Le due destre. Michele Serra: “Saviano è di destra, ma siccome in Italia non c’è una destra politica rispettabile allora lo ospitiamo a sinistra”

Nella consueta rubrica che tiene su Repubblica (potete leggere l’integrale qui sotto) Serra scrive: Saviano «È uno scrittore-soldato, che paga la sua guerra alla malavita conducendo una vita tremenda. Non è di sinistra, ha valori popolari molto simili a quelli di un meridionale tradizionalista non colluso e non servo. È un uomo libero e coraggioso. In un Paese munito di una destra decente (cioè legalitaria e repubblicana) sarebbe di destra. Dunque, non in questo Paese».
Ora che anche Michele Serra ci ha spiegato che il “civismo” propinato da Saviano non appartiene alla categoria dell’impegno, riassunto nella figura dell’écrivain engagé, ma a quella del volontario che si arruola nella legione militare della scrittura di guerra, che ne fa un author embedded, un warwriter, «scrittore-soldato» che agita l’etica armata, il moralismo in uniforme, l’epica della scorta militare come un’arma di devastazione di massa dell’intelligenza e della critica, tutto dovrebbe essere più chiaro.
E invece no. La parte più importante del ragionamento di Serra è un’altra (Saviano vi appare solo come rivelatore): siccome in Italia non c’è una destra degna del suo nome ma una destra “cafona, corrotta, mafiosa, pidduista, illegale, faccendiera, puttaniera, fascista, eccetera, eccetera”, la sinistra è costretta, per senso di responsabilità, a situarsi a destra, fare la destra del Paese.
Il risultato è che da diversi decenni in Italia ci sono solo due destre mentre la “sinistra” (che non vuol dire nulla se non un vago riferimento spaziale; ma passatemi per brevità l’uso di questo termine) è scomparsa.
Si cominciò con l’attenzione verso i cattolici, il compromesso storico, l’alleanza con i moderati, la politica dei sacrifici, l’austerità berlingueriana, la classe operaia che doveva farsi classe nazionale e stringere la cinghia per dare l’esempio (come sosteneva Giorgio Amendola riprendendo Togliatti), la moderazione salariale voluta da Luciano Lama. Poi, dopo l’avvento di Berlusconi, venne il gioco di sponda e l’abbraccio verso quei pezzi della vecchia destra ultramoderata, reazionaria, anch’essa come il berlusconismo ferocemente antioperaia e anticomunista, messa in soffitta dal mecenate della pubblicità: da Indro Montanelli, l’eterno frondista di tutti i regimi (monarchico, fascista, repubblicano) a Mario Segni, erede di quella destra repubblicano-gollista che negli anni 60, e ancora dopo, aveva flirtato con tutti i tentativi di stabilizzazione autoritaria dell’Italia. Poi sono arrivati i Marco Travaglio, che avevano fatto la gavetta al Borghese e poi da Montanelli divenuti facitori d’opinione sull’Unità, per approdare a Roberto Saviano.
L’esercizio migliore di questa sinistra (per intenderci il ceto politico che risiedeva a Botteghe oscure) era dare lezioni alla destra, spiegare loro cosa era e cosa si dovesse fare per essere veramente di quelle parti. Scegliersi l’avversario era il loro vezzo, stabilire chi aveva legittimità di esserlo. Quando venne di moda fare i liberali, Veltroni si trasformò all’improvviso nel dispensatore delle patenti di liberalismo altrui. Chi non aveva l’imprimatur di Botteghe oscure era ritenuto un contraffattore. Persino il vecchio Pli dovette inchinarsi alla fonte battesimale degli ex del Pci.
Ed eccoli oggi a spiegarci che siccome Saviano non ha casa politica (anche se passa le vacanze nei villoni di Corrado Passera) non c’è altra strada che accoglierlo… La realtà è che Saviano dentro questa sinistra ultraliberale e giustizialista, ci sta benissimo.

*    *    *

Michele Serra
dalla rubrica L’AMACA, la Repubblica del 5 giugno 2012

Sento in un talk-show l’impressionante Sallusti definire Roberto Saviano “un ricco scrittore”, espressione che al pubblico che fa riferimento a Sallusti deve sembrare l’acme della corruttela morale. Pare di capire che la destra bastonatrice (Giornale e Libero, per non far nomi) voglia indicare in Saviano il nuovo, odiato simbolo dei “radical chic”, il leader blandito “nei salotti che contano” dalle signore svenevoli e dagli orditori delle trame demo-pluto-massoniche. I toni e gli argomenti usati contro l’autore di Gomorra sono piuttosto spregevoli (anche se non raggiungono l’allucinata violenza toccata un mesetto fa da Giuliano Ferrara sul Foglio in uno degli articoli più ignobili della storia del giornalismo mondiale), ma la sostanza della campagna di stampa fa decisamente sorridere. Saviano può piacere o non piacere, ma con i radical chic c’entra come i cavoli a merenda. È uno scrittore-soldato, che paga la sua guerra alla malavita conducendo una vita tremenda. Non è di sinistra, ha valori popolari molto simili a quelli di un meridionale tradizionalista non colluso e non servo. È un uomo libero e coraggioso. In un Paese munito di una destra decente (cioè legalitaria e repubblicana) sarebbe di destra. Dunque, non in questo Paese.


Link

Arriva il partito della legalità
Occupazione militare dello spazio semantico: Saviano e il suo dispositivo

Sotto le parole niente: il nuovo libro cuore di Fazio e Saviano

Saviano e il brigatista
Cosa resterà del berlusconismo?
Dipietrismo: malattia senile del comunismo?
Giustizia o giustizialismo, dilemma nella sinistra
Aggressione a Berlusconi: ma cosa c’entrano gli anni 70? E’ guerra civile borghese
Feticci della legalità e natura del populismo giustizialista

Arriva il partito della legalità

Ispirato da Eugenio Scalfari, organizzato e diretto da Carlo De Benedetti, probabile capolista un Roberto Saviano ancora recalcitrante ma disponibile a dare il suo imprimatur (non può certo sputare sul piatto dove mangia), scende in campo il partito della legalità

Un po’ come la fine di Craxi coincise con il trionfo postumo del craxismo, il tramonto di Berlusconi ci sta lasciando in eredità molte cose del berlusconismo e del suo modello speculare, l’antiberlusconismo. Prendiamo un esempio: il tracollo elettorale del Pdl nelle recenti amministrative non sta affatto provocando l’uscita di scena del partito-azienda. Al contrario assistiamo al moltiplicarsi di questo modello d’organizzazione diretta degli interessi più influenti della borghesia imprenditoriale e finanziaria nella politica.


Mentre i ceti popolari scompaiono dalla politica attiva, grande borghesia, finanza, Confindustria e salotti scendono direttamente in politica moltiplicando i loro partiti-azienda

Accanto all’ipotesi del Partito dei produttori di Montezemolo, ai blocchi di partenza ormai da molto tempo, costruito anch’esso attorno ad un cuore aziendale, si annuncia l’arrivo del Partito di Repubblica camuffato da cartello della società civile. Mentre la formazione di Montezemolo si candida a colmare il vuoto che il declino del berlusconismo rischia di lasciare dietro di sé, il Partito di Repubblica mira paradossalmente a tenere in vita l’esperienza dell’antiberlusconismo riproducendone il calco speculare: modello mediatico-carismatico, un propietario magnate, una strategia ispirata dal marketing politico, assenza di democrazia interna, gruppo dirigente e apparato cooptato.
Da diversi anni ormai il richiamo alla società civile è diventato lo schermo dietro il quale si cela, nella gran parte dei casi, la discesa in campo dei poteri forti, dei grandi salotti, dei miliardari, senza dover più ricorrere al tradizionale ruolo di mediazione e filtro dei professionisti della politica di cui parlava Weber (relegati nel migliore dei casi al ruolo di gregari o yesmen). Una concezione sempre più oligarchica della politica tanto più lontana da modelli partecipativi e di rappresentanza, sicuramente più presenti in alcune forme-partito classiche del Novencento, quanto più è forte l’appello alla società civile. Non a caso da mesi il governo è retto da un sedicente esecutivo di tecnici che sfugge a qualsiasi principio di rappresentanza elettorale (una sorta di golpe soft).


