Chi ha ucciso Aldo Bianzino?

Richiesta di archiviazione, il gip rinvia la decisione

Paolo Persichetti
Liberazione 12 dicembre 2009

Si è svolta ieri presso il tribunale di Perugia l’udienza sulla richiesta di archiviazione del fascicolo per omicidio a carico di ignoti avanzata dal pubblico ministero, Giuseppe Petrazzini, per la morte di Aldo Bianzino. Alla richiesta, la seconda dopo quella presentata nell’ottobre 2008 e respinta, si sono opposti i familiari di Bianzino. Il gip, Massimo Ricciarelli, fara conoscere la sua decisione nei prossimi giorni.  Nel corso della seduta un centinaio di persone hanno manifestato all’esterno. Presenti il figlio di Bianzino, Rudra, 16 anni, e Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano Cucchi, il giovane morto nel reparto penitenziario dell’ospedale Pertini di Roma a seguito del pestaggio subito dopo l’arresto, insieme al «Comitato Verità e Giustizia per Aldo». Bianzino, persona mite e abile artigiano, venne arrestato il 12 ottobre del 2007 perché coltivava alcune piante di canapa indiana. Morì nel carcere di Perugia due giorni dopo. Inizialmente il decesso venne attribuito a un malore naturale. L’autopsia certificò invece l’assenza di patologie pregresse e lesioni agli organi interni, presenza di sangue nell’addome e nelle pelvi, lacerazione epatica, lesioni all’encefalo. Una seconda autopsia riscontrò anche un distacco del fegato e ipotizzò la morte per aneurisma cerebrale. Evento probabilmente scatenato da un violento pestaggio subito dopo l’arresto, in circostanze mai accertate. In carcere Bianzino venne abbandonato a se stesso. Per questa assenza di cure, l’agente di polizia penitenziaria in servizio la notte della sua morte è stato rinviato a giudizio, lo scorso 28 giugno, per omissione di soccorso e falsificazione dei registri. La morte di Bianzino e  quella di Cucchi sono il calco perfetto della violenza impunita delle istituzioni. In entrambi i casi solo l’apparato-cenerentola, la penitenziaria, è rimasto impigliato negli ingranaggi della giustizia.

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Aldo Bianzino, no all’archiviazione dell’inchiesta sulla sua morte
Cronache carcerarie

Caso cucchi, avanza l’offensiva di chi vuole allontanare la verità
Cucchi, anche la polizia penitenziaria si autoassolve
http://perstefanocucchi.blogspot.com/
Stefano Cucchi: le foto delle torture inferte
Caso Cucchi, scontro sulle parole del teste che avrebbe assistito al pestaggio. E’ guerra tra apparati dello Stato sulla dinamica dei fatti
Morte di Cucchi, c’e chi ha visto una parte del pestaggio nelle camere di sicurezza del tribunale
Erri De Luca risponde alle infami dichiarazioni di  Carlo Giovanardi sulla morte di Stefano Cucchi
Stefano Cucchi, le ultime foto da vivo mostrano i segni del pestaggio. Le immaigini prese dalla matricola del carcere di Regina Coeli
Manconi: “sulla morte di Stefano Cucchi due zone d’ombra”

Stefano Cucchi, quella morte misteriosa di un detenuto in ospedale
Stefano Cucchi morto nel Padiglione penitenziario del Pertini, due vertebre rotte e il viso sfigurato
Caso Stefano Cucch, “il potere sui corpi è qualcosa di osceno”
Violenza di Stato non suona nuova

Ignorata la disponibilita offerta da un gruppo di detenute che si offrì di assistere la Blefari. I magistrati puntavano al pentimento
Induzione al pentimento
Suicidio Blefari Melazzi: l’uso della malattia come strumento di indagine

Caso Cucchi, anche la polizia penitenziaria si autoassolve

Chiusa l’indagine interna
Per il Dap non sono emerse responsabilità
da parte della polizia penitenziaria

