con i voti di Forza Nuova? Risponde a Forza Nuova? Ci siamo persi qualcosa sulla nuova linea politica del Pdl? E cosa dicono i Finiani di Futuro e Libertà?
Un importante chiarimento politico si attende……..

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Ponte Galeria, migranti in rivolta salgono sui tetti

Protesta contro le bestiali condizioni di vita e l’internamento ingiustificato

Paolo Persichetti
Liberazione
14 marzo 2010

Mentre il popolo viola si radunava in piazza del Popolo per ascoltare i discorsi dei leader dell’opposizione, da Bersani a Ferrero, da Vendola a Di Pietro, ad una ventina di chilometri di distanza, nella zona suburbana della Capitale, si scatenava la rivolta dentro il Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria. Dopo aver dato fuoco ai materassi una trentina di migranti sono riusciti a salire sui tetti al grido di «libertà», mentre colonne di fumo e fiamme si alzavano verso il cielo. Altri hanno tentato di arrampicarsi sulle reti di recinzione che separano la zona maschile da quella femminile. Le donne dopo aver provato anche loro a ribellarsi sono state subito rinchiuse al’interno dei reparti. Fuori dalla cinta del campo d’internamento, oltre le reti, il filo spinato, le torrette d’avvistamento e i fari, un presidio dei Centri sociali appoggiava la protesta con slogan e fumogeni colorati. Fotografia sintomatica di due mondi diversi e lontani. Quelli di piazza del Popolo sotto i riflettori occupano la scena mediatica, contraltare quasi speculare della commedia berlusconiana; i secondi, su quei tetti, da dove si arriva quasi a scorgere la linea azzurra del mare che bagna il litorale romano, condannati alla drammatica solitudine dei vinti. D’altronde l’occultamento dello sciopero generale del giorno precedente, dell’unica manifestazione che in questi giorni aveva da proporre qualcosa, un’idea di società un po’ diversa, la dice lunga sul grado zero della politica che sta dietro la nevrastenica e confusa indignazione del variegato universo dei viola. Due mondi che non comunicano, un po’ come accadeva sui ponti del Titanic. I rinchiusi nella stiva, la grande pancia del titano del mare in movimento, e quelli sopra impegnati nello loro dispute mondane. Ecco uno dei problemi, anzi delle voragini che hanno risucchiato la sinistra verso l’inconsistenza, un po’ come quegli smottamenti di terreno che inghiottono i paesini della Calabria. La rivolta delle nude vite lasciata sola. A Ponte Galeria, dopo la fine dello sciopero della fame che gli internati avevano deciso insieme ad altri loro compagni rinchiusi in altri Cie d’Italia, si vivevano giorni difficili pieni di frustrazione e delusione. L’arrivo dei nuovi gestori che hanno rimpiazzato la Croce rossa non ha migliorato le condizioni di vita. Anzi sembra che l’insediamento della cooperativa Auxilium vincitrice della gara d’appalto, e che già gestiva il Cara (Centro di accoglienza per richiedenti asilo) di Bari, sia coinciso con un giro di vite ulteriore. Regole sempre più dure, cibo scadente privo di vitamine, riscaldamento fuori uso e somministrazione quasi forzata della terapia, una vera sedazione di massa. Gelo, freddo, minacce, umiliazioni e pestaggi, sono il pane quotidiano. Un inferno. La rivolta di ieri era stata preceduta da un’altra sommossa. Proprio nei giorni in cui avveniva il passaggio di consegne, dall’ala inaugurata di recente partiva un tentativo di fuga. Tuttavia solo un ragazzo riusciva a raggiungere il muro di cinta e provare il salto verso la libertà. Ma la speranza durava poco. Subito ripreso, il giovane veniva pestato brutalmente dalle forze dell’ordine. Secondo le testimonianze, tra gli autori della violenta punizione inflitta a mo’ d’esempio vi sarebbe stato lo stesso dirigente della polizia. Dopo le percosse il ragazzo veniva portato via. Iniziava così la protesta. Grida, coperte date alle fiamme e devastazione sistematica di tutto ciò che si riusciva a spaccare. Parola d’ordine: «distruggere il lager». Per sedere la sommossa il giovane veniva ricondotto tra i suoi compagni. Malconcio ma finalmente in mani sicure. Nella serata di ieri i rivoltosi erano ancora sui tetti decisi a restarvi per tutta la notte. Dopo averli rincorsi e colpiti tentando di farli desistere anche con il lancio di gas, la polizia schierata in assetto antisommosa presidia l’edificio. All’esterno, in segno di solidarietà i manifestanti hanno bloccato i treni della linea ferroviaria. Soltanto dopo una lunga trattativa con i funzionari delle forze dell’ordine tutto è tornato tranquillo.