La repressione emancipatrice leit-motiv del partito promosso dal gruppo editorial-fianziario di Carlo De Benedetti

L’arrivo di una lista ispirata dal duo De Benedetti-Scalfari è data per certa. Ad anticipare questa mossa era stato lo stesso Eugenio Scalfari in un editoriale apparso su Repubblica del 13 maggio scorso. A dire il vero, in quella circostanza, l’ex fondatore di Repubblica aveva condizionato la formazione di «una lista civica apparentata con il Pd e rappresentativa del principio di legalità» alla permanenza del “porcellum”, il sistema elettorale attualmente in vigore. Per Scalfari la legalità, di cui vi sarebbe «urgente bisogno», deve essere il tema ideologico dirimente di questa nuova formazione  per combattere «la corruzione, le mafie, le oligarchie corporative nella pubblica amministrazione, l’evasione fiscale e la legalità costituzionale» (manca ovviamente qualsiasi riferimento alle illegalità della finanza internazionale motore scatenante della crisi economica attuale).
Niente di nuovo dal pulpito di Repubblica che da decenni ha fatto della “repressione emancipatrice” la religione civile che ha permesso di mettere una pietra tombale sulla questione sociale.


Saviano capolista?

Il nuovo Partito della legalità – sempre secondo le parole del suo ispiratore – dovrebbe chiamare a raccolta «persone competenti e civilmente impegnate nella difesa di questi valori». Profilo nel quale molti hanno subito visto l’inconfondibile silhouette di Roberto Saviano.
Chiamato in causa l’autore di Gomorra si è subito precipitato a smentire la circostanza senza rinunciare alla sua consueta dose di vittimismo. Nella celebre rubrica dell’Espresso, che fu un tempo di Giorgio Bocca, Saviano ha attaccato quelli che fanno «disinformazione» annunciando sistematicamente la sua entrata in politica ogni qualvolta gli accade di mietere trionfali ascolti televisivi, nonostante le sue mediocri prestazioni. Gli autori di queste voci, ha spiegato con toni stizziti ma sempre meno convincenti (stavolta a tirarlo in ballo è stato Scalfari mica i suoi avversari), sarebbero dei disonesti che attribuendogli l’intenzione di entrare in politica vorrebbero soltanto delegittimarlo, macchiandone l’illibatezza che gli verrebbe dal non essere «percepito come schierato».
Frase interessante solo per il participio inavvertitamente impiegato. L’uomo che sostiene di voler «ridare dignità alle parole della politica», perché le parole, differentemente da come cantava Mina, non sono chiacchiere ma «azione», strumenti capaci di «costruire prassi diverse», non può non sapere che l’essere percepito è altra cosa che dall’essere realmente.
E’ singolare questa teoria della dissimulazione che ricorda da vicino uno dei più classici precetti della politica descritti da Machiavelli, «Ognun vede quel che tu pari, pochi sentono quel che tu sei», in uno scrittore ­– da tempo sempre meno autore e sempre più interprete – che non cessa di rappresentarsi come sacerdote del vero, senza infingimenti, mediazioni e filtri. Per giunta, dopo la querela milionaria presentata contro il Corriere del Mezzogiorno e Marta Herling, per la polemica sulle fonti indirette e anonime citate nel racconto sul terremoto di Casamicciola, a molti non è sfuggito che Saviano stia dimostrando più interesse al valore monetario delle parole piuttosto che al loro significato.


Il prezzo delle parole

Sarà forse per questa concezione borsistica della lingua, che poca importanza attribuisce al senso delle parole tanto da arrivare a sostenere parole senza senso, che Saviano può scrivere cose come: la fedina penale pulita in politica sarebbe un handicap, un «elemento di sospetto e fragilità». Tesi che nell’orgia di demagogia populista attuale non appare di grande originalità: lo affermano ogni giorno Marco Travaglio e Beppe Grillo.
Chissà se sui banchi di scuola gli hanno mai spiegato che la Costituzione italiana è stata scritta da fior fior di pregiudicati, ex galeotti, ex latitanti ed ex sorvegliati speciali con tanto di confino. E che tra questi si contano ben due presidenti della Repubblica.
Se sei pregiudicato – prosegue ottusamente lo scrittore embedded (con Saviano il vecchio modello dell’impegno civile e politico si è trasformato nell’arruolamento, nell’intruppamento tra le file dei crociati dell’ordine, dei professionisti della punizione) – «vuol dire che hai già un protettore. A seconda del reato commesso, ci sarà la mafia, un partito o una cricca a garantire per te. Invece se sei incensurato non hai tutela, puoi essere aggredito da tutti senza che nessuno ne abbia danno».
Per Saviano le carceri italiane sarebbero sovraffollate di potenti ultratutelati, non di una umanità dolente, di disgraziati senza peso e senza futuro. Esperti e operatori del settore non esitano a definire il sistema carcerario una discarica sociale. E nelle discariche, fino a prova contraria, c’è a munnezza; tanto per citare la considerazione sociale attribuita al popolo delle prigioni.
Sembra di capire che per Saviano l’unico modello di società possibile sia una sorta di 41 bis diffuso, un regime di massima sicurezza sociale, un sistema di gabbie e recinti concentrici dove le parole anziché libere finirebbero confiscate sotto chiavistello. E lui ovviamente sarebbe il portachiave.


Scalfari insiste: «Saviano ci servi»
. Mica puoi sputare sul piatto dove mangi!

Per nulla convinto dell’atteggiamento prudente messo in mostra dall’esponente di punta della scuderia di Roberto Santachiara, in una intervista al Fatto quotidiano Scalfari ha ribadito che la presenza dello scrittore nella lista per la legalità «sarebbe un valore aggiunto che può decidere le elezioni». Saviano è considerato un brand vincente, non è più una persona ma un dispositivo, una macchina del consenso di cui non si può fare a meno. Scalfari-Mangiafuoco non può rinunciare alla sua marionetta per mettere in scena il teatrino della poltica. Quale che sia la decisione finale, lo scrittore ha confermato che in ogni caso non rinuncierà «alla possibilità di costruire un nuovo percorso».


Il nuovo mix: partito delle procure e partito delle scorte

Insomma i giochi sembrano fatti. Manca solo l’annuncio ufficiale che secondo alcune indiscrezioni è previsto per il prossimo 14 giugno, data di avvio della festa di tre giorni organizzata da Repubblica a Bologna. Un serbatoio pronto per stilare le liste esiste già: si tratterebbe di pescare tra gli aderenti all’associazione “Libertà e Giustizia”, fondata sempre da De Benedetti. La base di riferimento resta il “ceto medio riflessivo” che ha animato l’esperienza dei Girotondi e riempito gli spalti durante le adunate al Palascharp. C’è poi il partito delle procure a cui si affiancherà quello delle scorte spalleggiato da Saviano.


Legalità e iperliberismo: stessa spiaggia, stesso mare…

A questo punto resta da chiedersi cosa potrà portare di nuovo l’avvento di questo partito al di là delle considerazioni tattiche sull’ipoteca messa su un Pd fragile e senza prospettive, che rischierebbe di diventare addirittura un satellite eterodiretto (vecchio pallino della redazione repubblichina) dalla nuova formazione. L’estenuante richiamo al principio di legalità impone un bilancio ed una decostruzione del concetto.
Il richiamo alla legalità, da tangentopoli ad oggi, oltre a non aver impedito ma in qualche modo favorito venti anni di Berlusconismo è servito da legittimazione al passaggio brutale dallo stato sociale a quello penale. La legalità è stata in campo politico-giudiziario il corrispettivo dell’iperliberismo in materia economico-sociale. Un contesto dove i forti sono diventati più forti e i deboli più deboli. Se vogliamo cominciare a capovolgere questa situazione è arrivato il momento di mettere in campo un movimento antipenale.

© Not Published by arrangement with Roberto Santachiara literary agency

 

Sullo stesso tema
La vocazione dello scalfarismo all’eterodirezione dei gruppi dirigenti della politica
Cosa resterà del berlusconismo?
Dipietrismo: malattia senile del comunismo?
La farsa della giustizia di classe
Giustizia o giustizialismo, dilemma nella sinistra
Aggressione a Berlusconi: ma cosa c’entrano gli anni 70? E’ guerra civile borghese
Feticci della legalità e natura del populismo giustizialista
Perché non sciogliere il popolo?