Paolo Persichetti
Liberazione 3 dicembre 2009

Per il ministro della Giustizia Angelino Alfano, Stefano Cucchi è caduto dalle scale. Per Carlo Giovanardi è morto di droga. Siccome era un tossicodipendente e spacciava, la sua vita non doveva valere nulla. Se l’era cercata. Per questi signori, Stefano Cucchi sarebbe morto di freddo. Anzi, come ha scritto su queste pagine Erri De Luca, «perché ostinatamente aveva smesso di respirare». Da allora la lista delle facce di bronzo non ha terminato di crescere. L’inchiesta interna condotta dall’amministrazione penitenziaria ha escluso l’esistenza di qualsiasi responsabilità della polizia penitenziaria nelle brutali percosse subite da Stefano Cucchi. E’ quanto sottoscritto ieri, ultimo in ordine di tempo, dal capo del Dap, il magistrato Franco Ionta, la cui funzione è nobilitata dall’appellativo di Presidente. Su questo terribile episodio di violenza istituzionale, la macchina della controverità marcia a velocità folle. Appena pochi giorni prima un’altra commissione interna aveva assolto i medici del reparto penitenziario dell’ospedale dove, invece delle cure, al giovane era stata somministrata cinica indifferenza e sprezzante incuria. In compagnia solo del suo dolore e dell’umiliazione di un corpo bastonato, di membra lacerate, Stefano Cucchi è morto. Delle uniformi di Stato lo avevano arrestato quando era in perfette condizioni fisiche, delle uniformi di Stato lo hanno interrogato, delle uniformi di Stato lo hanno incarcerato, in tribunale un magistrato ha finto di non vedere, l’avvocato d’ufficio ha girato la testa, poi dei camici pubblici lo hanno abbandonato. Da settimane, le varie componenti istituzionali coinvolte in questa vicenda rispondono opponendo omertà d’apparato in difesa di una impunità di principio, di una visione completamente autoreferenziale della legalità e della morale. Ma come cantava De André: «anche se vi credete assolti, siete per sempre coinvolti».

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Cronache carcerarie
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Caso cucchi: avanza l’offensiva di chi vuole allontanare la verità

Autoassoluzione: reintegrati i medici indagati per la morte di Stefano Cucchi nonostante siano sotto inchiesta per omicidio colposo.
Per la Asl non ci sarebbe stato “abbandono terapeutico”. Il decesso sarebbe frutto di un evento imprevedibile


Paolo Persichetti
Liberazione 1 dicembre 2009

Sono stati reintegrati nel reparto penitenziario dell’ospedale Sandro Pertini i tre medici indagati per omicidio colposo dopo la morte di Stefano Cucchi. Eppure quanto è trapelato dagli accertamenti medico-legali sul corpo riesumato del giovane, deceduto il 22 ottobre scorso all’interno della struttura ospedaliera dopo una settimana di agonia seguita ad uno, o più, pestaggi e sevizie violentissime (sul numero esatto, e gli autori delle percosse subite, ancora oggi permane l’incertezza), confermerebbe le responsabilità dei sanitari nella sua morte. Il blocco della vescica riscontrato su Stefano Cucchi sarebbe, infatti, compatibile con la paralisi dell’ultimo tratto della colonna vertebrale.
Mentre le lesioni alla schiena e alla testa, seppur serie, non sarebbero state letali se adeguatamente curate. Insomma tutto lascia seriamente supporre che nei confronti di Cucchi vi sia stato un «abbandono terapeutico», una situazione di lassismo e incuria, una sottovalutazione grave e colposa delle sue condizioni di salute e delle cause che le avevano originate. Nonostante ciò, l’indagine amministrativa interna condotta da una commissione, apparentemente composta da personale della medesima Asl, ha sbrigativamente liquidato l’accaduto come «un evento non prevedibile». Nella relazione depositata ieri, si può leggere che l’analisi dei fatti, a fronte del «carattere improvviso e inatteso del decesso, non ha messo in luce, sul piano organizzativo e procedurale, alcun particolare elemento relativo ad azioni e/o omissioni da parte del personale sanitario con nesso diretto causa-effetto con l’evento avverso in questione. Contestualizza e configura pertanto l’oggetto dell’indagine sotto il profilo di evento non prevenibile». Per questo motivo Il direttore generale dell’Asl RmB, Flori Degrassi, ha disposto la revoca dell’ordine di trasferimento, preso in via provvisoria il 18 novembre scorso, nei confronti di Aldo Fierro, Stefania Corbi e Rosita Caponetti. La diffusione della notizia ha subito suscitato sconcerto e raccolto i commenti negativi del legale della famiglia, Fabio Anselmo, di Patrizio Gonnella dell’associazione Antigone, e di Luigi Nieri, assessore al Bilancio della regione Lazio, che ha censurato una «decisione affrettata e profondamente sbagliata», rilevando come sia piuttosto inusuale «che la Asl concluda la propria inchiesta amministrativa prima di quella penale».
La decisione presa dalle strutture dirigenti dell’ospedale Pertini non si discosta molto da quello spirito corporativo che ha fino ad ora caratterizzato il comportamento di tutti gli altri attori coinvolti in questo terribile esempio di violenza istituzionale. Chiusura a riccio e omertà d’apparato in difesa di una impunità di principio che vorrebbe imporre l’idea della insindacabilità dell’operato di chi agisce in uniforme di Stato. Un atteggiamento viziato da una visione autoreferenziale della legalità e della morale. Alcuni apparati molto potenti non hanno mai accettato di essere messi sul banco dei sospetti e fin dall’inizio hanno operato nell’ombra, mettendo le briglie a un’inchiesta che altrimenti rischiava di mostrare il «re nudo». Mentre negli ultimi giorni nuove testimonianze di detenuti, presenti nell’infermeria di Regina Coeli con Stefano Cucchi, hanno riaperto scenari su violenze precedenti l’arrivo in tribunale, che la procura ha sempre evitato di approfondire ritenendoli privi di riscontri (ma l’inchiesta serve per trovare eventuali riscontri, non per escluderli a priori), da parte degli indagati emerge una nuova strategia. Non più scarica barile tra penitenziaria e carabinieri, ma fuoco concentrico sulla persona di Cucchi, dipinto come uno che entrava e usciva dal pronto soccorso degli ospedali. Un modo per dire che era già «rotto» prima di essere arrestato. E come se non bastasse, vengono diffuse minacce a mezzo stampa facendo circolare notizie sull’apertura di una inchiesta contro i legali della famiglia Cucchi per calunnia nei confronti dei carabinieri. Un modo per dire che gli apparati dello Stato sono santuari intoccabili.

