Rivelazioni – La sconcertante nota informativa della Polizia di prevenzione che sdogana i neofascisti di CasaPound
Una organizzazione di bravi ragazzi molto disciplinatii, con «uno stile di militanza fattivo e dinamico ma rigoroso nel rispetto delle gerarchie interne» sospinti dal dichiarato obiettivo «di sostenere una rivalutazione degli aspetti innovativi e di promozione sociale del ventennio». Chi scrive non è uno storico ma un funzionario della polizia di Stato. Si tratta di un documento (protocollo N.224/SIG. DIV 2/Sez.2/4333) della Direzione centrale della Polizia di prevenzione che porta la data dell’11 aprile 2015, con sigla in calce del direttore centrale, prefetto Mario Papa, allegato dal legale di CasaPound Italia in una causa civile che oppone la figlia di Erza Pound, signora Mary Pound vedova de Rachewiltz, a Gianluca Iannone. La signora Pound contestava l’uso del nome del poeta da parte dei «fascisti del terzo millennio», allora il legale di CasaPound ha chiesto al giudice di acquisire informazioni sulla natura del gruppo politico al ministero dell’Interno. Dall’ordinanza emessa dalla giudice Bianchini è scaturita la nota della Polizia di prevenzione che i fascisti di via Napoleone III stanno tentando di utilizzare come un biglietto da visita anche in altre cause.
Il testo della informativa che potete leggere in integrale qui sotto fa ricorso ad un’abile strategia linguistica che tende ad eufemizzare i passaggi più scomodi. Non viene opportunamente mai citato il termine fascismo, né tantomeno si precisa che fu una dittatura, al suo posto si usa un sinonimo neutralizzante come «ventennio», di cui si da acriticamente atto della possibilità di rivalutarne «gli aspetti innovativi di promozione sociale».
La prosa, del tutto inusuale per una nota informativa degli organismi di Polizia, lascia trasparire una chiara empatia, quasi una sorta di compiacimento che rasenta l’agiografia quando si valorizzano le capacità politiche del gruppo «facilitato dalla concomitante crisi delle compagini della destra radicale e dalla creazione di ampi spazi politici che Casa Pound si è dimostrata pronta ad occupare». Il passaggio successivo è piaggeria pura: «Il risultato è stato conseguito anche attraverso l’organizzazione di innumerevoli convegni e dibattiti cui sono frequentemente intervenuti esponenti politici, della cultura e del giornalismo anche di diverso orientamento politico».
Ma il meglio deve ancora venire. L’autore del testo nel periodo che segue valorizza la «progettualità» chiaramente xenofoba del gruppo «tesa al conseguimento di un’affermazione del sodalizio al di là dei rigidi schemi propri delle compagini d’area», come se in passato tra le “compagini d’area“ non ci fossero state alleanze politico-elettorali con il centrodestra. Prova ne sarebbero – prosegue la nota – «le recenti intese con la Lega Nord, di cui si condividono le istanze di sicurezza e l’opposizione alle politiche immigratorie, con la creazione della sigla “Sovranità – Prima gli Italiani” a sostegno della campagna elettorale del leader leghista».
Dal punto di vista politico è questo il fulcro della informativa, redatta in prossimità di quello che i giornali hanno definito il «patto del Brancaccio», al momento della venuta di Salvini a Roma.
Precauzioni semantiche di un funzionario che guarda avanti e non vuole avere guai in futuro? Operazione di restyling preparata a tavolino?
Forse qualcuno tra i banchi del parlamento e sui giornali dovrebbe chiedere al ministro dell’Interno Alfano una spiegazione in proposito.
Non è finita qui!
La nota informativa ci riserva altre sorprese quando l’estensore, quasi immerso in un brodo di giuggiole, descrive «l’impegno primario» di CasaPound volto alla «tutela delle fasce deboli attraverso la richiesta alle amministrazioni locali di assegnazione di immobili alle famiglie indigenti, l’occupazione di immobili in disuso, la segnalazione dello stato di degrado di strutture pubbliche per sollecitare la riqualificazione e la promozione del progetto “Mutuo Sociale”».
E se non li conoscete: «L’attenzione del sodalizio è stata rivolta anche alla lotta al precariato ed alla difesa dell’occupazione attraverso l’appoggio ai lavoratori impegnati in vertenze occupazionali e le proteste contro le privatizzazioni delle aziende pubbliche».
La strategia dissimulativa e imitativa di CasaPound viene descritta nella nota come un ampliamento delle tematiche di intervento «in passato predominio esclusivo della contrapposta area politica, quali il sovraffollamento delle carceri, o la promozione di campagne animaliste contro la vivisezione e l’utilizzo di animali in spettacoli circensi» e per finire ci sono pure gli aspetti ludici. Davvero non manca nulla!