Occupazione militare dello spazio semantico: Saviano e il suo dispositivo

Il dispositivo Saviano ha la leggerezza claustrofobica di una occupazione militare. Quando le parole assumono il volto arcigno della forza statale. Leggete questa testimonianza ripresa dal blog di Luca Bianchini

 

 

«Vi giro innanzi tutto la mail che ho ricevuto prima di partecipare a “Quello che non ho”, che ho visto ieri dal vivo alle OGR di Torino.

Alcune importanti raccomandazioni:

Non sarà in nessun modo possibile sostituire i nominativi all’ingresso: l’accesso sarà garantito solo a coloro che si trovano in lista.

Sarà indispensabile portare con sè un documento d’identità valido, senza il quale, non sarà possibile accedere agli studi (il documento identificativo dovrà essere lo stesso di quello fornito).

Tutto il pubblico sarà soggetto a controlli da parte della sicurezza con il passaggio sotto un metal detector prima dell’accesso in studio. Per agevolare le operazioni di passaggio preghiamo gentilmente di portare con sè il minor numero possibile di oggetti metallici (in particolare gioielli e orologi) ed indumenti con parti metalliche (scarpe, borchie, fibbie di cinture). Le persone che sono esentate per motivi di salute (by-pass, etc.) dovranno presentare obbligatoriamente il certificato medico.

Non sarà possibile accedere agli studi con la borsa: sarà presente un guardaroba gratuito e custodito.

Preghiamo inoltre di non accedere agli studi con telefonini, videocamere o macchine fotografiche che non saranno utilizzabili.

L’abbigliamento è libero: da evitare il colore viola e loghi o marche sugli abiti».

Fonte – http://popup.vanityfair.it/2012/05/16/quello-che-non-ha-roberto-saviano/


Link

Arriva il partito della legalità
Sotto le parole niente: il nuovo libro cuore di Fazio e Saviano

Sotto le parole niente. Il nuovo libro cuore di Fazio e Saviano

«Saviano vive di parole», scrive il critico televisivo Aldo Grasso sul Corriere della sera. Mai definizione si è rivelata più corretta dopo la querela milionaria presentata nei confronti del Corriere del Mezzogiorno, della storica Marta Herling nipote di Benedetto Croce e del vice direttore di Rai Uno.
La recensione di Grasso mette l’accento sul «catechismo morale» che emana dalle prediche di Saviano novello maestro Manzi. E’ l’idea della «democrazia del pubblico», di cui scriveva quasi 20 anni fa Bernard Manin nel suo Principes du gouvernement représentatif (Flammarion 1995), tradotto in Italia solo nel 2010 per il Mulino.
Il popolo ridotto a spettatore catodico indottrinato dai nuovi ciarlatani del potere, in questo caso i sacerdoti della legalità che con le loro omelie scritte da illustri «parolieri», come Francesco Piccolo e Michele Serra, vorrebbero «educarci e redimerci».
Fazio e Saviano, insieme ai loro ghost, si riempieranno pure le tasche piene di soldi,  nascerà forse il partito della legalità ma alla fine non è detto che funzioni. Per fortuna ci sono ancora tanti Franti in giro.

Rito da maestro Manzi nel clima di redenzione
La debolezza di questo «reading» è che tutti fanno venire il senso di colpa

Aldo Grasso
Il Corriere della sera 15 maggio 2012

Il destino delle parole è che invecchiano e si usurano con gli uomini che le usano. Un po’ martire, un po’ rockstar Roberto Saviano vive di parole, ha costruito il suo successo con le parole e, nonostante la giovane età, viene già osannato come un venerato maestro. Così, con l’aiuto di Fabio Fazio e di illustri «parolieri» come Francesco Piccolo e Michele Serra (seduti in prima fila), ha trovato ospitalità su La7 per ripensare le parole che usiamo (idea non nuovissima). Se un tempo le Officine Grandi riparazioni di Torino servivano a riparare i treni, adesso, come location, riparano parole. Una sfilata di ospiti illustri o meno prende una parola e la spolvera. Annotava nei suoi diari Lev Tolstoj: «Se tutta la complessa vita di molti passa inconsciamente, allora è come se non ci fosse mai stata». Questo è il destino delle parole: a furia di ripeterle, di sentirle nella quotidianità diventano gusci vuoti. Solo i veri scrittori sanno restituire loro il senso della vita, sanno restituircele come «visione» non come «riconoscimento». Fazio e Saviano vogliono educarci, redimerci, farci sentire migliori. Senza gioia, con pedanteria.

Le loro trasmissioni sono le sole eredi del maestro Manzi, le sole dove la noia viene scambiata per insegnamento, la demagogia per redenzione, la retorica per vaticinio. E, ovviamente, hanno successo perché la tv del dolore conosce tante forme, anche quella di predicare sui suicidi o sui bambini di Beslan. Il clima è sempre quello del rito, della celebrazione: una sorta di consacrazione laica della parola, una necessaria penitenza perché lo sproloquio si offra a noi come eloquio. Sotto le parole, niente. Solo un po’ di omelia televisiva, dove quello che non ho si confonde volentieri con quello che non so.

La debolezza di questo reading è che tutti ti fanno venire il senso di colpa, persino Pupi Avati con i suoi ricordi felliniani al borotalco, persino il duo Travaglio-Lerner: se non sei impegnato, sei non vuoi cambiare il mondo con noi, se non usi le parole come arma di difesa civile, insomma sei poco propenso alla bacchettoneria, che tu sia dannato in eterno.
Fra i tanti luoghi comuni, ci sono anche le parole che il ceto medio riflessivo non dovrebbe mai pronunciare perché fanno cafone: sbaglio o la parola marketta non c’era?

Link
Occupazione militare dello spazio semantico: Saviano e il suo dispositivo
Arriva il partito della legalità
Qualcuno deve pur dirlo ora basta con Saviano

Qualcuno deve pur dirlo, ora basta con Saviano

Pubblichiamo l’articolo che l’elefantino ha dedicato al ritorno di Saviano in tv: uno «che non ha un’idea in croce», scrive Giuliano Ferrara alludendo al fatto che della testa, quella sorta di contenitore nel quale madre natura ha riposto il cervello, Saviano non sa proprio che farsene se non spazzolarla a lucido. «Macchinetta sputasentenze, che brancola nel buio di un generico civismo», prosegue senza un briciolo di pietà il direttore del Foglio, ricordandoci che per tre giorni vi dovrete sorbettare “l’eroe di carta” su La7 con «l’auricolare di Serra» a soccorrerlo.
Io per fortuna no. Da quando il digitale terreste è entrato in funzione anche nella casa di reclusione di Rebibbia, i Philips 14 pollici che abbiamo nelle celle sono sintonizzati solo su 10 canali: Rai 1, 2, 3 e 4; i tre canali Mediaset, Iris, Italia sport e una locale partenopea.
Mi guarderò un film, a voi invece toccherà «il nulla intorno alle parole, ridotte barbaramente al nulla dell’ideologia, e tutt’intorno un uso cinico della condiscendenza verso il piccolo talento dell’ordinario». Come vi compatisco. Una volta tanto, devo riconoscerlo, l’Amministrazione penitenziaria ha fatto le cose giuste.

Solo una domanda: questo Saviano «di un grigiore penoso, che non sa fare niente e va su tutto», come lo riassume Ferrara nell’epitaffio finale, avrà la coerenza di sporgere querela, oppure si genufletterà ancora una volta, striscerà sui tappeti del potere, si accuccerà “tomo, tomo, quatto, quatto” – come diceva Totò – sui sedili posteriori della comoda auto della sua scorta?