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Stefano Cucchi: le foto delle torture inferte
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Violenza di Stato non suona nuova

Ignorata la disponibilita offerta da un gruppo di detenute che si offrì di assistere la Blefari. I magistrati puntavano al pentimento
Induzione al pentimento
Suicidio Blefari Melazzi: l’uso della malattia come strumento di indagine

Stefano Cucchi: le foto delle torture inferte. La Russa rispondi!

Ripetute cicatrici da bruciatura sulle mani, il cuoio capelluto e le gambe

Per Angelino Alfano, Stefano Cucchi era caduto dalle scale. Per Carlo Giovanardi, Stefano Cucchi è morto di droga. La sua vita non doveva valere nulla perché era tossicodipendente e spacciava. Per questi signori, Stefano Cucchi sarebbe morto di freddo. Nuove foto dimostrano che il ragazzo ha subito delle vere e proprie torture e successivamente un pestaggio. Se il pestaggio, come l’inchiesta sta lentamente appurando, sembra essere avvenuto nei sotterranei del Tribunale di piazzale Clodio, le torture sono avvenute prima e in un altro luogo. Dove ha passato la notte Cucchi prima di essere appoggiato in una cella di sicurezza del Tribunale di Roma? Chi ha interrogato Cucchi per sapere dove nascondeva l’hashish? Come è stato interrogato Cucchi? Chi ha spento sulla sua pelle delle sigarette? Che divisa avevano questi benemeriti signori? Perché il ministro Ignazio La Russa tace?

Spegnere sigarette sul corpo di una persona non è pestaggio ma qualcosa di ancora più grave. Si tratta della sadica estorsione di informazioni: TORTURA!
Una pratica che in Italia non è nemmeno configurata come reato.

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Caso Cucchi: avanza l’offensiva di chi vuole allontanare la verità
Caso Cucchi, scontro sulle parole del teste che avrebbe assistito al pestaggio. E’ guerra tra apparati dello Stato sulla dinamica dei fatti
Morte di Cucchi, c’e chi ha visto una parte del pestaggio nelle camere di sicurezza del tribunale
Erri De Luca risponde alle infami dichiarazioni di  Carlo Giovanardi sulla morte di Stefano Cucchi
Stefano Cucchi, le ultime foto da vivo mostrano i segni del pestaggio. Le immaigini prese dalla matricola del carcere di Regina Coeli
Manconi: “sulla morte di Stefano Cucchi due zone d’ombra”
Cronache carcerarie
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Stefano Cucchi morto nel Padiglione penitenziario del Pertini, due vertebre rotte e il viso sfigurato
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Caso Cucchi, è scontro sulle parole del teste che avrebbe assistito al pestaggio. Guerra tra apparati dello Stato sulla dinamica dei fatti

Carabinieri e Polizia penitenziaria forniscono versioni contrastanti sul trattamento riservato a Stefano Cucchi

