La grammatica mafiosa del giornalismo poliziesco: in questo articolo apparso su Repubblica del 24 febbraio 2024, a firma del noto Lirio Abbate, sono assenti i requisiti minimi richiesti nelle scuole di giornalismo per la redazione di un pezzo di cronaca nel quale si deve rispondere alla famose cinque domande: Chi?, Che cosa? Quando?, Dove?, Perché? Non viene citato un solo episodio, non sono menzionati fatti, circostanze, luoghi, nomi di persone, sigle di organizzazioni o sedi politiche. Nulla. Solo illazioni fumose, narrazione ansiogena, diffusione di allarmi, il tutto raccontato con una prosa obliqua. Il succo è la criminalizzazione preventiva del dissenso, dell’oppposizione sociale o peggio il farsi strumento di una provocazione per poi accendere i terminali delle intercettazioni telefoniche e ambientali e infine tirare la rete delle chiacchiere. Quando il giornalista si fa arma dell’inquisitore e la stampa serve a costruire indagini e criminalizzare comportamenti sociali.
La morte di Vincenzo Ruggiero, «anticriminologo» come amava definirsi, lascia un vuoto importante. La collaborazione col bollettino Senza galere e la rivista Controinformazione l’avevano spinto a lasciare l’Italia e approdare a Londra, per tenersi alla larga dalle inchieste giudiziarie che a metà degli anni 70 colpirono anche gli organi legali di informazione e dibattito, ritenuti dai magistrati «strutture di cerniera» tra le formazioni armate e il resto del movimento rivoluzionario di quegli anni. A Londra era approdato alla Middlesex University come professore di sociologia. Con Ermanno Gallo, anche lui tra i redattori incarcerati di Controinformazione, aveva dato vita negli anni 80 a un fertile sodalizio intellettuale, con volumi come Gli ostelli dello sciamano, alle radice della tossicomania, edizioni senza galere 1980, Il carcere in Europa, Bertani 1983 e ancora Il carcere immateriale. La detenzione come fabbrica di handicap, uscito nel 1989 per le edizioni Sonda. L’avevo conosciuto a Parigi verso la fine degli anni 90 a casa di Roberto Silvi, anche lui esiliato e ormai malato, suo compagno nell’impresa di Senza galere. Quando poteva Vincenzo faceva tappa volentieri a casa di Roberto per ritrovare il suo amico e rivedere gli altri compagni dell’esilio. Era ormai un professore affermato e dell’esilio di quei militanti fuggiti alla repressione dell’emergenza giudiziaria degli anni 70 scrisse con parole da studioso, “Condannati alla normalità”. Autore di pubblicazioni importanti nelle quali esercitava una critica spietata del pensiero criminologico, ritenuto una disciplina «ormai esausta» e per questo alla disperata ricerca di nuovi temi per rilanciarsi, come la «vittimologia», Il delitto, la legge, la pena. La contro-idea abolizionista, edizioni gruppo Abele 2011. Ha scritto pagine decisive sull’economia come crimine, non sui crimini economici come la vulgata corrente etichetta l’economia illegale, ma sull’economia legale, l’etica degli affari, «le condotte di routine dei mercati che sono suscettibili di ogni tipo di irruzione illegittima». Un filone di pensiero fecondo che produsse numerosi lavori: Economie sporche, Bollati Boringhieri 1996; Dei delitti dei deboli e dei potenti. Esercizi di anticriminologia, Bollati Boringhieri 1999; I crimini dell’economia. Una lettura criminologica del pensiero economico, Feltrinelli 2013; Perché i potenti delinquono, Feltrinelli 2015. Lavori nei quali Ruggiero ribalta completamente lo sguardo sul pensiero economico, dimostrando come ciascuna delle grandi scuole economiche giustifica, se non addirittura incoraggi, i delitti dei potenti che sono il risultato dell’iniziativa economica. Ricordo con nostalgia le conversazioni avute con lui. Gli avevo chiesto di essere uno dei miei relatori per il dottorato sui «momenti costituenti», grandi assenti nelle teorie politico-giuridiche. Volevo indagare i momenti di rottura e fondazione nei sistemi politici, pensati quasi sempre nella loro condizione di normalità. Una normalità che rifugge l’inizio. Poi quella tesi non c’è più stata, progetto di studi bruscamente interrotto dalla «riconsegna straordinaria» alle autorità italiane. Uscito dal carcere non ho più avuto modo di incontrarlo, sono riuscito però una volta a chiedergli un articolo per uno speciale, «Cemerto e castigo», uscito su di Liberazione, quotidiano dove lavoravo durante la semilibertà, L’abolizionismo penale è possibile ora e qui. Uno dei suoi libri che ho apprezzato di più, forse perché letto in una cella del Mammagialla, è stato Crimini dell’immaginazione. Devianza e letteratura, il Saggiatore 2003, dove Ruggiero proponeva una rilettura socio-criminologica dei grandi classici dimostrando che non c’era miglior realtà della finzione: attraverso Baudelaire e London raccontava l’emergere dei mercati illeciti e del consumo delle droghe, in Moby Dick si scoprivano i crimini dell’economia, con Twain la corruzione nella città, in Hugo e Mirabeau la realtà del carcere, in Manzoni la modernità della sofferenza legale, i processi inquisitori… Un’altro suo lavoro importante è stato La violenza politica, uscito per Laterza nel 2006 e Movimenti nella città, Bollati 2000, che propone una visione urbanistica del conflitto: la città come risultato dell’azione collettiva. Anche se Vincenzo Ruggiero non c’è più, ci restano i suoi libri, per pensare, agire, costruire. Leggeteli!
Giulio Petrilli ci ha lasciato prematuramente questo notte a causa di una embolia polmonare. Ricoverato d’urgenza non ce l’ha fatta. Corpo possente da vero rugbista lo ricordiamo per la sua incredibile umanità, per la generosià debordante. Nonostante l’assoluzione finale, i sei anni di detenzione trascorsi nelle carceri speciali con l’accusa di partecipazione a banda armata l’avevano segnato. In prigione, nel 1984, era stato anche duramente picchiato dalla polizia penitenziaria dopo una fermata all’aria di protesta fatta con si suoi compagni per denunciare le condizioni di detenzione. Una volta uscito aveva speso tutte le sue energie nelle battaglie contro il carcere, la detenzione politica e per l’amministia, contro la cultura politica giustizialista che imperversava e imperversa in quel po’ che resta della sinistra, contro il populismo penale, pagando anche di persona, affrontando polemiche velenose e attacchi personali. Si è battuto fino all’ultimo contro il 41 bis, restando vicino e conducendo visite ispettive all’interno di queste sezioni speciali. Viveva come un tormento personale la reclusione di questi militanti, le loro condizioni di isolamento. Partendo dalla sua esperienza personale raccontata nell’articolo qui sotto, scritto il 3 ottobre del 2012, Giulio aveva avviato una lotta senza quartiere contro l’ingiusta detenzione. Nonostate l’assoluzione i giudici avevano rifiutato di risarcirgli i sei anni trascorsi nelle carceri speciali perché – avevano spiegato – il loro errore iniziale era stato indotto dalla sue pessime frequentazioni. Vicenda kafkiana che aveva acceso in lui un fuoco inesauribile che lo spingeva a battersi contro ogni forma di reclusione, di internamento, contro l’esilio, ma che al tempo stesso lo bruciava consumandolo. Ho conosciuto Giulio sulle strade intorno a L’Aquila quando mi recavo in Abruzzo durante i miei primi permessi. Ricordo la volta, poco dopo il terremoto, in cui mi portò nella zona rossa per farmi conoscere le ferite terribili inferte a quella città. E poi le tante telefonate, le discussioni, la sua voglia continua di riaprire battaglie come quella sull’amnistia. Giulio non si arrendeva mai. Ciao Giulio!