Giuliano Ferarra
Il Foglio 13 maggio 2012

Saviano al posto di Bocca. Uno che non ha mai detto nulla di interessante, che non ha un’idea in croce, che scrive male e banale, che parla come una macchinetta sputasentenze, che brancola nel buio di un generico civismo, che è stato assemblato come una zuppa di pesce retorico a partire da un romanzo di successo, si prende la rubrica di un tipo tosto che di cose da dire ne aveva fin troppe. Saviano a La7 per tre giorni con l’auricolare di Serra e la bonomia un po’ spenta di Fazio, un rimasuglio di tv dell’indignazione, una celebrazione di quella cazzata che è l’evento, il tutto destinato a sicuro successo di critica e di pubblico: il nulla intorno alle parole, ridotte barbaramente al nulla dell’ideologia, e tutt’intorno un uso cinico della condiscendenza verso il piccolo talento dell’ordinario. Saviano a New York, come un brand scassato alla ricerca della mafia già scoperta da Puzo, Coppola e Scorsese, una specie di Lapo in cerca di marketing sulle orme di Zuccotti Park, tranne che Lapo fa il suo mestieraccio. Saviano in ogni appello, dalla lotta al traffico di cocaina ai diritti dei gay a chissà cos’altro ancora. Saviano sul giornale stylish del mio amico Christian Rocca, perfino. Ma che palle. L’ho ascoltato al Palasharp, un anno e mezzo fa, via web. Un disastro incolore. Uno fuori posto perfino in un luogo in cui si faceva mercimonio delle idee peggiori della società italiana. Non riusciva ad aderire, malgrado la buona volontà, nemmeno alla semplificazione moralista della politica nella sua forma estrema di faziosità e di odio teologico-politico. Saviano non sa fare niente e va su tutto, è di un grigiore penoso, e i madonnari che lo portano in processione dalla mattina alla sera gli hanno fatto un danno umano, civile, culturale e professionale quasi bestiale. Credo che le premesse fossero genuine, è l’esplosione che si è rivelata di un’atroce fumosità. Già non è dotato, ma poi mettergli in mano una specie di scettro da maghetto della popolarità e della significatività di sinistra o de sinistra, insignirlo di una strana laurea da rive gauche all’italiana, il caffè intellettuale dei mentecatti, chiedergli di pronunciarsi su tutto e su tutti come l’oracolo, di fungere da uomo-simbolo, lui che del simbolico ha appena la scorta, questo è veramente troppo.
I Moccia e i Fabio Volo hanno scritto anche loro libri di successo. E’ un guaio che ti può capitare, una brutta malattia come il premio Nobel e altre scemenze. Un giorno o l’altro qualcuno te le commina, se sei veramente sfortunato, e c’è chi sbava nell’attesa. Ma nessuno li ha trasformati in totem, non si prestavano, non erano all’altezza. Saviano invece è all’altezza di questa mondializzazione del banale, di questa spaventosa irriverenza verso l’allegria e l’eccentricità dell’intelletto come nutrimento della società e della vita, di questa orgia del progressismo finto sexy, il torello triste che combatte la sua corrida in compagnia di milioni di consumatori culturali e di utenti dell’indicibilmente e sinistramente comune, medio. Siamo il paese di Wilcock, di Flaiano, di Cesaretto, di Manganelli e a parte lo spirito d’avanguardia e di letizia della scrittura, abbondano grandi maestri, filologi, scrittori anche civili che qualcosa da dire ce l’hanno, in trattoria e sui giornali e in tv, e siamo stati trasformati nel paese dei balocchi dei festival e delle seriali conferenze culturali dedicate al libro, al bestseller che ti cambia la vita come una nuova religione e ti immette nel mainstream più compiacente e belinaro. Ma via. Qualcuno deve pur dirlo. Facciamo un comitato, qualcosa di sapido e di cattivo, qualcosa di rivoltoso e di ribaldo. Basta con Saviano.

Link
Arriva il partito della legalità
Saviano e il brigatista

Ma dove vuole portarci Saviano
Il ruolo di Saviano. Considerazioni dopo la partecipazione a “Vieni via con me”
Il paradigma orwelliano impiegato da Roberto Saviano
Aldo Grasso: “Vieni via con me un po’ come a messa”

Saviano e il genere fantasy
Roberto Saviano è una paglietta: parola di Antonio Gramsci
La macchina del fango di Saviano contro i manifestanti del 14 dicembre
Il capo della mobile: “Contro Saviano minacce non riscontrate”
Alessandro Dal Lago:“La sinistra televisiva un berlusconismo senza berlusconi”
Il capo della Mobile di Napoli: “Vi spiego perché ero contrario alla scorta per Roberto Saviano”
Daniele Sepe scrive un rap antiSaviano: “E’ intoccabile più del papa”
Il razzismo anticinese di Saviano. L’Associna protesta
La denuncia del settimanale albanese: “Saviano copia e pure male”

Saviano in difficoltà dopo la polemica su Benedetto Croce
Marta Herling: “Su Croce Saviano inventa storie”
Saviano, prime crepe nel fronte giustizialista che lo sostiene


Pg Battista: “Come ragalare un eroe agli avversari. Gli errori della destra nel caso Saviano”

Non c’è verità storica: il Centro Peppino Impastato diffida l’ultimo libro di Roberto Saviano
Diffida e atto di messa in mora. Rettifica libro “La parola contro la camorra” di Roberto Saviano
Castelvolturno, posata una stele per ricordare la strage di camorra ma Saviano non c’era e il sindaco era contro

Alla destra postfascista Saviano piace da morire

Il diritto di criticare l’icona Saviano
La libertà negata di criticare Saviano
Saviano, l’idolo infranto
Pagliuzze, travi ed eroi

Attenti, Saviano è di destra, criticarlo serve alla sinistra
Buttafuoco, “Saviano agita valori e codici di destra, non regaliamo alla sinistra”
Ucciso il sindaco di Pollica: dubbi sulla matrice camorristica

Covergenze paralelle: iniziativa con Saviano e confronto Fini-Veltroni

Roberto Saviano è un «paglietta»: parola di Antonio Gramsci

Antonio Gramsci identificava la formazione di un particolare ceto di intellettuali che definiva «pagliette» o «pennaioli». Si trattava di personaggi incorporati nelle classi dirigenti meridionali, con particolari privilegi “giudiziari”, impiegatizi, ecc., in modo che lo strato che avrebbe dovuto organizzare il malcontento meridionale diventava uno strumento della politica settentrionale, un suo accessorio “poliziesco”.
Sembra la fotografia spiccicata della funzione svolta da un certo Roberto Saviano, l’odierno pennaiolo di Repubblica, il velinaro dei Ros, lo scrivano del giustizialismo meridionale recentemente cimentatosi in un’ardua recensione di un discutibile saggio di Alessandro Orsini (che i lettori di questo blog già conoscono) intitolato, Gramsci e Turati. Le due sinistre (Rubettino)


Antonio Gramsci

Sul Risorgimento
, Editori Riuniti 1967

Il Mezzogiorno era ridotto a un mercato di vendita semicoloniale, a una fonte di risparmio e di imposte ed era tenuto «disciplinato» con due serie di misure: misure poliziesche di repressione spietata di ogni movimento di massa con gli eccidi periodici di contadini, misure poliziesche-politiche: favori personali al ceto degli «intellettuali» o «pagliette», sotto forma di impieghi nelle pubbliche amministrazioni, di permessi di saccheggio impunito delle amministrazioni locali, di una legislazione ecclesiastica applicata meno rigidamente che altrove, lasciando al clero la disponibilità di patrimoni notevoli, eccetera, cioè incorporamento a «titolo personale» degli elementi più attivi meridionali nel personale dirigente statale, con particolari privilegi «giudiziari», burocratici, eccetera. Così lo strato sociale, che avrebbe potuto organizzare l’endemico malcontento meridionale, diventava invece uno strumento della politica settentrionale, un suo accessorio di polizia privata. Il malcontento non riusciva, per mancanza di direzione, ad assumere una forma politica normale e le sue manifestazioni, esprimendosi solo in modo caotico e tumultuario, venivano presentate come «sfera di polizia» giudiziaria. In realtà a questa forma di corruzione aderivano sia pure passivamente e indirettamente uomini come il Croce e il Fortunato per la concezione feticistica dell’unità. […]

È l’aprile del 1907 quando viene varata la corazzata Roma ed in quell’occasione fanno mostra di sé i cappelli estivi. La paglietta è una gloria italiana visto che l’industria della paglia è attiva in Toscana fin dal Settecento. Si chiamava anche magiostrina perché la si indossava a partire dal mese di maggio e veniva dismessa tassativamente al tempo della vendemmia ancorché il clima fosse mite. Ma questo cappello rigido, di forma ovale e fondo piatto, trova la sua consacrazione artistica nei dipinti degli impressionisti francesi: Renoir e Manet ci rimandano le immagini dei signori di inizio secolo che vanno in barca sul fiume e frequentano i locali all’aperto indossando appunto quella che chiamano canotier.