Paolo Persichetti
Liberazione 12 novembre 2009

Tracce di torture sulle mani di Stefano Cucchi

Dunque c’è un teste. Si tratta di un cittadino del Gabon, S. Y., che la mattina del 16 ottobre era nei sotterranei di piazzale Clodio. Chiuso in una camera di sicurezza vicina a quella di Stefano Cucchi, ha dichiarato di aver assistito al pestaggio del ragazzo. Dallo spioncino avrebbe visto due poliziotti della penitenziaria assestare due violenti manrovesci al volto di Cucchi, che dopo essere andato in bagno faceva resistenze per rientrare in cella. Finito a terra, il giovane sarebbe stato preso a calci e trascinato nella camera di sicurezza. La scena si sarebbe svolta prima dell’udienza di convalida. La ricostruzione è stata subito contestata dal Leo Beneduci, segretario dell’Osapp. Cucchi era in una zona dei sotterranei del tribunale dove vengono appoggiati i fermati in attesa delle direttissime, non in quella dove sono parcheggiati, prima delle udienze, i detenuti provenienti dalle carceri. In questo caso la penitenziaria si limiterebbe soltanto ad avere in custodia le chiavi e aprire le celle, ma i “fermati” resterebbero sempre nella disponibilità di chi li ha arrestati, in questo caso i carabinieri. Solo dopo la convalida dell’arresto verrebbero presi formalmente in custodia dalla polizia penitenziaria. Passaggio di consegne che per Cucchi sarebbe avvenuto non prima delle 13. Resta da sapere se questo protocollo è sempre rispettato alla lettera, oppure se la prassi quotidiana è ben diversa. In questa vicenda occorre prestare molta attenzione agli orari. Sempre secondo l’Osapp, diversi poliziotti penitenziari hanno chiesto al pm, Vincenzo Barba, di essere ascoltati come testimoni. Durante il trasbordo di Cucchi dalla camera di sicurezza del Tribunale al furgone diretto in carcere, alcuni di loro avrebbero ascoltato un colloquio tra Cucchi e un altro detenuto che lo prendeva in giro per essersi fatto malmenare. «Mi risulta – afferma Beneduci – che la risposta di Cucchi non facesse riferimento alla penitenziaria». Ciò conferma l’esistenza di versioni diverse sulle circostanze delle percosse subite da Cucchi. Il racconto dei colpi inferti nei sotterranei del Tribunale è molto importante, ma non smentisce la possibilità che di pestaggi ve ne possano essere stati più di uno: prima dell’arrivo in tribunale o dopo l’ingresso in carcere. Da giorni, in maniera sotterranea, i diversi apparati dello Stato si rigettando l’un l’altro la responsabilità delle violenze. Gli interrogativi da chiarire sono ancora molti. C’erano altre persone nelle celle di sicurezza della stazione di Torsapienza la notte tra il 15 e il 16 ottobre? Se sì, potrebbero aprire uno squarcio di luce chiarificatore. Gli operatori del 118 chiamati all’alba del 16 cosa hanno visto? I due manrovesci e i calci descritti dal teste spiegano tutte lesioni presenti sul corpo di Cucchi? Forse la riesumazione del corpo chiesta dalla famiglia e ordinata dalla procura potrà chiarire meglio questo aspetto. Mistero invece sugli indagati. Contrariamente alle voci circolate nei giorni scorsi, appartengono solo a corpi dello Stato. Sembra che per ora si tratti solo di membri della polizia penitenziaria. Le pressioni provenienti dagli alti comandi dell’Arma hanno sortito il loro effetto. Ieri visita ispettiva nei sotterranei del Tribunale. Ma i familiari di Cucchi sono rimasti fuori. Intanto ennesimo decesso in carcere. Giuseppe Saladino, 32 anni, è morto nel penitenziario di Parma poche ore dopo l’ingresso. All’enrata era sano. Un’inchiesta è in corso.

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Cronache carcerarie

Per Carlo Giovanardi Stefano Cucchi era morto di freddo, la risposta di Erri de Luca

flagellazione-caravaggio

«Stefano Cucchi era in carcere perché era uno spacciatore abituale. Poveretto, è morto, e la verità verrà fuori, soprattutto perchè pesava 42 chili. La droga ha devastato la sua vita, era anoressico, tossicodipendente… E poi il fatto che in cinque giorni sia peggiorato… Certo, bisogna vedere come i medici l’hanno curato. Ma sono migliaia le persone che si riducono in situazioni drammatiche per la droga, diventano larve, diventano zombie: è la droga che li riduce così»

Carlo Giovanardi, Sottosegretario con delega per la lotta alla droga, “co-ideatore” della legge Fini-Giovanardi senza la quale Stefano Cucchi sarebbe ancora vivo

Erri de Luca risponde alla sua insopportabile dichiarazione con queste righe apparse su Liberazione 11 novembre 2009