Dalla filosofia del diritto alla teologia giudiziaria. L’istituto del risarcimento per ingiusta detenzione è disatteso nella gran parte dei casi da una magistratura aggrappata al dogma della propria infallibilità
di Paolo Persichetti 3 ottobre 2012
Soltanto un terzo delle richieste di risarcimento per ingiusta detenzione trovano soddisfazione. E’ quanto emerge dagli ultimi dati forniti dall’Eurispes e dall’Unione delle camere penali italiane. Su una media di 2500 domande annuali (nel 2011 ne sono state presentate 2369) appena 800 vengono accolte. Il motivo è semplice e al tempo stesso sconcertante: l’Italia è l’unico paese in Europa dove l’istituto della riparazione per ingiusta detenzione è regolato da una clausola, inserita nel comma 1 dell’articolo 314 cpp, che esclude il risarcimento nei casi in cui il ricorrente «abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave». Secondo la norma per avere diritto al risarcimento non è sufficiente avere dalla propria parte una sentenza d’assoluzione irrevocabile, secondo una delle formule previste dal codice: il fatto non sussiste, oppure non è stato commesso o non costituisce reato o non è previsto dalla legge come tale. Non basta nemmeno che la giustizia abbia riconosciuto l’illegittimità della misura cautelare. Chi ha ingiustamente subito il carcere deve dimostrare di non aver tenuto un comportamento tale da aver tratto in inganno i magistrati con atteggiamenti omissivi o perché non si è avvalso delle funzioni difensive, che pure restano un diritto fondamentale della persona sottoposta a indagini o imputata, ma anche sotto il profilo delle proprie frequentazioni. Ciò vuol dire che le sentenze assolutorie non sono valutate come tali ma sottoposte ad un nuovo processo che conduce ad esaminare e giudicare sotto il profilo morale la personalità di chi è stato assolto, introducendo un criterio discriminatorio che inanella una serie impressionante di violazioni: dal ne bis in idem, all’invenzione di una sorta di quarto grado di giudizio capace di resuscitare la colpa al di là di ogni assoluzione fino all’inversione dell’onere della prova. Nel giugno scorso, la quinta sezione penale della corte d’appello di Milano ha rigettato l’istanza di risarcimento per ingiusta detenzione di una persona assolta in via definitiva dopo aver trascorso 6 anni nelle carceri speciali, sostenendo che «nessun diritto alla riparazione spetta a chi, frequentando terroristi, o comunque soggetti appartenenti all’antagonismo politico illegale, abbia colposamente creato l’apparenza di una situazione che non poteva procurare l’intervento dell’Autorità giudiziaria. Poco importa, ai fini che qui interessano, l’esito del giudizio penale. Occorre distinguere – prosegue il collegio – l’operazione logica compiuta dal giudice del processo penale da quella, diversa, del giudice della riparazione. La reciproca autonomia dei due giudizi comporta che una medesima condotta possa essere considerata, dal giudice della riparazione come contributo idoneo ad integrare la causa ostativa del riconoscimento del diritto alla riparazione e, dal giudice del processo penale, elemento non sufficiente ad affermare la responsabilità penale». I magistrati hanno teorizzato un doppio criterio di giudizio: il primo sottoposto alle vigenti leggi processuali; il secondo che riabilita la colpa tipologica è non si cura degli effetti legali dell’assoluzione, che seppure elimina la colpa mantiene il sospetto e soprattutto conserva la responsabilità. Siamo di fronte ad un perenne “diritto del nemico” che trasforma in un accessorio a geometria variabile la presunzione d’innocenza recepita dall’art. 27 della costituzione. Chi viene assolto per reati avvenuti in luoghi dove è presente la criminalità organizzata, diventa responsabile del fatto di aver frequentato contesti che brulicano di pregiudicati; chi è assolto da reati di eversione, se ha frequentato luoghi di conflitto, recepito culture antagoniste, anticonformiste e irregolari secondo la norma politico-morale dominante, è ritenuto responsabile di una corrività ambientale che ha indotto la coscienza del giudice a sbagliare. E’ una colpa di natura etico-morale quella che qui viene scovata e sanzionata con il mancato risarcimento. Non sfugge che attraverso questo dogma dell’infallibilità assoluta del giudice, come fu per il concilio Vaticano I° che nel 1870 introdusse l’infallibilità ex cathedra del pontefice, si opera il passaggio dalla filosofia del diritto alla teologia giudiziaria. Un’arrogante pretesa che spiega l’errore ricorrendo all’alibi della “colpa apparente”, giustificata non da una cattiva valutazione degli elementi probabotori a carico o discarico ma dalla doppiezza e dall’ambiguità della persona sottoposta a indagine o giudizio, alla stregua del maligno che con le sue arti malefiche confonde e trae il mondo in inganno. Sarebbe tempo di riportare la giustizia dalle sfere della santità celeste ad una più terrestre dimensione profana.
Cosa è stato il berlusconismo? Come è riuscito ad imporre la sua egemonia? «Goffamente astuto, furbescamente ingenuo, balordamente sublime, superstizione calcolata, farsa poetica, anacronismo genialmente sciocco, buffonata della storia mondiale, geroglifico inesplicabile», l’apparente inconsistenza del personaggio berlusconiano si è rivelato in realtà un suo punto di forza: «Appunto perché non era nulla, egli poteva significare tutto», come capitò di scrivere a Marx a proposito di un altro «uomo della provvidenza», ed essere così reinventato da ogni ceto sociale o individuo a propria immagine e somiglianza
Paolo Persichetti, l’Unità 13 giugno 2023
Fin dal momento della sua entrata diretta in politica, nel lontano 1994, il dispositivo Berlusconi ha agito come un grande diversivo, un potentissimo magnete capace di captare su di sé passioni contrapposte. Una sorta d’incantesimo che ha permesso al padrone della televisione commerciale di collocarsi da subito al centro della scena scompaginando gli schieramenti, rimescolando le carte, sparigliando il tavolo da gioco. Forse solo riconoscendo questa sua irresistibile capacità illusionistica si può riuscire a spiegare anche l’essenza contraddittoria, quella combinazione di contrari che è l’antiberlusconismo. Solo in questo modo si riesce a comprendere perché personaggi della destra storica, come Indro Montanelli o populisti di destra come Antonio Di Pietro siano diventati dei paladini del popolo della sinistra, oppure un damerino reazionario come Marco Travaglio abbia potuto ispirare prima le correnti giustizialiste della sinistra, dai girotondi al popolo viola, e poi i Cinque stelle. Sicuramente Berlusconi ha saputo intercettare e interpretare a modo suo quel nuovo spirito del capitalismo descritto da Luc Boltansky e Éve Chiappello in un volume pubblicato da Gallimard nel 2000 e arrivato in Italia solo nel 2014 con Mimesis. Versione italiana di quella nuova etica della valorizzazione del capitale che, secondo i due sociologi, dopo l’originaria fase puritana e la successiva età della programmazione e della razionalità fordista, ha trovato nuova fonte d’ispirazione e legittimazione in una parte delle critiche rivolte al modo di produzione capitalista durante la contestazione degli anni Settanta. La critica al taylorismo fordista, all’alienazione seriale del lavoro, ai rapporti di società rigidi e gerarchizzati e alla società dello spettacolo, sono state assorbite e metabolizzate fino a fare della creatività e della flessibilità i tratti salienti del nuovo sistema dell’economia dei flussi, del valore aggiunto, del lavoro immateriale incamerato nel prodotto finito. Inventiva, piacere e pazzia – sempre secondo l’analisi di Boltansky e Chiappello – sono diventati ingredienti del successo capitalista molto più dei costipati valori del lavoro, della preghiera e del risparmio che ispiravano gli albori del capitalismo ma anche quella sorta di calvinismo del valore lavoro di cui era intriso il togliattismo. Se l’immaginazione non è mai arrivata al potere, sicuramente ha trovato posto in piazza Affari. Dimostrazione della capacità dinamica e innovativa dell’«imprenditoria deviante», secondo una categoria forgiata dalla sociologia criminale. L’ambivalenza del comportamento berlusconiano, condotta all’interno e all’esterno dell’ordine stabilito, ha permesso di condurre esperimenti, d’esplorare possibilità anche illegittime. Risorsa necessaria affinché l’iniziativa economica innovativa potesse avere luogo. In questo modo l’uomo di Arcore ha mantenuto «una distinta leggerezza che ha consentito alle sue imprese, in maniera weberiana, di levarsi al di là del bene e del male», come ha scritto Vincenzo Ruggiero in, Crimini dell’immaginazione. Devianza e letteratura, il Saggiatore, Milano 2005. Il patron della pubblicità con le sue televisioni è stato il volto italiano di questa rivoluzione del capitale. Con la sua abilità nel produrre ideologia è riuscito a sintetizzare anche interessi e spinte sociali diverse ma accomunate da un’ipertrofica rapacità individualista. Venditore di sogni e d’illusioni, spacciatore di marche, dealer di un mondo ridotto al dominio del logo e delle sue imitazioni. Divenuto sistema-mondo, occupata la società, a Berlusconi mancava solo la politica. Non la politica vera. Quella l’aveva sempre fatta, come una volta vantò in una intervista. La sua rete commerciale non era altro che un partito di tipo leninista. L’unico rimasto. Il partito dei professionisti della pubblicità. Una struttura di quadri selezionati, radicati nel territorio e nei distretti economici, con rapporti diffusi e alleanze con le corporazioni, le organizzazioni di categoria e gli imprenditori legali e illegali. Un vero modello d’organizzazione bolscevica della borghesia. Ed difatti, alla fine del 1993, in pochi mesi riuscì a farne la struttura portante di Forza Italia per