Le déjeuner des Canotiers (1881) – Auguste Renoir

Link
Alessandro Orsini, l’inquisitore dell’eresia brigatista
Saviano e il brigatista
Il paradigma orwelliano impiegato da Roberto Saviano

Saviano e il genere fantasy
La macchina del fango di Saviano contro i manifestanti del 14 dicembre

Il capo della mobile: “Contro Saviano minacce non riscontrate”
Alessandro Dal Lago:“La sinistra televisiva un berlusconismo senza berlusconi”
Il capo della Mobile di Napoli: “Vi spiego perché ero contrario alla scorta per Roberto Saviano”
Aldo Grasso: “Vieni via con me un po’ come a messa”
Daniele Sepe scrive un rap antiSaviano: “E’ intoccabile più del papa”
Il razzismo anticinese di Saviano. L’Associna protesta
La denuncia del settimanale albanese: “Saviano copia e pure male”

Saviano in difficoltà dopo la polemica su Benedetto Croce
Marta Herling: “Su Croce Saviano inventa storie”
Saviano, prime crepe nel fronte giustizialista che lo sostiene

Ma dove vuole portarci Saviano
Il ruolo di Saviano. Considerazioni dopo la partecipazione a “Vieni via con me”

Pg Battista: “Come ragalare un eroe agli avversari. Gli errori della destra nel caso Saviano”

Non c’è verità storica: il Centro Peppino Impastato diffida l’ultimo libro di Roberto Saviano
Diffida e atto di messa in mora. Rettifica libro “La parola contro la camorra” di Roberto Saviano
Castelvolturno, posata una stele per ricordare la strage di camorra ma Saviano non c’era e il sindaco era contro

Alla destra postfascista Saviano piace da morire

Il diritto di criticare l’icona Saviano
La libertà negata di criticare Saviano
Saviano, l’idolo infranto
Pagliuzze, travi ed eroi

Attenti, Saviano è di destra, criticarlo serve alla sinistra
Buttafuoco, “Saviano agita valori e codici di destra, non regaliamo alla sinistra”
Ucciso il sindaco di Pollica: dubbi sulla matrice camorristica

Covergenze paralelle: iniziativa con Saviano e confronto Fini-Veltroni

Dietro l’omicidio Vassallo la pista del traffico di droga

Crolla la narrazione dell’episodio diffusa dai professionisti dell’antimafia dopo l’omicidio e che suscitò forte emozione e una imponente mobilitazione politico-mediatica. Pochi giorni dopo la morte di Vassallo venne addirittura organizzato un convegno dalle fondazioni Democratica e Generazione Italia con la partecipazione di Veltroni, Fini, Mantovano e Saviano. La morte di Vassallo era diventata un’ottima passerella per quel tipo di politica che flirta con il populismo. L’incontro venne poi rinviato a pochi giorni dall’appuntamento per un malanno che avrebbe colpito Saviano, ospite di punta dell’iniziativa. Una provvidenziale polmonite in pieno settembre. Convegno, a quanto se ne sa, mai più riconvocato.
La Direzione distrettuale antimafia ha emesso cinque ordini di custodia cautelare: tre le persone arreste e due quelle latitanti. L’omicidio sarebbe il frutto di un contesto “anomalo”, frutto di una strana commistione di ambienti legali e illegali che navigano tra lo spaccio locale di droga e mire affaristiche sul litorale del Cilento

Paolo Persichetti
Liberazione 13 ottobre 2011

Il porticciolo di Pollica

«Due pistole che sparano, le pallottole che colpiscono al petto, un agguato che sembra essere anche un messaggio. Così uccidono i clan». Era passate solo 48 ore ma per Roberto Saviano, che scrisse queste parole su Repubblica, la morte di Angelo Vassallo, sindaco di Pollica-Acciaroli in provincia di Salerno, avvenuta nella tarda serata del 5 settembre di un anno fa, non era affatto un mistero. Per l’autore di Gomorra si trattava dell’ennesimo crimine camorristico. Il primo cittadino del paesino del Cilento, eletto in una lista civica dopo aver rotto col Pd, sarebbe morto perché lasciato solo a combattere lo strapotere di una camorra in procinto di allargare i suoi voraci interessi affaristici e criminali su nuovi territori ancora incontaminati e strenuamente difesi dal «sindaco-pescatore».
Nel suo lungo articolo Saviano snocciolava nomi di capi clan, si dilungava in organigrammi, disegnava piramidi criminali, raccontava dei sicuri appetiti sul porticciolo turistico di Acciaroli che avrebbero fatto gola ai casalesi, i suoi nemici di sempre, additandoli come i sicuri mandanti dell’assassinio. «Uno scandalo della democrazia», concludeva lo scrittore con la scorta pronto a lanciare la sua nuova crociata.
Oggi sappiamo che la camorra non c’entra. La verità è un’altra, meno banale, meno manichea, carica di sorprese e piena di sfumature, dove i cattivi non stanno nel posto che ti aspetti. La pista che porterebbe agli assassini di Vassallo sarebbe invece legata ad un traffico locale di stupefacenti. Niente a che vedere, dunque, con la narrazione dell’episodio diffusa dopo l’omicidio e che suscitò una forte emozione e una imponente mobilitazione politico-mediatica. Il 25 settembre successivo venne addirittura organizzato un convegno, proprio a Pollica, dalle fondazioni Democratica e Generazione Italia con Veltroni, Fini, Mantovano e Saviano. La morte di Vassallo era diventata un’ottima passerella per quel tipo di politica che flirta con il populismo. L’incontro venne poi rinviato a pochi giorni dall’appuntamento per un malanno che avrebbe colpito Saviano, ospite di punta dell’iniziativa. Una provvidenziale polmonite in pieno settembre. Convegno, a quanto se ne sa, mai più riconvocato.
In effetti che non fosse un delitto classico di camorra, lo si poteva sospettare subito. A mettere in dubbio questa versione era la dinamica dell’agguato, lontana dalle modalità operative dei gruppi di fuoco camorristi. E poi i primi risultati dell’autopsia smentirono che a sparare fossero state più pistole. L’esame autoptico disegnò un’altro scenario: a fare fuoco era stata una sola arma, nove colpi, tutti andati a segno con particolare ferocia. Prova di un accanimento, quasi di un fatto personale. Non solo, ma i colpi erano stati esplosi a pochissima distanza, non più di 50 centimetri. Vassallo aveva abbassato il finestrino della sua automobile dopo aver tirato il freno a mano. Circostanza che lascia supporre la mancata percezione del rischio da parte sua, forse perché conosceva il suo assassino oppure perché credette che la persona che gli si parò davanti, lungo la strada buia, stesse chiedendo soltanto soccorso.
La svolta nell’inchiesta è arrivata nei giorni scorsi quando la Dda di Salerno, titolare delle indagini, ha emesso cinque ordinanze di custodia cautelare per reati legati al traffico di stupefacenti. Martedì i carabinieri hanno eseguito tre arresti nei confronti di Lorenzo Conforti di San Giorgio a Cremano, Gerardo Radano di Montecorice e Bernardo La Greca di Acciaroli. Alla cattura sono sfuggiti invece il Brasiliano Bruno Humberto Damiani e Gabriele Pisani, titolare di un negozio di oggetti etnici sul corso principale di Acciaroli. Entrambi sarebbero riparati, secondo indiscrezioni, in Brasile. La pista del traffico di stupefacenti era stata subito evocata dal fratello del sindaco, Claudio, che aveva raccontato di problemi con la droga accaduti ad Acciaroli nel corso dell’estate, per poi aggiungere sibillino: «Mio fratello, prima di essere ammazzato, mi aveva detto che personaggi delle forze dell’ordine erano in combutta con personaggi poco raccomandabili».
Una frase che solo oggi, dopo gli ultimi sviluppi, acquista un significato più chiaro. Originario di Acciaroli è infatti anche il generale dei carabinieri, oggi in pensione, Domenico Pisani. Già capo di stato maggiore e fondatore dei Ros, ritenuto personaggio influente nel Cilento, entrato anch’egli in contrasto con Vassallo per l’opposizione del sindaco nei confronti di un suo progetto edilizio sul lido di Pollica, messo in piedi con una famiglia, gli Esposito, molto chiacchierata nella zona.
L’ex generale è citato anche in una relazione redatta da un alto ufficiale dei carabinieri immediatamente dopo il delitto: «Ad Acciaroli – scriveva l’ufficiale – vi è anche un nipote del generale Pisani, tale Pisani Gabriele, titolare del negozio Algo Mais che è dedito allo spaccio di stupefacenti da oltre dieci anni». Gabriele Pisani risulta anche molto legato a sua cugina, Sonia Pisani, figlia dell’ex generale e convivente con un personaggio ritenuto esponente di un clan catanese radicato nel basso Lazio. La donna è finita nei guai lo scorso giugno per il possesso di un’arma utilizzata nell’esecuzione di due pregiudicati, avvenuta a Cecchina, nella zona sud di Roma, per un dissidio tra gruppi rivali legato alla consegna di una partita di droga.
L’attività di spaccio, cocaina e haschish, sostenuta addirittura con iniziative promozionali come la «degustazione gratuita» per fidelizzare i clienti, che il nipote del generale dei carabnieri in pensione gestiva – secondo le accuse – ad Acciaroli dava molto fastidio ad Angelo Vassallo, noto anche per la sua interpretazione poco “ortodossa” del mandato elettivo: una vocazione decisionista e interventista che gli aveva fatto guadagnare l’appellativo di «sindaco sceriffo», di «padre-padrone», come avvenne per il Tso adottato, senza nemmeno titolo perché fuori competenza territoriale, nei confronti del maestro di scuola Francesco Mastrogiovanni, morto legato sul letto di contenzione dopo un’agonia atroce.
Sembra accertato che Vassallo poche sere prima della sua morte affrontò alcuni pusher con i vigili del comune in un locale di Acciaroli.
Gli inquirenti per il momento restano prudenti: a nessuno dei destinatari dei provvedimenti restrittivi è stato contestato il concorso nell’uccisione di Vassallo, ma è evidente che le indagini cercano gli assassini del sindaco all’interno di questo contesto “anomalo”, frutto di una strana commistione di ambienti legali e illegali.