Il potere dichiara che il giovane arrestato di nome Gesù figlio di Giuseppe è morto perché aveva le mani bucate e i piedi pure, considerato che faceva il falegname e maneggiando chiodi si procurava spesso degli incidenti sul lavoro. Perché parlava in pubblico e per vizio si dissetava con l’aceto, perché perdeva al gioco e i suoi vestiti finivano divisi tra i vincenti a fine di partita. I colpi riportati sopra il corpo non dipendono da flagellazioni, ma da caduta riportata mentre saliva il monte Golgota appesantito da attrezzatura non idonea e la ferita al petto non proviene da lancia in dotazione alla gendarmeria, ma da tentativo di suicidio, che infine il detenuto è deceduto perché ostinatamente aveva smesso di respirare malgrado l’ambiente ben ventilato. Più morte naturale di così toccherà solo a tal Stefano Cucchi quasi coetaneo del su menzionato.

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Caso Cucchi: Carlo Giovanardi, lo spacciatore di odio
Cronache carcerarie

Morte di Cucchi, c’è chi ha visto una parte del pestaggio nelle camere di sicurezza del tribunale

Un detenuto, S.Y., ha visto Cucchi colpito da due agenti della polizia penitenziaria appartenenti al nucleo scorte. Prima due manrovesci al volto e poi calci una volta caduto a terra. Non è ancora chiaro se queste violenze fanno parte di un secodno pestaggio da lui subito. Permangono ancora molte incertezze sulla dinamica dei fatti e se alle violenze contro Cucchi abbiano preso parte diverse corpi dello Stato

Paolo Persichetti
Liberazione 11 novembre 2009

Vincenzo Barba, il pubblico ministero che indaga sulla morte di Stefano Cucchi, non è un tipo in cerca di protagonismo. Fosse per lui, preferirebbe starsene tranquillo a sbrigare la routine quotidiana fuori da clamori e riflettori. Nonostante questa indole anonima tutte le inchieste più rognose che passano per la procura romana finiscono tra le sue mani. A piazzale Clodio c’è chi fa intendere che è proprio questa sua mancanza di colore che ne fa un prescelto. Forse perché è un pm che non vuole dar fastidio, uno di quelli che più ligi non si può. Ve lo ricordate ai tempi delle indagini sulla Caffarella? Pronto a negare l’evidenza pur di tenere in piedi il teorema incolpativo. Irriducibile dell’accusa anche quando il dna scagionava i due romeni. Costruiva in continuazione nuove varianti accusatorie fino all’inverosimile, anche quando le indagini avevano intrapreso un’altra pista. Ennio Flaino avrebbe detto di lui che è uno di quelli che ha il coraggio delle idee altrui, salvo poi non accorgersi quando questi le cambiano. Oggi Barba sembra il nuovo Caronte che accompagna le inchieste nel vecchio porto delle nebbie, come un tempo veniva chiamata la procura romana.
E sì, perché sull’inchiesta aperta per chiarire le circostanze della morte di Stefano Cucchi si addensa minacciosa un’enorme coltre di bruma. La sensazione che l’inchiesta sia lontana dalla svolta, come invece era parso lunedì dopo l’annuncio delle prime iscrizioni nel registro degli indagati, comincia a palesarsi. «Come molti, resto convinto che sarà difficile che la verità sul caso Cucchi esca fuori completamente», ha detto ieri il senatore Stefano Pedica, dell’Italia dei Valori, impegnato accanto alla famiglia nel tentativo di capire come e perché Stefanino, come lo chiamavano gli amici a Torpignattara, è morto.