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Khadim, arrestato mentre lasciava l’Italia perché… in passato non aveva lasciato l’Italia

Manette in aereoporto. Non sapeva della condanna a 7 mesi per non aver lasciato l’Italia. Voleva tornare a casa ma è clandestino

Paolo Persichetti
Liberazione 6 gennaio 2010

Nemmeno Kafka sarebbe arrivato a congeniare una storia tanto assurda. Assurda al punto da raggiungere il sublime, se non fosse che un uomo che non ha mai rubato nulla, trafficato sostanze illecite, esercitato violenza o truffato alcuno, ma al contrario ha sempre lavorato, lasciandosi sfruttare al nero, giace nel fondo di una prigione. Khadim, un cittadino senegalese quarantunenne che da otto anni viveva in Italia in situazione amministrativa irregolare aveva deciso di rientrare nel suo Paese. Notizie non buone sullo stato di salute di alcuni suoi familiari l’avevano finalmente spinto a mettere fine alla sua esperienza di migrante, mai pervenuta al raggiungimento dell’agognato permesso di soggiorno. Otto anni di vita da clandestino sono pesanti anche se alla fine chi ti è vicino ti vuole bene, hai saputo crearti degli amici, hai l’impressione di vivere tra la gente una esistenza quasi normale, sempre che non ti capiti di incontrare una uniforme, di dover varcare un ufficio amministrativo o un ospedale. Khadim era stanco e così aveva acquistato di tasca propria un biglietto per Dakar. Giunto all’imbarco dell’aereo che doveva riportarlo a casa è stato arrestato e condotto in carcere perché sulla sua testa pesava, a sua insaputa, una condanna a 7 mesi di carcere. In passato non aveva ottemperato ad alcune misure di espulsione dal territorio pronunciate nei suoi confronti. La procedura era andata avanti fino a trasformarsi in una condanna penale. Khadim ignorava tutto ciò, aveva un passaporto regolare e pensava di poter lasciare tranquillamente l’Italia. Non poteva immaginare che sarebbe stato arrestato proprio perché non aveva lasciato l’Italia.
Su due piedi si fa un po’ fatica a capire che una persona possa essere arrestata perché una legge dice che, data la sua situazione amministrativa irregolare, deve lasciare il territorio e ciò accade proprio quando lui sta lasciando il territorio. Ma la legge, come si dice, è cieca. E così, invece si di salire sul volo per Dakar, Khadim si è ritrovato nel carcere laziale di Civitavecchia. Era l’11 ottobre scorso. La notizia è stata resa nota dal garante dei detenuti della regione Lazio, Angiolo Marroni, allertato a sua volta da alcuni conoscenti italiani di Khadim, proprio quelli che l’avevano accompagnato all’aeroporto romano di Fiumicino. Questi credevano il loro amico in Senegal e invece si sono visti recapitare una sua lettera dal carcere. Una volta imprigionato, Khadim non si è perso d’animo, anche se i primi giorni sono stati duri. Senza effetti personali, trattenuti al momento dell’arresto, e recuperati anche grazie all’intervento del garante. Ha subito avviato le pratiche per l’espulsione. Ipotesi prevista come misura alternativa per diversi reati con condanna inferiore ai due anni. Tuttavia la sua istanza è stata respinta dai magistrati perché la legge “Bossi-Fini” non consentirebbe questo tipo di soluzione per chi non ha ottemperato all’espulsione. Peccato che Khadim stesse ottemperando da solo. Ora dovrà restare in carcere fino allo scadere dei 7 mesi previsti. Difficilmente potrà accorciare la sua permanenza usufruendo dei 45 giorni di liberazione anticipata previsti in caso di buona condotta. Questo beneficio scatta solo dopo ogni semestre e i tempi tecnici per il suo riconoscimento sono abbastanza farraginosi. In ogni caso, dopo il carcere, Khadim non sarà subito libero. Non potrà salire sul primo aereo per Dakar ma finirà dritto in un Cie, dove dovrà attendere settimane e forse mesi, fino a un massimo di altri sei, perché le pratiche della sua espulsione vengano portate a termine e la polizia possa ricondurlo forzatamente alla frontiera. Peccato che Khadim, se lo lasciassero andare, partirebbe tranquillamente da solo. Questa storia è emblematica dei livelli di oscena stupidità che possono essere raggiunti dalle burocrazie repressive. Appena 9 mila sono gli immigrati espulsi, ha detto il ministro dell’Interno. Ciò dimostra che le leggi contro l’immigrazione più che a scacciare i migranti, servono a cacciarli in una condizione di clandestinità che li trasforma in una sottoclasse ipersfruttata. Chi predica la lotta alla clandestinità, vuole in realtà ripristinare lo schiavismo.