Link
Ucciso il sindaco di Pollica: dubbi sulla matrice camorristica
Covergenze paralelle: iniziativa con Saviano e confronto Fini-Veltroni


Saviano e il genere fantasy

Saviano e il brigatista
La macchina del fango di Saviano contro i manifestanti del 14 dicembre

Il capo della mobile: “Contro Saviano minacce non riscontrate”
Alessandro Dal Lago:“La sinistra televisiva un berlusconismo senza berlusconi”
Il capo della Mobile di Napoli: “Vi spiego perché ero contrario alla scorta per Roberto Saviano”
Aldo Grasso: “Vieni via con me un po’ come a messa”
Daniele Sepe scrive un rap antiSaviano: “E’ intoccabile più del papa”
Il razzismo anticinese di Saviano. L’Associna protesta
La denuncia del settimanale albanese: “Saviano copia e pure male”
Il paradigma orwelliano impiegato da Roberto Saviano
Saviano in difficoltà dopo la polemica su Benedetto Croce
Marta Herling: “Su Croce Saviano inventa storie”
Saviano, prime crepe nel fronte giustizialista che lo sostiene

Ma dove vuole portarci Saviano
Il ruolo di Saviano. Considerazioni dopo la partecipazione a “Vieni via con me”
Pg Battista: “Come ragalare un eroe agli avversari. Gli errori della destra nel caso Saviano”
Non c’è verità storica: il Centro Peppino Impastato diffida l’ultimo libro di Roberto Saviano
Diffida e atto di messa in mora. Rettifica libro “La parola contro la camorra” di Roberto Saviano
Castelvolturno, posata una stele per ricordare la strage di camorra ma Saviano non c’era e il sindaco era contro
Alla destra postfascista Saviano piace da morire
Populismo penale

Il diritto di criticare l’icona Saviano
La libertà negata di criticare Saviano
Saviano, l’idolo infranto
Pagliuzze, travi ed eroi
Attenti, Saviano è di destra, criticarlo serve alla sinistra

Buttafuoco, “Saviano agita valori e codici di destra, non regaliamo alla sinistra”

Per Scotland Yard Roberto Saviano non ha bisogno di scorta armata

Sindrome di Linus: allo scrittore era stato asegnato il premio coraggio ma la polizia londinese non gli assegna la scorta e lui rinuncia… al premio


La mitica polizia delle polizie, Scotland Yard, si è rifiutata di commentare la decisione come per ogni circostanza che attiene a questioni sicurezza. Ma è evidente che dietro la scelta di non assegnare nessuna scorta vi è una valutazione sull’assenza di un qualsiasi pericolo reale sul terroritorio londinese. La scorta sarebbe stata solo un orpello, uno status simbol.
L’autore di Gomorra doveva presenziare alla cerimonia di assegnazione del «premio del coraggio» attribuito ogni anno dall’associazione Pen agli scrittori «perseguitati per aver espresso le sue idee». A rivelare l’episodio è stato il direttore dell’associazione Jonathan Heawood. Secondo Heawood, infatti, Scotland Yard avrebbe deciso che Saviano non ha bisogno di protezione. Privato della sua scorta, come Linus della coperta, Saviano – riferiscono le agenzie – ha rinunciato a ritirare il premio, preferendo inviare un messaggio. Questione di coraggio!

Link
La macchina del fango di Saviano contro i manifestanti del 14 dicembre
Il capo della mobile: “Contro Saviano minacce non riscontrate”
Alessandro Dal Lago:“La sinistra televisiva un berlusconismo senza berlusconi”
Il capo della Mobile di Napoli: “Vi spiego perché ero contrario alla scorta per Roberto Saviano”
Aldo Grasso: “Vieni via con me un po’ come a messa”
Daniele Sepe scrive un rap antiSaviano: “E’ intoccabile più del papa”
Il razzismo anticinese di Saviano. L’Associna protesta
La denuncia del settimanale albanese: “Saviano copia e pure male”
Il paradigma orwelliano impiegato da Roberto Saviano
Saviano in difficoltà dopo la polemica su Benedetto Croce
Marta Herling: “Su Croce Saviano inventa storie”
Saviano, prime crepe nel fronte giustizialista che lo sostiene

Ma dove vuole portarci Saviano
Il ruolo di Saviano. Considerazioni dopo la partecipazione a “Vieni via con me”
Pg Battista: “Come ragalare un eroe agli avversari. Gli errori della destra nel caso Saviano”
Non c’è verità storica: il Centro Peppino Impastato diffida l’ultimo libro di Roberto Saviano
Diffida e atto di messa in mora. Rettifica libro “La parola contro la camorra” di Roberto Saviano
Castelvolturno, posata una stele per ricordare la strage di camorra ma Saviano non c’era e il sindaco era contro
Alla destra postfascista Saviano piace da morire
Populismo penale

Il diritto di criticare l’icona Saviano
La libertà negata di criticare Saviano
Saviano, l’idolo infranto
Pagliuzze, travi ed eroi
Attenti, Saviano è di destra, criticarlo serve alla sinistra

Buttafuoco, “Saviano agita valori e codici di destra, non regaliamo alla sinistra”

Saviano e il brigatista

Denuncia penale per diffamazione. Roberto Saviano vuole mettere il bavaglio a “Liberazione”

Paolo Persichetti
Liberazione 17 aprile 2011

«Quanto più uno è ignorante, tanto più è audace e pronto a scrivere»
Baruch Spinoza