lanciare l’attacco alla cittadella della politica-istituzionale, all’occupazione della macchina statale. Grazie ad una scientifica attività lobbistica e alle protezioni ottenute da settori influenti della politica, più che alla capacità di stare sul mercato, ha potuto costruire negli anni Ottanta la sua posizione dominante nel settore delle televisioni commerciali e della raccolta pubblicitaria. Ma a spianare la strada al suo ingresso diretto nel mondo dei palazzi romani è stato il tracollo del sistema politico dei partiti provocato dalle inchieste giudiziarie. Quando sulle ceneri della Prima Repubblica rivaleggiavano ormai forme contrapposte di populismo, Berlusconi è riuscito a sconvolgere la scena politica del paese sradicando la tradizione dei partiti di massa già in crisi e imponendo il proprio modello anche ai suoi avversari. In grado di miscelare elementi elitari e plebiscitari, premoderni e ipermoderni, quello berlusconiano è apparso un modello di populismo dove vecchio e nuovo s’integravano. Sorretto dal ritorno all’affermazione della leadership carismatica e provvidenziale, nella quale il potere patrimoniale sostituisce la vecchia legittimità paternalista-patriarcale, il paradigma berlusconiano ha accompagnato l’elogio dell’imprenditorialità diffusa dentro la quale riescono a convivere anche forme arcaiche e bestiali di taylorismo. Il sogno e l’inganno di milioni di piccole imprese, nuova configurazione di un rapporto lavorativo che occulta dietro il mito dell’imprenditorialità individuale le gerarchie di un nuovo modello di sfruttamento. Illusione di un facile accesso al ceto medio e all’arricchimento personale modellato con i valori profusi dalle televisioni commerciali, tra gossip, cronaca nera, veline e reality show. Esaltazione retorica e sognatrice dell’autoaffermazione individuale, della proprietà (tanto più quando questa è insignificante e si riduce ad un’abitazione o un’automobile acquistata contraendo mutui bancari pluridecennali o alla conversione dei propri risparmi in bond e partecipazioni in titoli finanziari). Ideologia che riesce a far convivere con un mirabile gioco di prestigio temi legati alla riscoperta dei valori morali, come patria, famiglia e presunta etica della vita (ostilità verso l’aborto e l’uso delle staminali), insieme ad una sorta di sfrenato “edonismo proprietario”, di ’68 dei padroni (il “bunga bunga”). «Goffamente astuto, furbescamente ingenuo, balordamente sublime, superstizione calcolata, farsa poetica, anacronismo genialmente sciocco, buffonata della storia mondiale, geroglifico inesplicabile», l’apparente inconsistenza del personaggio berlusconiano si è rivelato in realtà un suo punto di forza: «Appunto perché non era nulla, egli poteva significare tutto», come capitò di scrivere a Marx a proposito di un altro «uomo della provvidenza», ed essere così reinventato da ogni ceto sociale o individuo a propria immagine e somiglianza. Tutto ciò come è stato possibile? Quando la società dei lavoratori e dei cittadini volontari è messa fuori gioco, ha risposto Mario Tronti: «la politica diventa il monopolio dei magistrati, dei grandi comunicatori, della finanza, delle lobby, dei salotti. Cessa di essere la sede in cui i progetti di società si affrontano e confrontano e diventa il luogo dell’indifferenza, uno spazio indistinto dove l’apparenza prevale sul contenuto, l’estetica s’impone sulla sostanza». Per questo l’antiberlusconismo giustizialista non solo si è rivelato inefficace ma si è addirittura dimostrato dannoso riverberandosi unicamente come riflesso subalterno del suo acerrimo nemico spianando la strada al governo della destra fascista.
Un appello siglato da intellettuali, giuristi e personalità ha chiesto la revoca del regime penitenziario 41 bis a cui è stato sottoposto l’anarchico Alfredo Cospito in sciopero della fame dal 20 ottobre scorso. Tra i firmatari Alex Zanotelli, Donatella Di Cesare, Moni Ovadia, Massimo Cacciari, Luigi Ferrajoli, ma anche ex magistrati in pensione: tra questi Gherardo Colombo, Beniamino Deidda, Domenico Gallo, Nello Rossi, Livio Pepino, Franco Ippolito e l’ex presidente della Corte costituzionale Giovanni Maria Flick. E’ un fatto di indubbia novità che alcune di queste figure abbiano preso pubblicamente posizione su un tema del genere.
Un salto nella escalation repressiva L’applicazione del 41 bis a Cospito rappresenta un nuovo stadio nella escalation repressiva, un ulteriore passaggio nella politica di differenziazione penitenziaria. In questo caso infatti mancano tutti i requisiti generalmente indicati per l’applicazione di queste misura: l’interruzione del legame organizzativo con gli associati e la possibilità di ottenere informazioni. All’inizio del decennio 90 il 41 bis (l’abolizione di ogni spazio vitale in carcere e l’ostatività a permessi, lavoro esterno, semilibertà e liberazione condizionale, evoluzione del precedente articolo 90) venne introdotto per interrompere i legami organizzativi mantenuti tra reclusi appartenenti a gruppi mafiosi e le associazioni criminali esterne di appartenenza. Successivamente nei primi anni 2000 la stessa misura venne estesa anche a tre militanti delle cosiddette “nuove Br”, condannati per degli attentati realizzati nel 1999 e nel 2002.
Nessun legame organizzativo da interrompere Ciò che colpisce nella vicenda di Cospito è l’assenza del legame organizzativo. Cospito è in carcere da dieci anni per fatti che al momento della condanna non comportarono il ricorso al 41 bis, misura che gli è stata applicata solo nel 2022, a 16 anni di distanza. Dai fatti reato che gli sono attribuiti è trascorso un lungo periodo, nel frattempo non ci sono stati nuovi reati né una nuova organizzazione sovversiva è emersa che lo veda coinvolto, né ci sono state azioni illegali della stessa portata o dimensione per cui era finito in carcere, tali da giustificare un nuovo allarme sociale. A ciò si deve aggiungere che il settore anarchico di riferimento (Federazione anarchica informale) non era una organizzazione con una gerarchia, un organigramma, dei legami definiti e strutturati ma una pulviscolo di singole persone o nuclei separati e indipendenti l’uno dall’altro. Secondo la loro ideologia ognuno poteva agire come meglio credeva a prescindere dall’azione dell’altro. La misura del 41 bis pertanto non potrebbe interrompere nessun flusso informativo/organizzativo presunto o possibile in entrata e in uscita per il semplice fatto che semmai questa area – silente ormai da molti anni – dovesse agire, lo farebbe a prescindere dalla esistenza di Cospito e dalle sue personali posizioni. Alla resa dei fatti la misura del 41 bis risulta del tutto ineffettuale: non interromperebbe legami organizzativi che non sussistono; non bloccherebbe flussi informativi non previsti. La permanenza del 41 bis anche in assenza del legame organizzativo non è una singolarità che riguarda solo Cospito. Anche per i tre ex appartenenti alle “nuove Br”, Marco Mezzasalma, Nadia Lioce e Roberto Morandi, il regime detentivo in 41 bis si protrate da circa 20 anni nonostante la scomparsa dell’originario gruppo politico di appartenenza.
Spezzare il legame con la società Secondo la retorica riabilitativa la pena deve essere volta alla risocializzazione e questo perché gran parte dei comportamenti devianti sono ritenuti una conseguenza della marginalizzazione sociale. Nel caso dei detenuti politici la punizione ha l’obiettivo opposto: la militanza politica presuppone la presenza di reti sociali, connessioni e forte socializzazione. In questo caso è l’internità sociale che va rotta: desocializzare, isolare, spezzare i legami sociali è il vero obiettivo della sanzione che porta alla differenziazione carceraria, ai diversi regimi di isolamento in alta sicurezza ed ora in 41 bis.
Estorcere dichiarazioni L’altra ragione richiamata per l’applicazione del 41 bis è la collaborazione con la giustizia, indurre il recluso a rivelare fatti e circostanze: altrimenti detto estorcere dichiarazioni. Una tortura bianca più lenta e silenziosa, diluita nel tempo e meno impattante per la sensibilità pubblica. Nella vicenda di Cospito anche questa possibilità viene a mancare poiché i fatti-reato per i quali è stato condannato sono stati accertati e sanzionati e lo stesso Cospito li ha riconosciuti. Oltretutto gli episodi-reato per i quali è stato condannato risultano di modesta gravità nonostante l’entità delle pene ricevute: una gambizzazione (lesioni), degli attentati dinamitardi che hanno prodotto danni lievi a cose. L’ipersanzione non è dovuta quindi alla portata effettuale dei fatti commessi ma alla loro valenza simbolico-politica: antistatale e antisistema. Non sfugge in questo caso la disparità di trattamento penale e penitenziario rispetto chi ha realizzato in questi anni reati di natura stragista, aggravati dal movente razziale, sanzionati con pene molto lievi che non prevedono il medesimo trattamento carcerario.
Il 41 bis serve a punire il pensiero Appare chiaro che l’applicazione del 41 bis nei confronti di Alfredo Cospito mira a colpire la sua personalità, il suo pensiero, opinioni espresse pubblicamente, per altro senza aver mai violato le regole carcerarie poiché fino a ieri non era sottoposto censura o altra limitazione ma esercitava del tutto legittimamente la sua libertà di pensiero. Nel caso l’autorità penitenziaria avesse ravvisato la presenza di pericolosità nelle sue esternazioni, avrebbe avuto la facoltà di intervenire attraverso i normali strumenti del codice penale, denunciando eventuali reati di istigazione o apologia per i quali, se effettivamente riscontrati dalla magistratura, comunque non è prevista nessuna reclusione in regime di 41 bis ma un eventuale aggravio di pena. L’applicazione del regime di 41 bis costituisce in questo caso un attacco diretto ed esclusivo all’identità politica del detenuto.