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Siamo un paese multietnico

Libri – L’Italia vista dai bambini immigrati. Dizionario tratto dal volume Italiani per esempio di Giuseppe Calicetti, Librerie Feltrinelli

Il libro (64 pagine) raccoglie anni di esperienza fra i bambini immigrati delle scuole di Reggio Emilia

Dittatura

La dittatura sono delle persone che lavorano tutte in una ditta.
(Zahira, 7 anni, Tunisia)

Italia Politica

In Italia ci sono due re: un re è Belusconi, l’altro re è il Papa. Berlusconi comanda l’italia, il Papa comanda gli italiani.
(Suko, 9 anni, Cina)

Sempre

Per me la mamma è più importante dela papà perché se tua mamma si sposa con un altro marito, lei è sempre tua mamma, invece tuo papà dopo cambia.
(Ines, 10 anni, Santo Domingo)

Politica

La politica è quando uno non è d’accordo.
(Diego, 8 anni Romania)

Pensieri

Da piccola avevo meno pensieri
(Yuko, 7 anni, Cina)

Pesanti

A me sembra che tanti immigrati fanno dei lavori più pesanti dei lavori degli italiani e stanno anche a lavorare anche di più degli italiani, perché mio padre viene sempre a casa da lavorare quando è già buio e dopo vuole andare subito a letto. Perché i lavori più leggeri sono degli italiani perché sono arrivati prima di noi.
(Isham, 8 anni, Marocco)

Naso

Una cosa a me dava molto fastidio era stato all’inizio, quando io sono arrivato qui in questa scuola, perché subito nessuno voleva sedersi vicino a me, andavano via, mi evitavano. Se una maestra mi chiamava e mi alzavo, un bambino metteva il naso sulla sedia, faceva delle smorfie, faceva finta che puzzavo per far ridere gli altri.
(Naima, 7 anni, Marocco)

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Razzismo a Tor Bella Monaca: agguato contro un migrante

Pestato a freddo ad un semaforo della periferia di Roma. In coma da una settimana commerciante pakistano. Ma non ha fatto notizia