A questo punto vorremmo sapere se esiste una analoga nota informativa che descrive con le stesse modalità linguistiche la pluiridecennale attività dei movimenti di estrema sinistra e dei Centri sociali in favore della lotta per la casa, delle occupazioni di immobili abbandonati, contro la speculazione edilizia, contro tutte le forme di precariato, le carceri, ecc. Attività duramente perseguite con accuse addirittura di racket e richiamo di reati associativi. E sì, perché comunque la si voglia mettere dal punto di vista del codice penale si tratta di azioni illegali, che tuttavia se commesse da CasaPound perdono questa connotazione per divenire unicamente esempi di azioni verso il prossimo.
E la violenza? Le azioni squadristiche, le spedizioni punitive che hanno visto coinvolti non solo i militanti ma soprattutto i quadri dirigenti, centrali e locali, del gruppo?
Anche qui la tecnica narrativa è quella di ridimensionare e scindere le responsabilità individuali da quelle organizzative. In sostanza CasaPound, associazione «rigorosa nel rispetto delle gerarchie interne», non c’entra. La colpa è di alcuni suoi militanti indisciplinati (e le gerarchie?), in particolare quelli infiltrati «nel mondo delle tifoserie ultras calcistiche, ambito in cui l’elemento identitario si coniuga a quello sportivo divenendo spesso il pretesto per azoni violente nei confronti di esponenti di opposta ideologia anche fuori dagli stadi».
Dunque «anche fuori dagli stadi», il lapsus è sfuggito alla penna dell’estensore che subito corre ai ripari: «il sodalizio organizza con regolarità, sull’intero territorio nazionale, iniziative propagandistiche e manifestazioni nel rispetto della normativa vigente e senza dar luogo ad illegalità e turbative dell’ordine pubblico».
Purtroppo ci sono delle mele marce che rovinano il cesto e l’estensore del testo deve rilevare «che all’interno del movimento militano elementi inclini all’uso della violenza, intesa come strumento ordinario di confronto e di affermazione politica oltre che quale metodo per risolvere controversie di qualsiasi natura».
Come possano degli individui, che le cronache spesso ci raccontano posti ai vertici delle strutture centrali e locali, agire così indisciplinatamente all’interno di una organizzazione descritta per la sua apicalità, e «rispetto delle gerarchie interne», vorremmo capirlo?
La contraddizione nel testo è palese ed esplode perché tutti i tentativi di eufemizzazione alla fine devono confrontarsi con i fatti. E i fatti urlano!



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Intanto piccole bande armate crescono nelle nostre province sotto le mentite spoglie delle ronde. Strutture che, di fatto, mettono in discussione il monopolio della forza legittima detenuto dallo Stato. Per tacitare le polemiche, il Viminale ha reso noto il regolamento d’attuazione che dovrà disciplinare l’iscrizione delle «ronde» nei registri prefettizi, una volta approvato dal Parlamento in via definitiva il disegno di legge sulla sicurezza. «Le associazioni dei volontari non potranno utilizzare simboli e nomi che riportano a partiti politici». Proibito anche l’uso delle armi e di altri strumenti di coercizione come corde o manette, manganelli, spray urticanti e «qualsiasi oggetto atto a offendere». Le persone con precedenti penali non potranno far parte delle squadre di volontari, al contrario sarà favorito il reclutamento di guardie giurate ed ex appartenenti alle forze dell’ordine. Secondo il ministro dell’Interno Maroni, questo regolamento metterà «fuorilegge» tutti quei gruppi, come sono appunto le «ronde nere», che mirano a sostituirsi alle forze dell’ordine. I componenti delle squadre, composte di un minimo di tre a un massimo di cinque persone, «dovranno limitarsi alla segnalazione» delle situazioni di pericolo e dunque saranno dotati di telefonini oppure radiotrasmittenti collegate direttamente con le centrali operative. Insomma niente intervento diretto «sia esso per l’identificazione o il controllo delle persone». Il regolamento, tuttavia, non risolve un problema di fondo: in caso di «flagranza di reato» l’articolo 383 del codice di procedura penale autorizza anche i privati a procedere all’arresto. Forti di questa norma, le ronde potranno comunque intervenire ed è evidente la differenza tra l’eventuale soccorso, del tutto casuale, di un cittadino che viene a trovarsi di fronte ad un evento-reato, e quello di squadre di volontari che girano appositamente per le strade. Per il segretario dell’Associazione nazionale funzionari di polizia Enzo Marco Letizia, è un «azzardo» consentire ai possessori di porto d’arma di partecipare alle ronde. «Secondo indiscrezioni – osserva Letizia – il regolamento attuativo consente l’iscrizione nei registri prefettizi anche a chi detiene o abbia un porto d’arma. Il legislatore azzarda davvero troppo ad avere fiducia nei possessori di un’arma, poiché forte sarà la tentazione, a cui i più deboli non sapranno resistere, di portarsi l’arma nel controllare il territorio». Nelle case degli italiani, ricorda sempre il segretario dell’Anfp, «ci sono circa 10 milioni di armi: siamo molto preoccupati, anche perché le norme sulle verifiche psichiche dei detentori di un’arma da fuoco sono sostanzialmente fumose e inefficaci, come dimostra la storia italiana degli omicidi e delle stragi della follia». Altro aspetto inquietante è quello del finanziamento. Il regolamento vieta elargizioni pubbliche, il che non rassicura affatto perché le ronde potrebbero finire al soldo di consorzi creati da commercianti e imprenditori locali, o di potentati e mafie del posto. Ancora peggio, come hanno ricordato i sindacati di polizia, «il vero rischio è legittimare azioni incontrollabili di associazioni mafiose e camorristiche così come quelle di cittadini esaltati». Alle ronde nere ha già risposto la brigata ebraica, attraverso il responsabile delle politiche giovanili del Pri Vito Kahlun, pronta con le controronde. Creare «strutture unitarie di vigilanza operaia e popolare sui territori» per contrastare i nascenti gruppi paramilitari della destra, è invece la proposta lanciata da Marco Ferrando del Pcl. Tira un’aria da repubblica di Weimar.
A Verona la giunta comunale ha istituito gli «assistenti civici», ad Udine la Lega ha annunciato la creazione di ronde entro il mese. A Milano come a Napoli agiscono da tempo i City angels e i Blue berets. A Torino e Ferrara giovani di An sono scesi in strada, mentre a Trieste Fiamma tricolore sta organizzando ronde intitolate alla memoria di Ettore Muti. A Bologna ci sono state iniziative episodiche di An, Forza nuova e Lega. A Forlì la Lega ha creato delle «ronde civiche». A Roma invece è molto attiva la Destra di Storace che ha sguinsagliato i propri militanti e annunciato la nascita di «ronde rosa» nel quartiere dell’Eur. Il più delle volte si tratta d’effetti d’annuncio, scimmiottamenti mediatici con pettorine colorate di fronte a tv e fotografi, ma la tendenza a strutturare “squadrette”, camuffando un rinnovato squadrismo sotto le vesti delle milizie cittadine volontarie, è ormai avviata, al punto che anche La Russa, il ministro della Difesa che inizialmente aveva dato voce alle perplessità dell’arma dei carabinieri, ora si è detto favorevole. Anche lui prevede che i civili possano far parte dei cosiddetti «pattuglioni», ovvero una militarizzazione del territorio allargato non solo alla presenza di polizia e carabinieri, ma all’esercito, che già sorveglia i semafori, e alla polizia penitenziaria, guardia di finanza, forestale (e perché no anche ai guardiacaccia e guardiapesca?). Un’Italia, insomma, che assomigli sempre più al piazzale di una caserma con adunate e alzabandiera mattutini.
riuscita nelle politiche dell’aprile scorso, quando l’Idv ha raggiunto il 4,4% su scala nazionale, con punte molto significative nel feudo storico dell’ex pm, il Molise, dove il logo di famiglia ha conquistato il 27%. Un risultato di gran lunga superiore a quello del Pd, fermo al 17%. In Abruzzo è arrivato al 7,1% nelle liste del senato mentre gli ultimi sondaggi delineano addirittura la possibilità di un raddoppio del bottino elettorale. Su scala nazionale tutti gli indicatori attuali segnalano una ulteriore progressione, che alcuni quantificano intorno a una forbice che oscilla tra il 6 e l’8%. La scomparsa della sinistra radicale, marxista e antagonista dalla rappresentanza parlamentare ha ulteriormente amplificato la portata politica di questo successo, garantendo a Di Pietro l’apertura imprevista di uno spazio politico enorme. La politica ha orrore del vuoto e così Di Pietro è subito corso a riempirlo. Mera logica del mercato politico, tanto più quando l’avventura dipietrista è ispirata da ragioni d’imprenditoria politica ovvero di chi costruisce la propria offerta sulla base della domanda che gli si pone davanti, dove idealità, valori, cultura, concezione del mondo, progetti globali di società non esistono o hanno un profilo molto basso e strumentale. E bene Di Pietro non si è lasciato sfuggire questa opportunità e così l’incubo del populismo giustizialista s’addensa sui territori un tempo occupati dai partiti del movimento operaio.