Il governo francese insiste, la Procura generale presenta ricorso in cassazione contro l’avviso sfavorevole all’estradizione dei militanti d’estrema sinistra coinvolti nella lotta armata degli anni 70. Intanto lunedì 11 luglio alle ore 11 nei locali delle Edizioni Actes Sud, 60-62 Avenue de Saxe, Paris 15 Arrondissement, per denunciare l’ingerenza dell’esecutivo nella decisione della Corte d’appello. Alla conferenza stampa saranno presenti Paul Brétecher (psichiatra), Jean-Paul Chagnollaud (professore di scienze politiche), Pierre Lemaître (scrittore), Éric Vuillard (scrittore). Saranno letti i messaggi di sostegno di Annie Ernaux (scrittrice) e di Michèle Riot-Sarcey (storica). Saranno inoltre presenti gli avvocati Irène Terrel e Antoine Comte
EP
Christophe Ayad, Le Monde 7 luglio 2022
I dieci militanti di estrema sinistra rifugiati in Francia e reclamati da Roma pensavano di non aver più problemi con la giustizia, almeno per qualche anno. Mercoledì 29 giugno, infatti, la corte di appello di Parigi aveva reso un avviso sfavorevole alla loro estradizione verso l’Italia dove avrebbero dovuto scontare delle condanne pronunciate in loro assenza per delle azioni di terrorismo risalenti agli anni 70 e 80. Ma il Procuratore generale Rémy Heitz ha deciso di ricorrere in cassazione contro la decisione della Corte d’appello, come annunciato in un comunicato reso pubblico lunedì 4 luglio. Il ricorso, molto raro in questo tipo di circostanze, ha provocato lo stupore e la collera degli avvocati degli «esiliati» italiani. «Mai in tutta la mia carriera ho ottenuto ragione in un ricorso in cassazione sulla decisione di una corte d’appello in materia di estradizione – ha dichiarato Irène Terrel, avvocata di sette dei dieci militanti italiani – E’ incredibile!». Antoine Comte è anche lui stupefatto: «In materia d’estradizione – sottolinea l’avvocato – il ricorso è chiaramente limitato a delle questioni formali dallo stesso codice di procedura penale». L’articolo 696-15 stipula, infatti, che una eventuale cassazione può pronunciarsi solo sugli aspetti legali della decisione. In sostanza può verificare solo se esistono dei «vizi di forma». Gli avvocati dei militanti italiani, di cui fa parte anche Jean Louis Chalanset, restano fiduciosi sul fatto che la sezione criminale della Corte di cassazione non annullerà la decisione della Corte d’appello favorevole ai loro clienti. Tutti e tre i legali tengono a sottolineare la solidità del lavoro svolto dai giudici d’appello. «Hanno lavorato un anno su questo dossier e le loro motivazioni sono eccellenti, sottolinea l’avvocato Terrel. Il diritto a un processo equo fa riferimento alla incapacità dell’Italia di organizzare dei nuovi processi in condizioni accettabili, trenta o quaranta anni dopo i fatti. La corte evoca anche la nozione di periodo di tempo ragionevole. Infine il riferimento alla stabilità della vita familiare apre le porte ad un riconoscimento dell’asilo di cui queste persone hanno beneficiato in Francia».
Accanimento Per tutte queste ragioni gli avvocati della difesa ritengono che il ricorso risponda soprattutto a degli imput politici. L’avvocato Chalaset denuncia «una ingerenza dell’esecutivo nel giudiziario [che] infrange la separazione dei poteri. La procura generale ha dovuto ricevere delle istruzioni dal Guardasigilli», ha dichiarato alla Agenzia France presse. Per l’avvocato Comte si tratta di un «accanimento» che si spiega con «la volontà di fare un piacere allo Stato italiano». Per l’avvocato rappresentante dello Stato italiano (una novità assoluta nei processi di estradizione), William Julié, questo «ricorso è necessario», poiché la sezione istruttoria della corte d’appello «senza negare la gravità dei crimini» imputati ai dieci anziani militanti, «ritiene che i poroblemi di ordine pubblico siano attenuati dal tempo trascorso». Ora – spiega sempre l’avvocato che ha difeso gli interessi dell’Italia, «Il tempo trascorso si spiega con un’assenza di cooperazione della Francia». In maniera del tutto irrituale l’esecutivo ha chiaramente manifestato la sua volontà. Giovedì 30 giugno, nel corso della conferenza stampa tenuta alla fine del vertice della Nato a Madrid, Emmanuel Macron ha chiesto di valutare «se un ricorso in cassazione fosse possibile» o «se ci fossero ancora delle vie giurisdizionali che ci permettessero di andare più lontano». «Ho appoggiato la domanda del governo italiano su questi brigatisti» in favore dello loro estradizione, ha ripetuto come in ogni altra occasione in cui si espresso su questo argomento. E’ molto raro che un presidente della Repubblica si esprima su una decisione di giustizia e chieda di capovolgerla. «Si tratta di un giudizio che getta un discredito politico sui magistrati», replica duramente l’avvocato Terrel. «Si esprime disprezzo per le decisioni di giustizia, si tratta di una interferenza politica netta». L’Eliseo rivendica completamente la sua presa di posizione, in linea con tutte quelle assunte in precedenza su questo dossier ancora sensibile per l’Italia. In passato Emmanuel Macron aveva persino censurato quelle che a suo dire erano le «visioni romantiche» e la presenza di «compiacimento» dell’intelighentia francese nei confronti del terrorismo d’estrema sinistra in Italia. Il Guardasigilli Eric Dupond-Moretti era arrivato a comparare gli ex brigatisti ai jiadisti del 13 novembre 2015 [massacro del Bataclan], in un raffronto tanto discutibile quanto disonesto storicamente. Nella sua battaglia contro la prescrizione e l’impunità Emmanule Macron riformula la «dottrina Mitterrand», la regola non scritta che nel 1985 ha definito le condizioni d’accoglienza degli anziani attivisti italiani. L’attuale capo dello Stato vi aggiunge l’esclusione dei reati di sangue che non fu mai enunciata all’epoca – si trattava, in realtà, della rinuncia alla lotta armata – tra le condizioni che consentivano alla Francia di accordare il suo asilo. «Nello specifico queste persone sono state implicate in crimini di sangue e meritano di essere giudicate sul suolo italiano. Si tratta del rispetto che noi dobbiamo alle famiglie delle vittime e alla nazione italiana», ha dichiarato a Madrid. Ma è proprio in nome della dottrina Mitterrand che i suoi predecessori hanno rifiutato di riconsegnare a Roma quegli uomini e quelle donne condannati in Italia per dei crimini di sangue e che la giustizia francese, in alcuni casi, aveva ritenuto estraibili. «C’è una strana dissonanza in questo Presidente che vuole riconciliare le memorie sulla guerra d’Algeria e ripianare quella sul genocidio in Ruanda ma non accetta le decisioni della giustizia francese sugli anni di piombo», constata Antoine Comte.