Paolo Persichetti
Liberazione
31 marzo 2009

Mezzasega in posa

Mezzasega in posa

Stanno lì appollaiati sul muretto, presidiano il loro angolo di strada, un pezzo di marciapiede, un semaforo trasformato nel Totem sacro del loro territorio. Parte da qui l’odio incarognito che muove le piccole bande di giovani italiani spesso minorenni, che a Tor Bella Monaca, immenso quartiere della periferia sud-est della capitale, imperversano contro gli immigrati. Vessazioni e intimidazioni sono un fatto quotidiano. Piccole angherie, minacce, insulti, vetri rotti, macchine danneggiate finché un episodio un po’ più grave, una rapina, un’aggressione o un pestaggio, buca l’indifferenza e finisce nelle cronache locali, a volte nelle pagine nazionali. Stavolta neanche questo è successo.
Otto giorni fa, lunedì 23 marzo, Mohammad Basharat, un negoziante pakistano di 35 anni è finito in coma dopo una brutale aggressione. Ma la notizia è uscita fuori solo domenica 29, quando i familiari indignati per il completo blackout mantenuto sull’episodio hanno dato la notizia al Messaggero. Lunedì pomeriggio, Mohammad, insieme al cugino Alì, era andato col suo furgone Ducato al supermercato del quartiere per rifornirsi di merce da mettere in vendita nel suo negozio aperto meno di un anno fa. Sulla strada del ritorno era fermo a un semaforo. Non un semaforo qualunque ma quel semaforo, il Totem sacro. Chi passa da lì, nei pomeriggi che non terminano mai, deve pagare pegno se è un immigrato. Pakistani, Srilankesi e Bengalesi della zona lo sanno benissimo. Soprattutto sanno bene che non bisogna raccogliere provocazioni, mai incrociare gli sguardi, fare finta di non aver sentito gli insulti, non aprire vetri e portiere, anzi mettere la sicura e spingere a tavoletta l’acceleratore appena arriva il verde. Quello è il semaforo della paura.
Nella comunità funziona il passa parola, per questo ora tutti si domandano perché mai Mohammad non si è attenuto alle indicazioni, ma al contrario ha addirittura aperto la portiera. Sembra che quei brutti ceffi, cinque giovani secondo le testimonianze, teste rasate, orecchini, anello al pollice, insomma il solito look da coatto fascistoide, da popolo delle scimmie che agita le curve degli stadi, siano riusciti ad ingannarlo facendogli credere che avesse il portellone posteriore aperto. Mohammad ha abbassato il livello di vigilanza e quelli l’hanno letteralmente estratto dal mezzo e pestato. I pugni al volto sono stati devastanti; lui è caduto a terra sbattendo la testa. Un automobilista che ha assistito alla scena ha subito chiamato i soccorsi. All’inizio, per timore di ritorsioni, Mohammed non ha voluto sporgere denuncia. La paura era tale che per ben due volte ha rifiutato l’ambulanza