La violenza del profitto: ma quali anni di piombo, gli anni 70 sono stati anni d’amianto

Eternit, una storia di profitto sanguinario e nocività sociale del capitalismo: 3 mila vittime sino ad ora accertate. Solo la punta dell’iceberg. 2200 decedute. 700 malati terminali. Oltre 5 mila le parti lese. La strage del capitalismo che obbliga a riscrivere la storia del dopoguerra

Paolo Persichetti
Liberazione 11 dicembre 2009

L’amianto è stata la più aggressiva sostanza cancerogena del ‘900. Non hanno dubbi gli esperti quando si riferiscono a questo minerale a struttura fibrosa. In natura ne esistono circa una trentina, ricavati da particolari trattamenti cui vengono sottoposte alcune rocce madri presenti nel sottosuolo italiano. Le miniere europee più importanti si trovano, infatti, in Grecia e in Italia. Se respirate le polveri d’asbesto (altra denominazione chimica dell’amianto, dal greco amiantos: incorruttibile) possono provocare malattie irreversibili e tumori all’apparato respiratorio. A questa sostanza si devono oltre la metà dei tumori per cause di lavoro. Le conseguenze possono manifestarsi anche a distanza di 30-40 anni dalla esposizione. Soltanto oggi sta emergendo il numero reale dei lavoratori contaminati direttamente nelle manifatture e nei cantieri navali nel corso degli anni ’60 e ’70, o degli abitanti di zone limitrofe alle fabbriche che producevano questa sostanza. Messo fuori legge soltanto nel 1992, in Italia l’amianto è stato impiegato fino a tutti gli anni ’80 per produrre un composto miscelato al cemento, brevettato nel 1901 dall’austriaco Ludwig Haatschek, e denominato commercialmente Eternit, dal latino aeternitas. Utilizzato per coibentare edifici, tetti, navi, treni, impiegato nell’edilizia e come componente ignifuga in tute, vernici, parti meccaniche delle auto e altro, l’Eternit è ancora oggi presente. Oltre ad aver contaminato l’ambiente ha devastato la vita dei lavoratori delle quattro aziende italiane in cui era prodotto: Casale Monferrato e Cavagnolo in Piemonte; Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli. Attorno alla ex Saca di Cavagnolo, l’erba ancora oggi appare striata di bianco. Il «disastro doloso» dell’Eternit non si è per nulla prescritto.
Una imponente pubblicistica ci ha abituato definire quell’epoca «anni di piombo», in ragione dello scontro sociale giunto fino alle armi che traversò le strade e le piazze italiane. In realtà molto più cupi e drammatici furono gli effetti degli anni d’amianto. Emblema della nocività sul lavoro, della cinica logica del profitto che muove (come accadde con la diossina fuoriuscita a Seveso e ancora oggi con la Thyssenkrupp) chi sta ai vertici delle aziende, e già allora «sapeva ed era consapevole dei rischi. Ma non ha mai fatto niente, non ha mai speso nulla per evitare gli incidenti e le stragi» (parole del procuratore Raffaele Guariniello). Nella sola zona di Alessandria si parla di almeno 1600 morti. In realtà la cifra complessiva fino ad ora accertata su tutti i siti interessati raggiunge quasi 2200 decessi, a cui devono aggiungersi 700 malati terminali. Nel processo ai vertici degli stabilimenti, il miliardario svizzero Stephan Schmideiny, 61 anni, titolare dell’azienda dal ’73 all’86, che oggi sostiene di essersi convertito nell’ambientalismo, e il barone belga Louis de Cartier de Marchienne, 88 anni, le parti lese citate nei capi d’accusa (inosservanza volontaria delle norme di sicurezza sul lavoro e disastro ambientale) sono quasi 2900, ma potrebbero arrivare fino a 5700. 700 le parti civili già costituite. Il dibattimento ha preso avvio ieri a Torino davanti a  delegazioni d’avvocati (almeno 150 tra titolari e collaboratori) e 110 giornalisti accreditati provenienti da mezza Europa, associazioni, sindacati, ed enti. Per accogliere l’enorme numero di partecipanti sono state messe a disposizione diverse maxi aule collegate tra loro in video conferenza. Al vaglio della udienza essenzialmente questioni tecniche e preliminari, come la dichiarazione di contumacia degli imputati, o l’esame delle parti civili. Anche se assente in aula, il magnate della Eternit, Stephan Schmideiny, è difeso da una squadra di 26 legali: il professor Astolfo Di Amato del foro di Roma e il milanese Guido Carlo Alleva in aula, tutti gli altri nelle retrovie. L’offerta di risarcimento avanzata in precedenza è stata rifiutata dalle parti lese. Il risarcimento riguardava soltanto una parte di queste: chi tra gli ex dipendenti (60 mila euro a testa), e i cittadini di Casale Monferrato (30 mila a testa), avesse contratto un’invalidità permanente superiore al 30%, derivante da asbestosi, escludendo con ciò altre patologie broncopolmonari derivate sempre da contaminazione con amianto.
All’esterno del tribunale sono confluiti i partecipanti al corteo indetto dalla Rete nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro, mobilitati anche per la concomitanza con il secondo anniversario del rogo della Thyssenkrupp. Presenti delegazioni di lavoratori della Eternit di Svizzera, Francia e Belgio. Su uno striscione dei minatori francesi si poteva leggere, «Un solo essere umano vale più di tutto l’amianto e il profitto del mondo».