Roberto Saviano ha querelato Liberazione. Una denuncia penale per diffamazione a mezzo stampa è stata depositata nei miei confronti, in qualità di autore degli articoli messi sotto accusa, e del direttore Dino Greco. Sembra che Saviano non abbia gradito il modo in cui ho raccontato, lo scorso 14 ottobre, la vicenda della diffida inoltrata dal centro Peppino Impastato all’editore del suo penultimo libro, La parola contro la camorra. La parola appunto, quella che Saviano dice fin dal titolo di utilizzare come strumento per combattere il crimine organizzato, veicolo di libertà che lui sostiene di difendere contro le molte censure, sempre denunciate ma mai viste; quella parola che distribuisce su tutti i supporti mediatici, a destra e manca degli schieramenti politici, resta legittima solo se da lui pronunciata. La sua parola, intesa come unica parola possibile, che perciostesso esclude le altre, soprattutto se sono critiche nei suoi confronti, se ne raccontano limiti e inesattezze, se ne mettono in mostra la faccia nascosta o molto più semplicemente se dicono: «Noi la pensiamo diversamente da te. Le verità che affermi sembrano prese dal dizionario di monsieur de Lapalisse, per non dire le volte che travalicano la realtà dissolvendosi in fantasie». Come dimostra la sistematica omissione delle fonti che rende impossibile la verifica di quel che scrive. Marta Herling, nipote di Benedetto Croce, l’ha recentemente colto in fallo per aver narrato un aneddoto della vita del filosofo napoletano ripreso da una fonte che – si è poi scoperto – riportava una testimonianza anonima. O ancora, con la denuncia di plagio, solo l’ultima in ordine di tempo, venuta dal settimanale albanese Investigim. Quella parola “altra” che per Saviano non può essere libera ma va confiscata per mezzo dell’intimidazione penale, della richiesta di carcere e dell’accusa di corrività con quelli che lui ha eletto suoi acerrimi nemici mortali, i Casalesi. I suoi critici sono immediatamente considerati amici dei suoi nemici. I familiari e il centro intitolato a Peppino Impastato, militante di Democrazia proletaria, animatore a Cinisi di una emittente libera, “Radio aut”, assassinato nel maggio 1978 dai sicari di Tano Badalamenti, boss ferocemente anticomunista saldamente legato al potere democristiano, avevano segnalato alcune inesattezze presenti nel suo testo e chiedevano di apportare le dovute correzioni. Messo in discussione come amministratore della storia di un’antimafia che non conosce, anche per evidenti ragioni anagrafiche, Saviano non solo ha opposto uno sprezzante silenzio, un’indifferenza che segnala come il rifiuto di adularlo sia per lui una insopportabile e delittuosa ferita narcisistica, ma non ha impedito ad Einaudi di comportarsi ancora peggio. La casa torinese acquistata da Berlusconi ha minacciato i familiari di ritorsioni legali se non avessero smesso di agitarsi pubblicamente. L’intera vicenda potete trovarla con dovizia di particolari sul sito del centro (www.centroimpastato.it). La querela contro Liberazione appare dunque un diversivo, l’espediente che capovolge l’ordine del problema e per giunta suona come una promessa di punizione contro chi ha osato dare voce alle critiche. Del secondo articolo, un corsivo – apparso il 10 novembre del 2011 – sulla prestazione televisiva offerta nella prima puntata di Vieni via con me, non so dirvi molto di più se non che sono assolutamente consapevole d’aver commesso l’imperdonabile crimine di lesa maestà. Ma dovrebbe esser noto che a Liberazione non sono graditi i monarchi, tanto più le monarchie intellettuali. Della questione Saviano ci siamo occupati a partire da quello che Alessandro Dal Lago ha definito «il dispositivo». Una funzione intellettuale che appartiene alla particolare categoria degli imprenditori morali, al prototipo dei creatori di norme, come codificato dal sociologo Howard S. Becker che in Outsiders scrive: «Opera con un’etica assoluta: ciò che vede è veramente e totalmente malvagio senza nessuna riserva e qualsiasi mezzo per eliminarlo è giustificato. Il crociato è fervente e virtuoso, e spesso si considera più giusto e virtuoso degli altri». Il dispositivo Saviano con le sue parole, i suoi libri, le sue prese di posizione, la sua semplice presenza, legittimate dalla postura cristica e l’interpretazione vittimistica del proprio ruolo, garantisce sulla verità morale, sempre più distante da quella storica. Una macchina da guerra mediatica messa a totale disposizione degli imprenditori delle emergenze, dei guerrieri delle battaglie giudiziarie contro il crimine. Il risultato è una trasfigurazione della lotta contro le organizzazioni criminali che rende mistica la legalità, edifica una forma di Stato etico che fa della soluzione giudiziario-militare predicata una medicina peggiore del male. Del personaggio Saviano meglio tacere. Gli preferiamo persone come Vittorio Arrigoni che non si ritenevano depositari di nulla e mettevano in gioco le proprie idee senza imboscarsi dietro potenti gruppi editoriali-finanziari.

© Not Published by arrangement with Roberto Santachiara literary agency

Link
La macchina del fango di Saviano contro i manifestanti del 14 dicembre
Il capo della mobile: “Contro Saviano minacce non riscontrate”
Alessandro Dal Lago:“La sinistra televisiva un berlusconismo senza berlusconi”
Il capo della Mobile di Napoli: “Vi spiego perché ero contrario alla scorta per Roberto Saviano”
Aldo Grasso: “Vieni via con me un po’ come a messa”
Daniele Sepe scrive un rap antiSaviano: “E’ intoccabile più del papa”
Il razzismo anticinese di Saviano. L’Associna protesta
La denuncia del settimanale albanese: “Saviano copia e pure male”
Il paradigma orwelliano impiegato da Roberto Saviano
Saviano in difficolta dopo la polemica su Benedetto Croce
Marta Herling: “Su Croce Saviano inventa storie”
Saviano, prime crepe nel fronte giustizialista che lo sostiene

Ma dove vuole portarci Saviano
Il ruolo di Saviano. Considerazioni dopo la partecipazione a “Vieni via con me”
Pg Battista: “Come ragalare un eroe agli avversari. Gli errori della destra nel caso Saviano”
Non c’è verità storica: il Centro Peppino Impastato diffida l’ultimo libro di Roberto Saviano
Diffida e atto di messa in mora. Rettifica libro “La parola contro la camorra” di Roberto Saviano
Castelvolturno, posata una stele per ricordare la strage di camorra ma Saviano non c’era e il sindaco era contro
Alla destra postfascista Saviano piace da morire
Populismo penale

Il diritto di criticare l’icona Saviano
La libertà negata di criticare Saviano
Saviano, l’idolo infranto
Pagliuzze, travi ed eroi
Attenti, Saviano è di destra, criticarlo serve alla sinistra

Buttafuoco, “Saviano agita valori e codici di destra, non regaliamo alla sinistra”


Croce e le fonti autorevoli di Saviano. 
Ecco perchè il caso non è affatto chiuso