ridimensionando l’episodio. Solo dopo esser andato finalmente in ospedale per il ripetuto mal di testa ha ricostruito esattamente la dinamica dell’aggressione. Ma la polizia sapeva già ogni cosa perché i testimoni avevano parlato. Un ritardo nei soccorsi che ha permesso all’emorragia cerebrale di dilagare. Mohammad, che doveva sposarsi a giorni in moschea, non sa che la sua compagna, incinta di pochi mesi, ha perso il bambino a causa del forte stress causato dalla vicenda. Lei, Chamdy Karunasekera, 38 anni, dello Sri Lanka, in un sol colpo rischia di ritrovarsi sola, senza più figlio e marito. La loro vita non era stata semplice. Avevano tentato con un phone center a Colli Albani, un’altra zona periferica della città, ma avevano dovuto chiudere a causa delle ripetute rapine notturne. Chamdy racconta anche di un’altra aggressione subita due anni fa dal suo compagno, sempre da parte d’Italiani in un’altra zona di Roma, l’Eur. Sembra di capire che il razzismo non ha quartiere e la xenofobia ormai uniforma i comportamenti. Periferia e aree residenziali, rampolli della borghesia bene, ceto medio e proletari, hanno condotte identiche e un medesimo humus culturale. Il marketing politico sulla sicurezza, la politica delle ronde, l’inasprimento della legislazione contro l’immigrazione carezzano l’odio che erutta dalla profondità antropologiche degli Italiani. Sull’immigrato, additato come capro espiatorio della crisi, si è costruita l’ultima immagine del nemico interno su cui costruire le nuove emergenze.
Chi aggredisce così spudoratamente, senza nemmeno la presenza di un pretesto ma quasi per gioco, per riempire pomeriggi vuoti, pieni di noia, sente alle proprie spalle il sostegno della politica, sente che ha con se l’air du temps. Una destra di governo che usa la paura contro i migranti, aizza l’intolleranza, legifera la discriminazione. Una polizia culturalmente connivente con i picchiatori bianchi. Commissariati di zona che mentre chiudono un occhio e restano indifferenti verso le intimidazioni di strada, tartassano di controlli gli immigrati, li fermano in continuazione, impediscono loro di guadagnarsi da vivere, li spingono sempre più verso la marginalizzazione e la clandestinità sociale.
Nonostante le politiche di riqualificazione urbana, che pure sono state avviate, Tor Bella Monaca resta terra di frontiera. L’apertura di un teatro comunale, di una ludoteca, di una biblioteca, la costruzione di giardini, hanno avuto l’effetto di una goccia d’acqua nel mare dell’emarginazione e della frustrazione che avvelena i giovani del quartiere. Ci sono forze più profonde, spiriti animali di un’epoca dove predomina la volontà di sopraffazione verso il debole e l’acquiescenza verso il forte.