Recensioni – La storia del sequestro del suo archivio, la girandola di imputazioni, la caccia al reato inesistente, il tentativo di imbavagliare la ricerca storica indipendente, le ultime acquisizioni sul rapimento Moro, una critica serrata delle narrazioni dietrologiche, un bilancio spietato dei lavori della Commisssione parlamentare Moro 2, il tutto raccolto in un racconto avvincente e pieno di colpi di scena. Il 5 maggio nelle librerie, in prevendita su tutti gli store online
La polizia della storia è il titolo di 281 pagine, editore Derive Approdi, 20 euro, in libreria dal 5 maggio con cui Paolo Persichetti racconta il suo caso che la dice lunga sulla qualità della nostra democrazia, dalla Prima Repubblica fino ai giorni nostri. Come se non fossero passati ben 44 anni dal sequestro e dall’omicidio di Aldo Moro, il fatto intorno al quale ruotano le parole del ricercatore che ormai quasi un anno fa subì i sigilli al suo archivio, il più pericoloso del mondo. E non ha ancora riavuto dall’8 giugno del 2021 “il maltolto” dove era compresa pure la certificazione medica di Sirio il figlio diversamente abile. Paolo Persichetti combatte da anni la battaglia contro la dietrologia spiegando che il fenomeno non riguarda solo il passato ma il presente e il futuro di questo paese. Persichetti è coinvolto in una vicenda giudiziaria dove il capo di incolpazione ha subito cinque modifiche e visto l’eliminazione del reato più grave, l’associazione sovversiva finalizzata al terrorismo attraverso la violazione del segreto di carte della commissione parlamentare sul caso Moro che segrete non erano. L’inchiesta è coordinata dal pm Romano Eugenio Albamonte lo stesso che ha chiesto e ottenuto di prendere il Dna dei brigatisti condannati per via Fani e altre persone nell’ambito di una caccia a complici ulteriori veicolando il sospetto che servizi segreti nazionali e esteri avessero avuto un ruolo nella vicenda con cui la Prima Repubblica cominciò a morire. “L’idea che la realtà sia qualcosa su cui si deve gettare luce perché dominata dall’ombra e dall’invisibile diventa il nuovo modo di giustificare una contronarrazione che si pretende autonoma libera e indipendente dai ‘poteri’ – scrive l’autore – È sconcertante questa idea di un passato fatto di misteri e segreti anziché di processi, rotture, trasformazioni, uno schema cognitivo che riporta ai tempi dell’Inquisizione…. L’idea che il mondo sia più comprensibile se visto dal buco della serratura di un ufficio dei servizi segreti piuttosto che dai tumulti che attraverso le strade e i luoghi di lavoro è il segno di una malattia della conoscenza. Attraverso la dietrologia si vuole veicolare l’idea che dietro ogni ribellione non c’è l’agire sociale e politico di gruppi umani ma solo un inganno, una forma di captazione, uno stratagemma del potere”. Va ricordato che la dietrologia non è un fenomeno solo italiano. Basti pensare a quanto accaduto intorno all’11 settembre. Ma il nostro è per molti aspetti un paese almeno un po’ particolare perché il capo dei dietrologi sta al Quirinale fa pure il presidente del Csm che quasi ogni 16 marzo e 9 maggio insiste: “Bisogna cercare la verità”. Come se cinque processi non avessero accertato anche dalle deposizioni di “dissociati” e “pentiti” che dietro le Brigate Rosse c’erano solo le Brigate Rosse. “Esiste in questo paese un organismo che si chiama polizia di prevenzione il cui ruolo potrebbe finire pericolosamente per sorvegliare l’indagine storica se non addirittura per prevenirla segnando i paletti oltre i quali non è lecito inoltrarsi” scrive nella prefazione Donatella Di Cesare aggiungendo di “una gendarmeria della memoria che assenza una concezione poliziesca della storia narrata in bianco e nero, da una parte i buoni dall’altra i cattivi”. “Il tratto di strada che il 16 marzo del 1978 vide alcuni operai scesi dalle fabbriche del nord insieme a dei giovani romani dare l’assalto al convoglio di auto che trasportavano l’onorevole Moro non trova pace. Questo fatto storico non è accettato ancora dai cultori del complotto, anzi dei ripetuti complotti di diversa natura e colore, tutti assolutamente reversibili che nei decenni si sono succeduti in perfetta antitesi tra loro” chiosa l’autore. E per questa ragione domenica 22 febbraio 2015 la zona fu sottoposta a scansione laser dalla polizia scientifica. I nuovi rilievi fecero emergere l’assenza di novità. In via Fani agirono le Brigate Rosse. Solo loro. Ma dirlo, riaffermarlo, ribadirlo è pericoloso. In pratica come dimostra la vicenda di Paolo Persichetti un reato.
Manca «una formulata incolpazione anche provvisoria», con queste parole il gip Valerio Savio ha liquidato l’inchiesta aperta dal pm Eugenio Albamonte nei miei confronti. Lo scorso 8 giugno la polizia di prevenzione, insieme a digos e polizia postale, col pretesto di cercare materiale riservato proveniente dalla Commissione parlamentare Moro 2, che ha chiuso i battenti nel febbraio del 2018 (leggi qui), aveva sottratto il mio intero archivio storico, le cartelle sanitarie e scolastiche dei miei figli e altro materiale privato della mia famiglia (leggi qui e qui e qui). Da cinque mesi ormai il mio materiale d’archivio e tutti i miei strumenti di lavoro (telefonino, computer, tablet, pendrive e hard disk) sono trattenuti dalle forze di polizia senza un motivo giuridicamente valido. Non è indicato con chiarezza alcun reato, afferma il gip in risposta alla richiesta di incidente probatorio che il mio avvocato, Francesco Romeo, aveva avanzato di fronte alle intenzioni del pm di avviare per proprio conto accertamenti tecnici non ripetibili sul materiale sequestrato senza garanzie giuridiche per la difesa, che avrebbe solo potuto assistere senza poter intervenire sulla scelta delle modalità di ricerca e analisi dell’enorme materiale portato via e che solo in minima parte riguardava l’oggetto della perquisizione. Per queste ragioni, l’avvocato Romeo aveva chiesto al gip di effettuare una valutazione «con forme e secondo modalità non lesive del diritto alla riservatezza ed alla privacy personale dell’indagato nonché della sua privacy familiare» e in forma «limitata ai soli dati e documenti informatici di interesse non relazione alle ipotesi di reato oggetto di contestazione da individuare tramite chiavi di ricerca costituite da parole chiave». L’incidente probatorio non può essere ammesso – risponde il gip – poiché «in atto contestazione non ve n’è alcuna, neanche provvisoria», motivo che impedisce l’accertamento di un eventuale reato con dispendio di inutili energie e costi a carico dell’Erario. Dopo la risposta del tribunale del riesame, del 2 luglio scorso, che aveva già dato un colpo importante all’inchiesta della procura romana, ritenendo assenti le condotte di reato specifiche ascrivibili ai capi di imputazione indicati dal pm, ovvero il 270 bis cp (l’associazione sovversiva con finalità di terrorismo ed eversione dell’ordine democratico) e il favoreggiamento in realzione all’ipotesi di divulgazione di materiale riservato acquisito e/o elaborato dalla commissione parlamentare d’inchiesta sul sequestro e l’omicidio di Aldo Moro, e suggerendo a questi di ricorrere ad un più idonea ipotesi di reato, la violazione di segreto politico, 262 cp, il giudice per le indagini preliminari è andato ben oltre. Per il Gip nel fascicolo dell’accusa manca una contestazione chiara, «con un minimo di delineazione» dell’ipotesi di reato. Tre anni di indagini estremamente invasive, per giunta ancora non concluse, condotte attraverso forzature continue, clonazione di telefonini, intercettazioni telefoniche a raffica, intercettazioni ambientali e pedinamenti, intercettazione del traffico di posta elettronica, costate migliaia di euro di soldi pubblici, sono pervenute alla impossibilità di formulare una contestazione chiara e definita. Questa è la surreale storia iniziata nel gennaio del 2019 da una grottesca indagine della digos di Milano conclusasi con un’archiviazione ma subito ripresa dalla procura romana. Una caccia ai fantasmi, una pesante intromissione nella libertà di ricerca storica e lavoro giornalistico. Il 10 novembre prossimo la cassazione dovrà pronunciarsi sulla vicenda, intanto il mio archivio e i miei strumenti di lavoro restano sotto sequestro.
L’appello lanciato da storici e ricercatori contro l’inchiesta condotta dal pm Eugenio Albamonte insieme alla Polizia di prevenzione nei miei confronti (leggi qui) ha superato le 600 firme. La raccolta continua e chi volesse ancora aderire lo può fare apponendo la propria firma nello spazio dedicato ai commenti o sui social. Lo scorso 2 luglio il Tribunale del riesame rigettando la richiesta di dissequestro del mio archivio di materiali storici e della documentazione privata della mia famiglia ha corretto le imputazioni indicate dalla procura ritenendo più adeguata la contestazione dell’art. 262 cp, «Rivelazione di notizia di cui sia stata vietata la divulgazione», anziché l’art. 378 (favoreggiamento) e il 270 bis (associazione sovversiva con finalità di terrorismo ed eversione dell’ordinamento costituzionale) – leggi qui. Come in una sorta di caccia al tesoro, con la decisione del tribunale del riesame siamo ormai alla terzo tentativo di indicare un reato che, a quanto pare, magistrati ed inquirenti non sono ancora riusciti a trovare. Nel mese di dicembre 2020, infatti, l’indagine della Polizia di prevenzione ipotizzava la rivelazione del segreto d’ufficio, art. 326 cp, ipotesi investigativa poi lievitata nell’associazione sovversiva e nel favoreggiamento. Nei giorni scorsi gli accertamenti tecnici non ripetibili disposti dal pubblico ministero, che si sarebbero dovuti tenere sul materiale sequestrato, sono stati sospesi a seguito della richiesta di incidente probatorio davanti al Gip avanzata dal mio avvocato, Francesco Romeo. L’incidente probatorio offre infatti maggiori garanzie processuali introducendo una figura terza, ovvero il Giudice per le indagini preliminari che sul piano formale riequilibra il ruolo della procura, fino ad ora dominus di ogni atto all’interno dell’inchiesta. Questa scelta processuale allunga i tempi, ma non vi era altra scelta davanti all’atteggiamento della Procura che ha persino mancato di notificare all’avvocato il provvedimento che autorizzava la riconsegna dell’archivio amministrativo della mia famiglia e quello medico e scolastico dei miei figli. Il Gip esaminerà le carte dopo la pausa estiva.