Perché questo timore? Perché l’inchiesta si è concentrata essenzialmente su quella manciata di ore passate da Cucchi nei sotterranei di piazzale Clodio. Una scelta che ad oggi ha solo sollevato ulteriori domande. Sembra, infatti, come confermato da uno degli avvocati della famiglia, che esista la testimonianza di un detenuto, presente nei sotterranei del Tribunale, che avrebbe assistito al pestaggio di Cucchi. Tuttavia non è chiaro se il detenuto in questione sia uno dei tre indagati, insieme ai tre poliziotti della penitenziaria, oppure se si tratti di una quarta persona che avrebbe osservato il tutto dallo spioncino di un’altra cella.
Ma se non è uno dei tre che condividevano il cameroncino con Cucchi, perché i tre che erano con lui tacciono? Secondo la testimonianza, Cucchi chiedeva di andare al bagno. L’autopsia ha dimostrato che aveva problemi ai reni dovuti anche alle percosse subite. Sembra che da questa richiesta sia scaturito un alterco, sfociato nelle botte. Ma quali e quante botte? Per chi conosce i sotterranei del Tribunale, dove ogni giorno vengono parcheggiati come buoi centinaia di detenuti provenienti da tutte le carceri del Lazio (e non solo), in attesa di passare in giudizio nelle aule situate in superficie, appare impossibile che un pestaggio come quello subito dal corpo di Cucchi, possa essere passato inosservato, senza che nessuno abbia sentito le grida e il trambusto. Che possa esserci stata violenza non è da escludere. Momenti di tensione sono quotidiani in quel posto, dove i detenuti vengono ammassati e dimenticati per ore, finché le diverse scorte non li riaccompagnano nelle carceri di provenienza.
Come lo stesso Pedica ha osservato, «sulla questione del pestaggio esistono altre versioni», fornite dai detenuti che hanno raccolto le parole dirette di Cucchi. Insomma il giallo si inspessisce. Ed ancora, l’incidente tra Cucchi e la polizia penitenziaria sarebbe avvenuto prima dell’udienza o dopo? Cucchi è rimasto sempre nella stessa cella quando è arrivato in Tribunale? I fermati che arrivano a piazzale Clodio dalle camere di sicurezza delle caserme o dei commissariati non vengono mischiati con quelli che provengono dalle carceri. Solo dopo la convalida dell’arresto e l’assegnazione del carcere, sono ristretti nelle stesse stanze. Se fosse provato che il pestaggio della penitenziaria sarebbe avvenuto prima dell’udienza, cioè delle ore 12, la posizione dei carabinieri che l’avevano fermato e tenuto in caserma per tutta la notte ne trarrebbe un evidente giovamento.
Ma se le violenze dovessero rimontare a un’ora successiva, quei 50 minuti che vanno dalla conclusione dell’udienza, 13.15, alla visita del presidio medico del tribunale, 14.05, che ha registrato le ecchimosi sul viso e i dolori nella zona sacrale, si rilancerebbe l’ipotesi del doppio pestaggio.
La famiglia, per bocca della sorella Ilaria, ha ribadito ancora ieri di fronte alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul servizio sanitario nazionale, presieduta dal senatore Ignazio Marino, che «Stefano era gonfio in volto oltremisura e gli occhi cerchiati già dal primo momento che mio padre l’ha visto in aula. Anzi, rispetto alle foto scattate all’entrata di mio fratello a Regina Coeli, era anche più gonfio». L’inchiesta dovrà anche dire dove è andato a finire il quinto carabiniere scomparso dai verbali, eppure presente al momento del fermo di Stefano e durante la perquisizione in casa dei famigliari. Tante domande ancora senza risposta.
In serata, Ilaria Cucchi, ha risposto alle dichiarazioni di Giovanardi: «continuo a trovare quelle dichiarazioni relative allo stato di salute e la personalità di mio fratello, che tra l’altro lui non poteva nenache sapere, assolutamente menzognere».