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Cronache migranti
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I dannati della nostra terra
Sans papiers impiegati per costruire Cpt
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Elogio della miscredenza

Le ronde non fanno primavera

Da Padova a Forlì il mercato delle ronde apre la strada alla privatizzazione e politicizzazione della sicurezza

Paolo Persichetti

Liberazione 1 marzo 2009

Dopo l’entrata in vigore del decreto legge sulle ronde, in molte parti d’Italia si assiste ad un proliferare di «associazioni di volontari per la sicurezza», intenzionati a presidiare il territorio con funzioni ausiliarie delle forze dell’ordine.
A Padova, militanti di An e della Lega sono scesi in alcuni quartieri fino a quando hanno trovato la strada sbarrata dai giovani dei centri sociali. Un po’ di sberle e l’intervento della polizia hanno messo fine ad all’iniziativa.1209814452821_00c42305
L’indeterminatezza e la prosa allusiva contenuta nel testo varato dal governo lo scorso 25 febbraio hanno lasciato ampio spazio alle interpretazioni più pericolose e così si è immediatamente scatenata la corsa all’accaparramento del mercato politico-mediatico delle ronde. Il testo approvato, infatti, pur dando priorità alle associazioni composte da personale delle forze dell’ordine in congedo, estende il ricorso alla collaborazione con i comuni ad ogni altro tipo di «associazione tra cittadini non armati», purché compaiano in un’apposita lista depositata in prefettura e non usufruiscano di finanziamenti pubblici. Formulazione che sembra aprire al finanziamento privato della vigilanza, sul modello delle «agenzie private di sicurezza» teorizzato dai partigiani dell’ultracapitalismo selvaggio, come lo studioso americano Robert Noizick.
Ritagliato su misura sulle esperienze di vigilanza locale già sperimentate nelle cittadine governate da amministratori leghisti, l’impresa delle ronde è diventata subito un terreno d’accesa competizione per il controllo del territorio tra schiere di leghisti e squadre di An, Storace, Forza nuova e Fiamma tricolore.
guardianazionalepadanaks5A Verona la giunta comunale ha istituito gli «assistenti civici», ad Udine la Lega ha annunciato la creazione di ronde entro il mese. A Milano come a Napoli agiscono da tempo i City angels e i Blue berets. A Torino e Ferrara giovani di An sono scesi in strada, mentre a Trieste Fiamma tricolore sta organizzando ronde intitolate alla memoria di Ettore Muti. A Bologna ci sono state iniziative episodiche di An, Forza nuova e Lega. A Forlì la Lega ha creato delle «ronde civiche». A Roma invece è molto attiva la Destra di Storace che ha sguinsagliato i propri militanti e annunciato la nascita di «ronde rosa» nel quartiere dell’Eur. Il più delle volte si tratta d’effetti d’annuncio, scimmiottamenti mediatici con pettorine colorate di fronte a tv e fotografi, ma la tendenza a strutturare “squadrette”, camuffando un rinnovato squadrismo sotto le vesti delle milizie cittadine volontarie, è ormai avviata, al punto che anche La Russa, il ministro della Difesa che inizialmente aveva dato voce alle perplessità dell’arma dei carabinieri, ora si è detto favorevole. Anche lui prevede che i civili possano far parte dei cosiddetti «pattuglioni», ovvero una militarizzazione del territorio allargato non solo alla presenza di polizia e carabinieri, ma all’esercito, che già sorveglia i semafori, e alla polizia penitenziaria, guardia di finanza, forestale (e perché no anche ai guardiacaccia e guardiapesca?). Un’Italia, insomma, che assomigli sempre più al piazzale di una caserma con adunate e alzabandiera mattutini.
«Riprendiamoci la città» era uno degli slogan che più echeggiava negli anni 70. Lanciato da Lotta continua venne ripreso durante il movimento del 77, dove risuonò come una slavina durante gli enormi cortei. Dietro questa parola d’ordine agiva il protagonismo di soggetti deboli e misconosciuti, la partecipazione irruenta dei senza parola alla vita pubblica contro ogni forma di sfruttamento, sopraffazione, carovita, per un uso pubblico e sociale della città, dove trovassero soddisfazione i bisogni dei cittadini, reddito, trasporti, verde, cultura, spazi di socialità, musica, feste.
Mai il senso delle parole ha potuto segnare la direzione di un’epoca come in questo caso. Ciò che allora voleva indicare la riconquista condivisa dello spazio pubblico, un allargamento della cooperazione e della socializzazione, l’uscita dai ghetti della fabbrica, dei quartieri dormitorio, del privato, ora indica l’esatto opposto.
Oggi a lanciare questo slogan sono le truppe del Carroccio e le squadre della destra che coagulano gli interessi particolaristici dei bottegai, di cittadini blindati nei loro villini a schiera, di lavoratori atterriti dalla crisi economica.
Ma le ronde non fanno primavera.

Razzismo: aggressioni xenofobe al Trullo

Rapina «con l’aggravante della discriminazione e dell’odio razziale»