La procura di Roma ha accusato il collega Paolo Persichetti di «divulgazione di materiale riservato acquisito e/o elaborato dalla Commissione Parlamentare d’inchiesta sul sequestro e l’omicidio dell’on. Aldo Moro». Con un incredibile e ingiustificato spiegamento di forze (una pattuglia della Digos e altri agenti appartenenti alla Direzione centrale della Polizia di Prevenzione, e della Polizia postale) è stata eseguita la perquisizione del domicilio di Persichetti (durata 8 ore) con contestuale sequestro di telefoni cellulari e di ogni altro tipo di materiale informatico (computers, tablet, notebook, smartphone, hard-disk, pendrive, supporti magnetici, ottici e video, fotocamere e videocamere e zone di cloud storage). La polizia ha anche esaminato quantità di libri e portato via materiale archivistico raccolto dopo anni di paziente e faticosa ricerca. L’accusa è di divulgazione di «materiale riservato». Il materiale sequestrato riguarda documenti raccolti da anni in diversi archivi pubblici e quindi previa autorizzazione ed accordo degli stessi per l’accesso), e, secondo la procura della Repubblica, si sarebbe concretizzata in due reati ben precisi: associazione sovversiva con finalità di terrorismo (ex art. 270 bis c. p.) e favoreggiamento (ex art. 378 c. p.) e il 270 bis. I reati ascritti avrebbero avuto inizio l’8 dicembre 2015. Più in generale e più incredibilmente, sempre secondo la procura, da 5 anni sarebbe attiva in Italia un’organizzazione sovversiva di cui però non si conoscono ancora il nome, i programmi, i testi e proclami pubblici e soprattutto le azioni concrete (e violente, soprattutto, perché senza di quelle il 270 bis non potrebbe configurarsi). È legittimo, a questo punto, chiedersi se il richiamo al 270 bis sia stato un espediente per consentire un uso più agevolato di strumenti di indagine invasivi e intimidatori (pedinamenti, intercettazioni, perquisizioni e sequestri), in presenza di minori tutele per l’indagato. Cosa in realtà abbia giustificato un tale imponente dispositivo poliziesco rimane un mistero. Ci verrebbe però da dire che non ci interessa saperlo. È fin troppo facile, infatti, giocare sulla biografia di Paolo Persichetti, coinvolto nella stagione della violenza politica in Italia e che per questa ha «saldato i conti con la giustizia» ed oggi è un ricercatore affermato che ha collaborato e collabora con diverse testate giornalistiche oltrechè autore, insieme a Marco Clementi ed Elisa Santalena, del volume : “Brigate Rosse: dalle fabbriche alla “Campagna di primavera”, presso la casa editrice DeriveApprodi.
Qui, però, non si tratta di personalizzare una causa, né di santificare nessuno, bensì di fare un passo in avanti e cogliere la grave portata generale di questo evento. Questa vicenda è solo l’ultima di una serie che dimostra l’attacco alla libertà della ricerca storica (e non solo): basti pensare alla proposta di legge che vorrebbe introdurre il reato di negazionismo sulla questione delle Foibe, contro la quale diversi studiosi e molte associazioni si stanno esprimendo da diversi mesi. Ancora, è necessario ricordare le minacce allo storico Eric Gobetti, autore di un libro sempre sulle Foibe o l’incredibile vicenda della ricercatrice Roberta Chiroli, prima condannata e poi fortunatamente assolta per aver redatto una tesi sul movimento No-TAV. Sugli anni ‘70 (e, aggiungiamo, su qualsiasi altro periodo “scomodo”), si può e si deve fare ricerca storica: si tratta di un importante periodo della nostra storia nazionale che va approcciato senza complessi e preconcetti, bensì con i molteplici strumenti che le discipline delle scienze storiche e sociali ci forniscono e con le svariate fonti (documentali, audiovisive, orali) che si hanno a disposizione, tanto negli archivi quanto nella società.
È venuto il momento di chiudere una “tradizione”, dominante nel discorso pubblico e politico, che considera quel periodo, ormai vecchio di 50 anni, come un tabù, intoccabile e innominabile, oppure narrabile solo secondo la vulgata mainstream. Per questo, il sequestro di materiale d’archivio assume un carattere di enorme gravità. Lo assume sempre, ma lo assume in particolare in questo caso. Ad oggi, un collega ricercatore non ha più il suo archivio costruito con anni di paziente e duro lavoro, raccolto studiando i fondi presenti presso i seguenti istituti:
· l’Archivio centrale dello Stato;
· l’Archivio storico del Senato;
· la Biblioteca della Camera dei deputati;
· la Biblioteca si storia moderna e contemporanea;
· l’Emeroteca di Stato;
· l’Archivio della Corte d’Appello di Roma
A ciò va aggiunta la personale raccolta di documenti reperiti presso fonti aperte, portali on line istituzionali, testimonianze orali, esperienze di vita, percorsi biografici, e appunti, schemi, note e materiali con i quali stava preparando libri e progetti di ricerca, anche insieme ad altri studiosi e studiose. Ripercorrete la lista: sono gli archivi che tanti e tante di noi conoscono e attorno ai quali gravitano. Sono gli archivi presso i quali tante volte ci siamo incontrati e sui quali sono basati tanti libri che abbiamo nelle nostre biblioteche, soprattutto dopo le varie declassificazioni portate avanti negli ultimi anni, al netto dei tanti limiti del caso. Cosa dobbiamo fare adesso? Cosa dovremmo fare? Portare in salvo i nostri archivi, sperando che non ci vengano confiscati? Cambiare specialità e rientrare nei ranghi, studiando le cose “giuste”?§ Chiedere ai nostri dottorandi di andarci piano con la ricerca, che non si sa mai, come se già non fossero penalizzati abbastanza per il periodo di studi scelto?
Quel che succede al nostro collega Paolo Persichetti ci riguarda tutti da vicino: si tratta di un’intimidazione gravissima che deve allertarci tutti e tutte, in modo particolare chi lavora nella ricerca storica sugli anni ‘70, ma anche in tutta la ricerca. Per questo pensiamo sia necessario manifestare una risposta civile ferma, forte e indignata contro quanto accaduto. Una giusta battaglia di civiltà, perché pensiamo che il vero motivo per cui si insegna, si indaga, si narra la storia è perché questa fornisce un’identità, ci dice cosa siamo oggi e da dove proveniamo. Anche quando la provenienza è scomoda. Pensiamo che il passato ci strutturi come individui attivi e partecipanti in un contesto sociale, mentre l’assenza di memoria storica ci rende manipolabili. Gli archivi devono essere dissequestrati, la storia non si imbavaglia!
Michael Lowy, Elisa Santalena, Angelo D’orsi, Marco Grispigni, Monica Galfré, Giovanni De Luna, Sergio Bianchi, Andrea Fumagalli, Isabelle Sommier, Andrea Fioretti, Marco Clementi, Barbara Biscotti, Antonello De Leo, Steve Wright, Ottone Ovidi, Giuseppe Aragno, PierVittorio Buffa, Francesca Chiarotto, Alessandro Barile, Christophe Mileschi, Elisabetta Sellaroli, Alessandro Stella, Luciano Villani, Ilenia Rossini, Mauro Ronco, Alberto Pantaloni, Guido Celli, Gabriella Piroli, Marie Thirion, Guillaume Guidon, Zapruder, Giacomo Tortorici, Gianremo Armeni, Antonio Lenzi, Sergio Bellavita, Michele Vollaro, Simonetta Stampatore, Laura Nanni, Marco Morra, Giovanna Gioli, Gigi Malabarba, Lorenzo Fazio, Vincenzo Sorella, Stefano Magni, Ugo Maria Tassinari, Associazione Bianca Guidetti Serra,, Chiara Lizzani, Michele D’Ambra, Valentina Lecca, Andrea Bellucci, Maria Grazia Meriggi, Andrea Lecca, Angela sollai, Simone Varriale, Cristina Saggioro, Manuele Gasperini, Davide Steccanella, Antonio Corso, Italo Di Sabato, Vincenzina Mercuri, Danilo Mariscalco, Edoardo Blotto, Paola Rivetti, Edoardo Todaro, Fabrizio Trullu, Barbara Meazzi, Ylenia Francesca Le Mura, Aldo Matzeu, Gennaro Gervasio, Stefano Lucarelli, Emanuela Nanni, Luca Iervolino, Ilona Wsz, Eleonora Forenza, Giorgio Del Vecchio, Stefania Mazzone, Emilio francesco Daniele, Cosimo De Benedictis, Michel Huysseune, Veronica Lacquaniti, Antonello Pizzaleo, Giuseppe Ponsetti, Nicola Erba Erba, Sandro Padula, Valentina