La tutela della memoria e dell’immagine di Benedetto Croce e della sua famiglia. Sono queste le ragioni che 
muovono le contestazioni della signora Marta Herling a Roberto Saviano sulla ricostruzione da lui proposta – nel corso di una delle puntate televisive di “Vieni via con me” e del successivo libro edito da Feltrinelli – delle circostanze che portarono al salvataggio del futuro filosofo napoletano subito dopo il terremoto di Casamicciola.
Esiste tuttavia un secondo aspetto, a mio avviso ancora più rilevante, che 
investe il metodo e l’uso delle fonti. E’ qui che Saviano dimostra di 
non esserre all’altezza delle ambizioni. Per uno che vorrebbe correggere 
le “bozze di Dio”, l’errore è grossolano. Le fonti si citano in modo completo e si verificano. Le 100 mila lire che il padre del giovane Croce avrebbe consigliato al figlio di promettere ai soccorritori per farsi tirare fuori dalle macerie prima degli altri, sono un esempio. Il Papa dell’epoca, Leone XIII (siamo nel 1883), stanziò a nome del Vaticano 20 mila lire per venire in soccorso dei terremotati. E’ evidente che la cifra indicata nelle fonti di Saviano non tiene. C’è un errore macroscopico. Non solo, ma la storia di De Balzo, citata come fonte solo in seconda battuta da Saviano, dopo aver evocato all’inizio Ugo Pirro, che a sua volta citava un cronista anonimo, non porta elementi nuovi in grado di confutare la versione dell’autobiografia di Croce.
Ma a tutto voler concedere, un narratore onesto avrebbe quanto meno fatto riferimento alla controversia delle fonti, citandole tutte per intero. Il punto è questo: si può anche romanzare una vicenda riprendendo la fonte narrativamente più efficace. Basta precisarlo senza pretendere di voler in questo modo raccontare la versione storicamente più fedele.
Ancora una volta si ripropone l’ambiguità originaria del dispositivo narrativo di Saviano, già contestato in “Gomorra”.
Aggiungo che il tema vero che sottende questa polemica è quello del rapporto col passato. Per Saviano, e l’apparato che lo sostiene, si tratta di amministrare una sorta di monopolio del passato sottraendosi ai criteri di verifica e confutazione esistenti nella comunità storico-scentifica.
Esiste un’altra concezioe che ritiene l’approccio al passato un processo, una costruzione plurale che risponde a criteri di verifica pubblica.
Per usare dei paradigmi semplificatori: da una parte si propone una verità di tipo orwelliano, come fa Saviano; dall’altra una verità sul modello galileiano.


L’opinione del direttore del «Corriere del Mezzogiorno»

«La nipote del filosofo pone questioni rilevanti a cui Saviano non risponde. Le sue fonti sono due anonimi»

Marco Demarco
Corriere del Mezzogiorno 15 marzo 2011

Se il mondo si dovesse dividere in due, da una parte gli amici di Saviano e dall’altra i nemici, io non avrei dubbi: come ho già detto mille volte, starei con i primi. Ma vivaddio non siamo ancora a questo punto e dunque mi sento sciolto da un simile dualismo. Sto con Saviano spesso, anzi spessissimo, specialmente quando guida la rivolta civile contro i poteri criminali; ma non sempre. Sulla storia di Croce, tanto per esser chiari, io sono più vicino alle posizioni di Marta Herling che alle sue. Per la semplice ragione che, proprio sulle colonne di questo giornale, Marta Herling ha sollevato due questioni non irrilevanti.
La prima. Perché romanzare la morte della famiglia Croce nel terremoto di Casamicciola del luglio 1883, quando quell’evento era stato già dettagliatamente descritto dall’unico testimone oculare, e cioè dallo stesso Croce? Insomma, perché Saviano si è fidato più di altri che di Croce stesso? È la domanda che lunedì sera, dal Tg1, gli ha rivolto anche il vicedirettore Genny Sangiuliano. La seconda. Perché prendere per buona la storia delle centomila lire offerte chi avrebbe tirato fuori il giovane Croce dalle macerie? La prima questione riguarda la narrazione in sé, suo rapporto con la realtà, se sia giusto o meno arrotondare gli eventi in modo da colpire di più il lettore: da «accileccare» avrebbe detto Gadda. Su questo, Marta Herling ha esposto i suoi dubbi, ma Saviano non le ha risposto. La seconda questione riguarda invece l’uso delle fonti. Saviano, intervistato da Mentana, dice che quel particolare sulle centomila lire offerte tra le macerie e nel vivo di una ferita personale e collettiva, non è una sua invenzione, avendolo tratto da un articolo di Ugo Pirro, scrittore e sceneggiatore autorevolissimo, apparso sul numero di Oggi del 13 aprile 1950. Il che è assolutamente vero, come i lettori del Corriere del Mezzogiorno ben sanno, giacché è stato proprio su queste colonne che Giancristiano Desiderio ha rivelato dove Saviano avesse attinto per il suo racconto.
Almeno su questo punto, dunque, si ammetterà che la lezioncina di Saviano sulla scorrettezza dei giornalisti a tutti può essere rivolta tranne che a noi. Sta di fatto, però, che lo stesso Pirro riporta quel particolare alla stregua di una voce e la fa risalire a un giornalista anonimo che al tempo del terremoto di Casamicciola girava tra gli ospedali e intervistava i feriti. La stessa voce, a quanto si capisce, riferita in un libro intitolato Disastri, Ischia come Giava, edito nel 1883, di autore anonimo. Due anonimi: il giornalista citato da Pirro e l’autore del libro. Probabilmente la stessa persona. Francamente, un po’ poco per non nutrire qualche dubbio. Tanto più che lo stesso Pirro ricorda che, per le vittime di quel terremoto, il Papa «stanziò ventimila lire per gli aiuti più urgenti». Ripeto: ventimila, e parliamo di Leone XIII, il cui nome è legato alla Rerum novarum alla dottrina sociale della Chiesa. Possibile che il papà di Benedetto abbia invece indotto il figlio a offrire cinque volte di più e solo per salvare se stesso? Lo ha detto Pirro, dice Saviano. E allora? E poi, perché offrire tanto? Forse per indurre i soccorritori a salvare il giovane Benedetto prima di altri? Capite quale assurdo dubbio morale pone quel particolare apparentemente così irrilevante? E capisce, Saviano, perché Marta Herling sia rimasta tanto colpita?
Ma Saviano afferma anche che la storia delle centomila lire non è stata mai smentita da Croce stesso, che tra l’altro è morto due anni dopo la pubblicazione dell’articolo di Pirro, cioè nel 1952. Attenzione! Non averlo smentito, con tutte le cose che al tempo si scrivevano sul filosofo, vuol dire farlo passare per vero? E se così fosse, come mai Croce non ne ha mai parlato, nei libri e nelle interviste, ogni qualvolta gli è capitato di tornare su quella tragica vicenda personale? Si è forse autocensurato? E magari lo avrà fatto con la consapevolezza di chi si portava dentro l’atroce ambiguità morale di quell’atteggiamento? Lo dico in modo molto semplice. A me colpisce che Saviano non abbia avuto la sensibilità di capire quale nervo il suo racconto andava a scoprire. E colpisce anche che non si sia rivolto alla Herling con le sole parole che andavano pronunciate. E cioè: cara signora Herling, le ho spiegato le mie ragioni, ma le chiedo scusa se, al di là di esse, il mio racconto abbia potuto ingenerare qualche equivoco e se questo equivoco l’abbia irreparabilmente offesa. E invece no. Saviano ha messo tutti sullo stesso piano: la Herling, i giornalisti che hanno scrupolosamente fatto il loro mestiere e quelli che, come si dice, ci hanno invece «marciato» per partito preso. Ma ripeto: il mondo non si taglia a fette. E meno male.
P. S.— Saviano e Mentana si sono meravigliati per il fatto che i giornalisti abbiano scritto di questa vicenda senza mai consultare lo stesso Saviano. Ma come? Possibile? Prima che qualcuno avverta puzza di fango, mi chiedo: ma Saviano ha forse consultato la Herling prima di scrivere su Croce? Non mi pare.

Fonte: Corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli

Link
Saviano e il brigatista
Saviano in difficolta dopo la polemica su Benedetto Croce
Marta Herling: “Su Croce Saviano inventa storie”
Saviano, prime crepe nel fronte giustizialista che lo sostiene

Ma dove vuole portarci Saviano
Il ruolo di Saviano. Considerazioni dopo la partecipazione a “Vieni via con me”
Pg Battista: “Come ragalare un eroe agli avversari. Gli errori della destra nel caso Saviano”
Non c’è verità storica: il Centro Peppino Impastato diffida l’ultimo libro di Roberto Saviano
Diffida e atto di messa in mora. Rettifica libro “La parola contro la camorra” di Roberto Saviano
Castelvolturno, posata una stele per ricordare la strage di camorra ma Saviano non c’era e il sindaco era contro
Alla destra postfascista Saviano piace da morire
Populismo penale

Il diritto di criticare l’icona Saviano
La libertà negata di criticare Saviano
Saviano, l’idolo infranto
Pagliuzze, travi ed eroi
Attenti, Saviano è di destra, criticarlo serve alla sinistra

Buttafuoco, “Saviano agita valori e codici di destra, non regaliamo alla sinistra”