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Erri De Luca risponde alle infami dichiarazioni di  Carlo Giovanardi sulla morte di Stefano Cucchi
Cronache carcerarie

Caso Cucchi: Carlo Giovanardi, lo spacciatore di odio

Il cattolico feroce

Francesco Merlo
Repubblica 10 novembre 2009

Suscita rabbia e pena, una pena grande, il sottosegretario Carlo Giovanardi, cattolico imbruttito dal rancore, che ieri mattina ha pronunziato alla radio parole feroci contro Stefano Cucchi. Secondo Giovanardi, Stefano se l’è cercata quella fine perché “era uno spacciatore abituale”, “un anoressico che era stato pure in una comunità”, “ed era persino sieropositivo”. Giovanardi dice che i tossicodipendenti sono tutti uguali: “diventano larve”, “diventano zombie”. E conclude: “È la droga che l’ha ridotto così”.
Giovanardi, al quale è stata affidata dal governo “la lotta alle tossicodipendenze” e la “tutela della famiglia”, ovviamente sa bene che tanti italiani – ormai i primi in Europa secondo le statistiche – fanno uso di droga. E sa che tra loro ci sono molti imprenditori, molti politici, e anche alcuni illustri compagni di partito di Giovanardi. E, ancora, sa che molte persone “per bene”, danarose e ben difese dagli avvocati e dai giornali, hanno cercato e cercano nei cocktail di droghe di vario genere, non solo cocaina ed eroina ma anche oppio, anfetamine, crack, ecstasy…, una risposta alla propria pazzia personale, al proprio smarrimento individuale. E alcuni, benché trovati in antri sordidi, sono stati protetti dal pudore collettivo, e la loro sofferenza è stata trattata con tutti quei riguardi che sono stati negati a Stefano Cucchi. Come se per loro la droga fosse la parte nascosta della gioia, la faccia triste della fortuna mentre per Stefano Cucchi era il delitto, era il crimine. A quelli malinconia e solidarietà, a Stefano botte e disprezzo.
Ci sono, tra i drogati d’Italia, “i viziati e i capricciosi”, e ci sono ovviamente i disadattati come era Stefano, “ragazzi che non ce la fanno” e che per questo meritano più aiuto degli altri, più assistenza, più amore dicono i cattolici che non “spacciano”, come fa abitualmente Giovanardi, demagogia politica. E non ammiccano e non occhieggiano come lui alla violenza contro “gli scarti della società”, alla voglia matta di sterminare i poveracci; non scambiano l’umanità dolente, della quale siamo tutti impastati e che fa male solo a se stessa, con l’arroganza dei banditi e dei malfattori, dei mafiosi e dei teppisti veri che insanguinano l’Italia. Ecco: con le sue orribili parole di ieri mattina Giovanardi si fa complice, politico e morale, di chi ha negato a Stefano un avvocato, un medico misericordioso, un poliziotto vero e che adesso vorrebbe pure evitare il processo a chi lo ha massacrato, a chi ha violato il suo diritto alla vita.
Anche Cucchi avrebbe meritato di incontrare, il giorno del suo arresto, un vero poliziotto piuttosto che la sua caricatura, uno dei tanti poliziotti italiani che provano compassione per i ragazzi dotati di una luce particolare, per questi adolescenti del disastro, uno dei tantissimi nostri poliziotti che si lasciano guidare dalla comprensione intuitiva, e certo lo avrebbe arrestato, perché così voleva la legge, ma molto civilmente avrebbe subito pensato a come risarcirlo, a come garantirgli una difesa legale e un conforto civile, a come evitargli di finire nella trappola di disumanità dalla quale non è più uscito. Perché la verità, caro Giovanardi, è che gli zombie e le larve non sono i drogati, ma i poliziotti che non l’hanno protetto, i medici che non l’hanno curato, e ora i politici come lei che sputano sulla sua memoria. I veri poliziotti sono pagati sì per arrestare anche quelli come Stefano, ma hanno imparato che ci vuole pazienza e comprensione nell’esercizio di un mestiere duro e al tempo stesso delicato. È da zombie non vedere nei poveracci come Cucchi la terribile versione moderna dei “ladri di biciclette”. Davvero essere di destra significa non capire l’infinito di umiliazione che schiaccia un giovane drogato arrestato e maltrattato? Lei, onorevole (si fa per dire) Giovanardi, non usa categorie politiche, ma “sniffa” astio. Come lei erano gli “sciacalli” che in passato venivano passati alla forca per essersi avventati sulle rovine dei terremoti, dei cataclismi sociali o naturali.
Giovanardi infatti, che è un governante impotente dinanzi al flagello della droga ed è frustrato perché non governa la crescita esponenziale di questa emergenza sociale, adesso si rifà con la memoria di Cucchi e si “strafà” di ideologia politica, fa il duro a spese della vittima, commette vilipendio di cadavere.
Certo: bisogna arrestare, controllare, ritirare patenti, impedire per prevenire e prevenire per impedire. Alla demagogia di Giovanardi noi non contrapponiamo la demagogia sociologica che nega i delitti, quando ci sono. Ma cosa c’entrano le botte e la violazione dei diritti? E davvero le oltranze giovanili si reprimono negando all’arrestato un avvocato e le cure mediche? E forse per essere rigorosi bisogna profanare i morti e dare alimento all’intolleranza dei giovani, svegliare la loro parte più selvaggia?
Ma questo non è lo stesso Giovanardi che straparlava dell’aborto e del peccato di omosessualità? Non è quello che difendeva la vita dell’embrione? È proprio diverso il Dio di Giovanardi dal Cristo addolorato di cui si professa devoto. Con la mano sul mento, il gomito sul ginocchio e due occhi rassegnati, il Cristo degli italiani è ben più turbato dai Giovanardi che dai Cucchi.