Perniciaro, Ettore Bucci, Stefania Croci, Zaccarias Gigli, Andrea Colombo, Davide Ricco, Filippo Gianluca Callegaro, Cristina Cannizzo, Annarita Camerucci, Silvia De Bernardinis, Giacomo Pellegrini, Maria Pia Calemme, Erberto Rebora, Giuseppe Sergi, Walter Niolu, Angelo Tomassetti, Marina Salvatorelli, Marina Penasso, Monica Chiofi, Cristina Bagnato, Riccardo Quintili, Serenella Marini, Antonello Tiddia, Giancarla Rotondi, Salvatore Scuderi, Lidia Nucera, Gianluca Ricciato, Rosa Colella, Daniela Bracco, Elisa Giampieri, Luca Rafanelli, Daniela Valdiserra, Maria Cristina D’Angiolini, Lorenzo Misuraca, Laura Fresu, Melania Del Santo, Diego Ruggero, Alessandra de Luca, Angelica augusta Martini, Pino Casamassima, Francesca Valagussa, Marzocchi Silvana, Ivanka Gasbarrini, Gemma Busana, Susana Roitman, Miki De Benedictis, Giampiero Fabiani, Riccardo Tomassetti, Elena Storti, Cristina Cecchini, Mimmo Sambuco, Cristina Accornero, Nadia Bagni, Tito Faraci, Mattia Gallo, Giovanni Scognamiglio, Isa a, Gaetano Musto, Michela Mari, Gaia Martina Grimaldi, Maria Ricciardi, Stefano di Iorio, Anna Lucia Tomelleri, Tanja Golisano, Francesco Schiro, Chiara Quargnolo, Isa Salis, Sabrina Pusceddu, Linda Bargellini, Francesco costa, Santa D’alio, Lorenzo Alberti, Massimo, Cicchinelli, Claudio Moratto, Claudio Serafini, Laurence Bourguignon, Andrea Mencarelli, Cesare Cavallari, Maria Orsola Chiattella, Franco Barbero, Emilio Bagnoli, Annalisa Corno, Elio Limberti, Romilda De Santis, Diego Pellizzari, Silvia Di Fonzo, Angelo Guerriero, Claudio Vecchiola, Roberto Evangelista, Giulio Petrilli, Roberta Ciribilli, Alberto di Vincenzo, Valentina Magnanti, Angela Di leo, Diana di Lollo, Anna Maria Molinari, Remo Pancelli, Irène Bonnaud, Caterina Marassi, Luigina Dorigo, Stefano Chiesa, Donatella Tirelli, Elena Orsini, Giuseppe Tiano, Paolo Favarin, Riccardo De Angelis, Annalisa Capriotti, Susanna Bernoldi, Claudia Pinelli, Valerio Minnella, Elvira Maria Guenzi, Dario Alserio, Luca Nigro, Mariarosaria La Porta, Sandra Dolente, Giulio De Leo, Umberto Spallotta, Monica Maglia, Nicol Klatt, Dario Furnari, Amelia Zarrella, Maria Enrica Pennello, Andrea Fogli, Giovanni Russo, Christian Di Stefano, Andrea De Vito, Usb Pisa, Marinella Fiume, Stefano du Bois, Antonio Vicente, Carrillo Paños, Sandra Berardi, Maurella Carbone, Diego Robotti, Cristina Campanile, Pierpaolo Ascari, Giovanni Di Leo, Diana Cavaliere, Manuela Anna Margherita Anselmo, Lorenzo Villani, Alfredo Toppi, Giovanni Monti, Alfredo Toppi, Graziano Bergonzini, Massimo Luciani, Marco Mais, Biagio Barbaro Benedetta Rossini, Gaia Dall’Ara, Laura Celano, Riccardo Pagliarini, Vittorio Oratino, Giorgio Trinchero, Michele Armando Carbone, Paolo Ciaravino, Francesco Marchi, Cecilia Gnocchi, Martina Di Pasquale, Manuela Di Giacomo, Maria luisa Renzi, Chiara Cogoni, Francesco Di Dato, Maria Raffaella Naitza, Nico Vox, Valerio Guizzardi, Alessio Caperna, Braulio Rojas, Marco Mucciarelli, Diego D’Amario, Rossana Tidei, Danilo Sidari, Valeria Sanzone, Rosella Roselli, Federica Bordoni, Titti Mazzacane, Monica Quaresima, Stefania Guastella, Antonella Coloru, Maurizia Nichelatti, Gabriele Donato, Maria Zampini, Silvia Longo, Roberto Chiarelli, Marina Grulovic, Germana Pennica, Claudia Zudini, Franck Gaudichaud, Leonardo Casalino, Olivier Kraif, Giovanni Croce, Marco Noris, Giuseppe Leo, Anna Maria Romeo, , Rossana Meloni, Antonio Andreotti, Domenico Tangolo, Nereo Santella, Irene Galuppo, Antonia Cascio, Gabriele Giraudo, Matteo Molinaro, IIaria Bracaglia, Marianna Melis, Filippo Bozzano, Ernesto Nieri, Valentine Pillet, Pier Lisi, Maurizio Milanese, Francesco Giordano, Sergio Falcone, Danilo Maramotti, Francesco Lembo, Isabella Cellerino, Tiberio Crivellaro, Francesco Russo, Noémie de Grenier, Paolo Morpurgo, Elisa Romani, Giovanna Russo, Valeria Forte, Jacopo Ricciardi, Maria Belladonna, Anna Cabras, Barbara Bernardini, Martina Battaglia, Rosario Maria Romeo, Raffaele Di Francia, Catherine Carpentier, Maddalena Tiburzio, Lorenzo Brigida, Luigia De Biasi, Valentina Donati, Brunella Bartolini, Nastasia Tennant, Maria Teresa Catania, Claudio Venza, Nicolas Kìuzik, Silvia Boverini, Costanza Curro’, Christiane Vollaire, Mirco Di Sandro, Stefano Santaniello, Gianfranco Santacaterina, Franco Ventriglia, Enzo Bistoni, Valentina Mitidieri, Tania Maria Preste, Caterina Soprana, Giancarlo Scotoni, David Gigli, Mariangela Sacchi, William Gambetta, Nadia Menengee, Vincenzo Gargano, Maurizio Conte, Beppe Battaglia, Emilio Prosperi, Paola Caruso, Natalina Farris, Giulio Zanchi, Vania Borsetti, Samantha Pescari, Maya Alexandra Seppecher, Olivier Le Trocquer, Giovanni Consorti, Roberto Scorza, Agnese Forte, Carmela Maddalena, Michela Forte, Gianfranco Criscenti, Tiziana Leoni, Alessandra Cecchi, Graziella Mascheroni, Fiorenzo Fedeli, Primo Dorigo, Agata Castello, Lorenzo Mizzi, Uberto Crivelli, Pasquale Piscitelli, Francesca de Rossi, Leonardo Pacetti, Roberto Budini Gattai, Roberta Gaeta, Sandra Lombardi, Cristina Volpe, Salvatore Francesco (detto Totò) Caggese, Emilia Andreou, Patrizia Togna, Christian Drouet, Isabelle Parion Rosa Cristina Lamberti Fresa, Irène Villa, Elena Della Pietra, Nicola Pannelli, Fausto Carotti, Riccardo Silva, Claudia Lai, Emma Contini, Fabrizio Portaluri, Sara Cassai, Giovanna Cilento, Caterina Arfè, Barbara Ragone, Filippo Kalomedis, Leo Donnarumma, Brianna Cordell, Marco Bartoli, Roberta D’andrea, Franco Ferrara, Luigina Creta, Alessandro Pallassini, Marco Pellegrino, Antonio Grilli, Xavier Lambert, Raffaele Cirone, Antonella Beccaria, Labey Marion, M.Elena Tomassini, Paola Di Paolo, Pierre Stambul, Barbara Croce, Vincenzo Pallara, Giacomo Mattiello, Giulia Leone, Mariela Ortiz, Igina Ierardi, Riccardo Rossi, Fernanda Filippi, Sandro Turdo, Stefano Gallo, Claudia Santoro, Daniela Bandini, Silvia Capata, Rosa Maria De Cambourg, Katja Besseghini, Luigi Lorusso, Donatella Quattrone, Francesco Cirillo, Alessia Peca, Luciana Capata, Mirta Mattina, Paola Lanteri, Gian Luca Pittavino, Francesca Tuscano, Alessandro D’Ansembourg, Elisabetta Faffuzzi, Mario Salvatore Gravina, Annalena Di Giovanni, Francesco Comisi, Maria Grazia Prudenzano, Sabina Paladini, Franco Barracchia, Carla Dovini, Viviana Duca, Martina La Stella, Sabatina Ragucci, Valentina Spera, Cinzia Cavini, Mauro Nicolicchia, Annalisa Pannarale, Fabiola Schneider Graziosi, Vittorio Morfino, Ivan Bianchini, Stefano Pasetto, Tania La Tella, Roberto D’Angiò, Giuseppe Pugliese, Daniela Micheli, Claudia De Angelis, Simona Musolino, Stefania Zuccari, Francesca Usala, Rossana Canfarini, Manueka Tedeschi, Francesca Lombardozzi, Daniela Usala, Anella Cerolla, Gabriella Frangiotta, Marianna Rosa, Anna Maria Costa, Luigia Mangili, Claude Pourcher, Maria Mazzarella, Chiara Di Croce, Carla Pastori, Simonetta Facioni, Mariateresa Salvi, Lara Garlaschelli, Lina Sortino, Ivan Romanò, Alberto Prunetti, Gianluca Andreozzi, Carmela Petrone, Giovanna Perretti, Chiara Cerruti, Mariamargherita Scotti, Argia Simone, Marina Bosco, Stefano Fiorin, Loretta Bertolotti, Raoul Villano, Claudio Tribuzi, Michela Mioni, Silvana Miradoli, Valeria Mercandino, Alejandro Roberto Pannocchia, Simone Cristini, Patrick Carre, Mathilde Epifanie, Kevin Kouakou, Coeli Gianluca, Agata Creanza, Marc Damestoy, Sonia Doronzo, Elisabetta Martinazzoli, Fabienne Mergaux, Jean François Wolff, Claudio Edgardo Palombella, Valeria Fiore, Alessia Stelitano, Mario Bucci, Marie Contaux, Antonino Ansaldo Patti, Cavarra Simona, Mario Orabona,Arthur Barbaras, Elena Gaetti, Jean Courtiou, Tea Cernigoi, Ambra Floris, Catherine Bolly, Rosalba Ciranni, Luisa Gaetti, Gerardina Vavala’, Antonio Scalia, Balzer Shimano, Pino Pannuti, Lorenzo Dossi, Armelle Girinon, Clara Mogno, Marco Codebo, Giorgio Casiello, Ornella Beltramme, Daniele Lauri, Flavia Fasano, Danielle Mainfray, Luciana Storri, Rocco Lerose, Patrizia Pisanu, Marco Sozzi Sozzi, Paola di Michele, Luigi