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Paolo Persichetti
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Si è tenuta ieri presso il tribunale di Torino la seconda udienza del processo alla Eternit, la multinazionale svizzera dell’amianto che con le sue produzioni ha avvelenato mezza Europa. In aula erano presenti oltre 200 persone arrivate su 5 pullmans da Casale Monferrato, dove si trovava uno dei siti più colpiti da quella che è stata definita la più aggressiva sostanza cancerogena del ‘900. Alla sbarra il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny e il barone belga Jean Louis De Cartier, rinviati a giudizio per «disastro doloso» provocato dall’esposizione all’amianto nei quattro stabilimenti italiani della società. Quella della Eternit è una storia di profitto sanguinario e nocività sociale del capitalismo: almeno 3 mila le vittime sino ad ora accertate, 2200 quelle decedute, 700 i malati terminali, oltre 5 mila le parti lese. Il processo non è ancora entrato nel vivo, all’esame dell’aula per ora solo questioni preliminari. L’udienza di ieri è stata contrassegnata dall’offensiva dei legali delle società citate come responsabili civili del disastro. La Presidenza del consiglio dei ministri e l’Unione europea (chiamata a risarcire un miliardo di euro) hanno chiesto di essere esclusi dal processo rinviandosi reciprocamente ogni responsabilità sulla vicenda. Se per il legale del governo, lo Stato non può essere chiamato a rispondere poiché gli obblighi di tutela della salute dei lavoratori sarebbero solo a carico dei datori di lavoro (sic!), inoltre non esisterebbero norme che censurano le responsabilità sull’omissione di controllo addebitate al potere pubblico (doppio sic!), infine l’Italia non potrebbe essere accusata della mancata adozione delle disposizioni comunitarie in tema di amianto perché queste sarebbero state successive all’epoca dei fatti; per l’avvocato dell’Ue, «mai l’Europa avrebbe potuto vietare l’amianto con forza di legge. Lo ha fatto con una direttiva la cui attuazione era compito degli Stati membri». Il legale ha aggiunto che spetterebbe semmai alla Corte di giustizia europea di doversi occupare, in base ai trattati, delle eventuali responsabilità dell’Unione. La Procura si è associata alla richieste di esclusione dal processo. L’udienza è stata poi aggiornata all’8 febbraio prossimo. Nel frattempo Il giudice Casalbore ha fatto sapere che grazie al supporto tecnico fornito dalla provincia di Torino, il processo verrà trasmesso in diretta streaming in tutte le sedi giudiziarie italiane. Fuori al Palazzo di Giustizia è comparso uno striscione con la scritta: «Eternit: no al processo breve».

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