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Per Carlo Giovannardi Stefano Cucchi sarebbe morto di freddo. La risposta di Erri De Luca

In corteo a Roma per chiedere verità sulla morte di Stefano Cucchi

Si mobilità il quartiere dove viveva Stefano Cucchi. Ore 15 corteo a Torpignattara contro la violenza degli aparati di Stato, la legislazione proibizionista e anti-migranti

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Paolo Persichetti
Liberazione 7 novembre 2009

Torpignattara, il quartiere romano dove Stefano Cucchi è cresciuto, scende in piazza oggi pomeriggio per chiedere la verità sulla sua morte e dire che non si può crepare per pochi grammi di hashish, pestati a sangue, sottoposti a un calvario di umiliazioni e poi finire abbandonati nella disattenzione generale di un reparto medico penitenziario. L’appuntamento indetto dalla Rete contro l’autoritarismo è per le ore 15 in via dell’Acquedotto alessandrino, angolo via di Torpignattara. Dopo aver attraversato il quartiere, il corteo terminerà davanti al mercato coperto di via Ciro da Urbino, nei pressi dell’abitazione della famiglia, che, in una dichiarazione ripresa dalle agenzie, ha ringraziato «quanti in questi giorni stanno manifestando per Stefano. La loro solidarietà in questi drammatici momenti ci scalda il cuore». Nata dopo un incontro promosso martedì scorso dai Centri sociali al cinema Volturno, la proposta di una manifestazione cittadina ha coinvolto associazioni, comitati di quartiere e realtà territoriali che lavorano nella zona. Tra queste anche l’Osservatorio antirazzista e l’associazione dei migranti bengalesi Duumchatu, molto radicata nel quadrante sud-est della città. Il quartiere conserva ancora il ricordo dell’umiliante trattamento riservato ad alcuni lavoratori bengalesi fermati dai carabinieri della stazione locale, e da questi costretti prima del rilascio a pulire le stanze della caserma. All’iniziativa ha fornito la propria adesione anche la federazione romana del Prc. Giovedì c’è stato un volantinaggio davanti al repartino penitenziario dell’ospedale Pertini, dove Stefano Cucchi è deceduto. Nel quartiere la vicenda è molto sentita, percepita come un fatto che potrebbe toccare chiunque, senza esclusione, soprattutto tra i giovani sui quali pesa la caccia alle streghe praticata dalle squadrette della narcotici. L’arroganza, la spregiudicatezza e la violenza delle forze di polizia, sono ormai un problema che trova riscontro in numerosi “incidenti” segnalati dalle cronache. Intanto a Milano, nella notte tra giovedì e venerdì, sono apparsi cinquanta striscioni affissi dal centro sociale il Cantiere. «Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi, Aldo Bianzino: il proibizionismo è un serial killer», è scritto in uno di questi. La manifestazione di oggi vuole dare voce all’insofferenza dei cittadini verso la strumentalità delle politiche che agitano lo spauracchio della sicurezza e della tolleranza zero contro ogni diversità, in deroga a ogni diritto per poi tollerare che nelle carceri e nelle strade vengano uccisi ragazzi inermi. Nel testo di convocazione, gli organizzatori ricordano che queste tragedie trovano origine in una legislazione che costringe alla detenzione persone che hanno l’unica colpa di avere con sé modiche quantità di sostanze stupefacenti: come la Fini-Giovanardi sulle droghe, la legge Bossi-Fini, il pacchetto sicurezza. «Strumenti normativi che non fanno altro che riempire le carceri. Provvedimenti legislativi che riducono le criticità sociali a mera questione di ordine pubblico». La vera sicurezza nasce quando si rafforzano i legami sociali, la partecipazione, l’inclusione, quando c’è reddito, servizi, lavoro, cultura, rispetto. Meno polizia e più società.

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Stefano Cucchi, le ultime foto da vivo mostrano i segni del pestaggio. Le immaigini prese dalla matricola del carcere di Regina Coeli

Stefani Cucchi venne pestato a sangue prima di entrare in carcere. Lo provano le foto prese dal personale penitenziario della matricola del carcere di Regina Coeli

Le immagini scattate 20 ore dopo l’arresto. Sul volto di Stefano Cucchi sono visibili le tracce delle percosse. Era il 16 pomeriggio, a nemmeno venti ore dal suo fermo avvenuto alle 23,30 del giorno prima. I colori sul viso di Cucchi sono quelli dei lividi. Non si può guardare, quel ritratto, l’unico scattato dopo il suo arresto, senza pensare che sei giorni dopo quell’uomo di 31 anni con lo sguardo spaventato, finito in carcere per  una dose da 20 euro di hascisc, sarebbe morto. Morte  avvenuta il 22 ottobre, alle 6,20 del mattino, nel reparto detenuti dell’ospedale Pertini.

Che divise indossano quelli che hanno ridotto così Stefano Cucchi?

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Segni evidenti del pestaggio sul collo, la mascella e lo zigomo di Stefano Cucchi ritratti dalla foto segnaletica presa al momento dell'ingresso in carcere

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Nonostante la luce pessima appaiono evidenti le tumefazioni e gli ematomi attorno agli occhi di Stefano Cucchi nella foto presa dalla matricola del carcere al momento del suo ingresso

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http://perstefanocucchi.blogspot.com/
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