Paolo Persichetti
Liberazione, 23 Novembre 2008

Al Trullo, zona della periferia romana che guarda verso il litorale, tira una brutta aria. Da un po’ di tempo alcuni giovani si divertono ad aggredire gli immigrati del quartiere che vivono del loro lavoro. Cinque ragazzi, tra i quali due minorenni, sono stati arrestati all’alba di ieri dai carabinieri. Altri quattro sono stati denunciati e un altro sottoposto all’obbligo di firma. In tutto dieci ragazzi tra i sedici e i ventuno anni, teste vuote accusate a vario titolo di ripetuti episodi di aggressione, pestaggi e intimidazione a sfondo razziale che sarebbero poi sfociati in rapine. Secondo quanto è stato riportato dalle agenzie, alcuni dei ragazzi avevano già dei precedenti penali.
300px-roma_tiburtino_iiiDi fronte alle reiterate violenze, al clima di sopraffazione e intimidazione e al timore di essere espulsi perché in situazione irregolare, gli immigrati evitavano di denunciare i fatti alla forze di polizia, fino allo scorso mese di settembre quando due egiziani hanno rotto gli indugi e sporto querela. I due erano stati malmenati e derubati ma si erano rifiutati di dare denaro alla banda. Le indagini condotte dalla locale caserma di Villa Bonelli hanno consentito di infrangere il muro di omertà e ricostruire almeno cinque episodi, ma potrebbero essere molti di più. Tra questi il violento pestaggio di un barista romeno che si era rifiutato di «offrire» ai ragazzi delle birre gratis. Il gruppo prendeva di mira anche le donne, come nel caso di una ragazza guatemalteca avvicinata in via del Trullo per ottenere del denaro e qui malmenata e rapinata. Le aggressioni avvenivano spesso a colpi di casco. «Qui non vi vogliamo, siete dei pezzi di merda», queste le frasi che rivolgevano contro gli extracomunitari.detail_2163608
L’Arma tuttavia per bocca del comandante della compagnia dell’Eur ha subito tenuto ha precisare che «si tratta di bulli, non c’è alcun movente politico in queste azioni. Si tratta di violenze messe in atto per futili motivi, spesso perché le vittime si rifiutavano di dare pochi spiccioli», come se fosse un fatto minore andare in giro ad estorcere soldi, per giunta a dei poveracci che spesso vivono d’espedienti e lavori sottopagati. Una spoliticizzazione dei fatti in linea con i desiderata dell’attuale maggioranza di governo ed in particolare con il discorso tenuto dalla giunta Alemanno, che del razzismo e della xenofobia hanno fatto durante la campagna elettorale una merce politica. Il sindaco, esponente di primo piano di An e punto di riferimento della “destra sociale”, legato agli ambienti della destra radicale che in parte è riuscito a traghettare nella maggioranza municipale, non ha perso tempo per omaggiare l’operato dei carabinieri, augurandosi «una volta accertati i fatti di procedere in tempi brevi a una condanna esemplare». Quanto avvenuto riporta al clima dell’ottobre 2006, quando la tensione nel quartiere raggiunse livelli altissimi a causa di conflitti tra gruppi malavitosi che reggevano il mercato dello spaccio, extracomunitari appaltati per il traffico e giovani italiani emergenti che volevano ritagliarsi uno spazio. Allora finì con tre gambizzati e un bar dato alle fiamme.
2211974074_94050260b7Nella stessa giornata, in un’altra periferia romana, alla stazione ferroviaria di Ottavia, tre giovani srilankesi sono stati aggrediti a colpi di mazze da altri ragazzi italiani poi fuggiti. Episodi del genere sono ormai quotidiani. L’intolleranza razzista si è banalizzata. Ma davvero la politica non c’entra? La destra gioca sul fatto che chi commette questi atti non è un militante, non fa nemmeno politica. Obiezione fragile in un’epoca dove la politica ha perso i suoi confini tradizionali fino a dissolversi nei salotti e format televisivi. La realtà è che simboli, linguaggi e comportamenti rinviano ad uno stesso orizzonte comune che trova connivenze e momenti di contatto, per esempio nelle curve degli stadi. Queste teste bruciate mutuano gli stessi pregiudizi, condividono il medesimo odio e rancore, appartengono allo stesso universo valoriale identitario, superomista e razziale. Sono l’incarnazione dell’egemonia che la cultura di destra ha conquistato nel paese. Siamo di fronte ad un contagio sociologico, parola che assume un senso tutto particolare dopo l’ultimo libro di Walter Siti che descrive appunto la trasmutazione delle borgate, la realtà della nuova periferia dove codici sociali e identitari sono ormai sovrapposti e confusi. Il potere sociale della cocaina, i suoi percorsi, le relazioni sociali che si costruiscono attorno al suo mercato spiegano più di tante analisi socio-politiche.

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