Flagellin, Rachele Colella, Maurizio Vito, Teresa Mecca, Giuseppe Giannini, Giulia Pezzella, Umberto Spallotta, Alina Rosini, Rita Fiori, Luigi Casinelli, Clemente Manzo, Eugenia Magnaghi, Maria Mucci, Marco Bersani, Elena Guaraglia, Francesco Paolo Caputo, Antonio Di Giuda, Davide Rompietti, Italo Poma, Diego Graziola, Francesca Figari, Alessandro Lentini, Marco della Rocca, Adeline Picaud, Oriana Cartaregia, Christian Tarting, Olivier Rodier, Florence Rigollet, Jean-Marc Bernard, Modesta Suárez, Danièle Restoin, Serge Martin, Patrice Petit, Henri Raynaud, Francesca Cogliati Dezza, Paolo Boido, Fabia Andreoli, Isabelle Krzywkowski, Germain Coudert, Pascale Carpentier, Francesca Pulice, Francesca Fortuzzi, Lucio Terracciano, Sauthier Françoise, Claude Guillon, Mila Milanesi, Giorgio Frau, Eric Poirier, Michel Mosca, Manuela Stella, Anne Marcadelli, Robert Chassin, Ottone Ovidi, Giulia Betti, Dominique Rebeix, Alessandra Marigo, Delphine Moritz, Chiara Birattari, Christine Maynard, Gabriella Spada, Daniela Antonelli, Marie Christine Laporte, Sabrina Lanzi, Jean-Pierre Olivier, Auzou Martine, Patrizia Cuonzo, Anna Borini, Gian Luigi Longo, Francesco Montanari, Christian Larose, Andrea Bonzi, Marco Gabellini, Jean-Marie Viguie, Luigi Rotili, Anna Cepollaro,Serena Rampietti, Franco Piersanti, Carlo Premoselli, Giancarlo Calidori, Anna Di Vittorio, Gianluca Collini, Marco F. Martirava, Giovanni Savino, Guido Stori, Ivano Bisson, Marina Mini, Angelo Caforio, Michele Mikis Mavropulos, Giovanni Spreafico, Andrea Benati, Livio Milan, Pietro Terzan, Umberto Passigatti, Eva Mantelli, Pier Paolo Lisi, Flavio Guidi, Mimì Burzo, Giorgia Rocca, Chiara Siano, Fausto Giudice, Nicola Guarneri, Mario Macaluso, Oberdan Cappa, Luca Donadelli, AnnaMaria Alfonsi, Gioele Giuseppe Talami, Nicola Lofoco, Giancarlo Mammarella, Jaime Vigliano Girando, Michele Pontolillo, Fabia Andreoli, Sisto Bragalone, Stefano Bonacina, Stefano Di mitrio, Rita Prastigo
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Le parquet de Rome a accusé notre collègue, Paolo Persichetti, de « divulgation de matériel confidentiel acquis et/ou élaboré par la Commission parlementaire d’enquête sur l’enlèvement et l’assassinat d’Aldo Moro ». Avec un déploiement de forces disproportionné et injustifié (une patrouille des Renseignements généraux et d’autres agents appartenant à la Direction centrale de la Police de Prévention, et de la Police postale), la perquisition du domicile de M. Persichetti (pendant 8 heures), a abouti à la saisie de plusieurs téléphones portables ainsi que de tout le matériel informatique domestique (ordinateurs, tablettes, notebooks, smartphones, disque dur, pendrive, supports magnétiques, optiques et vidéo, appareils photo et caméras vidéo et zones de cloud storage). La police a également examiné de nombreux livres et emporté des documents d’archives recueillis après des années de recherches patientes et laborieuses (lire ici son témoignage).
L’accusation porte sur une soi-disant divulgation de « matériel confidentiel ». Le matériel saisi concerne des documents recueillis pendant des années dans diverses archives publiques (et donc après autorisation et accord de ces archives pour pouvoir y accéder). Selon le Ministère Public, il s’agirait des délits suivants : association subversive à des fins de terrorisme (ex art. 270 bis du code pénal) et complicité (ex art. 378 code pénal). Les délits reprochés auraient commencé le 8 décembre 2015.
Selon le Parquet, une organisation subversive serait active en Italie depuis 5 ans ; on en ignore toutefois le nom, les programmes, les textes et déclarations publiques, et in fine les actions concrètes (et surtout violentes, car sans elles, l’article 270 bis ne pourrait s’appliquer). Il est légitime, à ce stade, de se demander si la référence à l’article 270 bis n’est pas un expédient pour légitimer l’utilisation plus facile d’instruments d’investigation invasifs et intimidants (filatures, interceptions, perquisitions et saisies), couplée à une moindre protection du suspect.
Ce qui a réellement justifié un tel déploiement des forces de police reste un mystère. On pourrait cependant dire qu’il nous importe peu de le savoir. Il est en effet trop facile de jouer sur la biographie de Paolo Persichetti, impliqué il y a bien longtemps dans les années de révolte italiennes, et qui pour cela a « réglé ses comptes avec la justice ». M. Persichetti, après s’être acquitté de sa « dette » est devenu aujourd’hui un chercheur reconnu qui a collaboré et collabore avec différents journaux et auteur, avec Marco Clementi et Elisa Santalena, du volume : Brigate Rosse: dalle fabbriche alla “Campagna di primavera”, sorti en 2017 pour la maison d’éditions DeriveApprodi (ici).
Il ne s’agit pas de personnaliser une cause, ni de faire de quiconque un martyr, mais plutôt de faire un pas en arrière et de saisir la portée générale de cet événement.
Cet événement n’est que le dernier d’une série qui démontre l’atteinte à la liberté de la recherche historique (et pas seulement) : il suffit de penser à la proposition de loi qui voudrait introduire le délit de négationnisme sur la question des Foibe, contre lequel plusieurs chercheurs et de nombreuses associations s’expriment depuis des mois. Il faut rappeler les menaces à l’encontre de l’historien Eric Gobetti, auteur d’un livre sur les Foibe, ou l’histoire de la chercheuse Roberta Chiroli, d’abord condamnée puis heureusement acquittée pour avoir écrit une thèse sur le mouvement No-TAV.
Sur la période historique des années 1970 italiennes (et, ajoutons-nous, sur toute autre période « gênante » pour la doxa officielle), on peut et on doit faire de la recherche historique : c’est une période importante de notre histoire nationale qui doit être abordée sans préjugés et sans a priori, avec les nombreux outils que les disciplines des sciences historiques et sociales nous fournissent, en utilisant toutes les sources (documentaires, audiovisuelles, orales) dont nous disposons, tant dans les archives que dans la société.
Le temps est venu de mettre fin à une « tradition », dominante dans le discours public et politique, qui considère cette période, aujourd’hui ancienne de 50 ans, comme un véritable tabou, intouchable et inavouable, et racontée uniquement selon la vulgate officielle.
Pour cette raison, la saisie d’archives revêt un caractère de gravité préoccupant. À ce jour, un collègue chercheur ne dispose plus de ses archives, constituées au prix d’années de patience et de travail minutieux, recueillies en étudiant les fonds présents dans les institutions suivantes :
– les Archives centrales de l’État ;
– les Archives historiques du Sénat ;
– la bibliothèque de la Chambre des Députés ;
– la bibliothèque d’histoire moderne et contemporaine ;
– l’Emeroteca de l’État ;
– les Archives de la Cour d’appel de Rome.
À cela s’ajoute une collection personnelle de documents trouvés dans des sources ouvertes, des portails institutionnels en ligne, des témoignages oraux, des expériences de vie, des parcours biographiques, ainsi que des notes, des ébauches et du matériel avec lesquels il préparait des livres et des projets de recherche, en collaboration avec d’autres chercheurs.
Parcourez à nouveau cette liste : ce sont les archives que nombre d’entre nous, chercheurs et chercheuses, fréquentons régulièrement, et à partir desquelles nous élaborons patiemment nos travaux. Ce sont les archives où nous nous sommes rencontrés à de nombreuses reprises et sur lesquelles se fondent de nombreux ouvrages que nous avons dans nos bibliothèques, notamment après les différentes déclassifications effectuées ces dernières années, malgré leurs nombreuses limites.
Que devons-nous faire maintenant ? Que devrons-nous faire dans l’avenir ?
Mettre nos archives en sécurité, en espérant qu’elles ne seront pas confisquées ?
Changer de spécialité et réintégrer les rangs, en étudiant les « bons » sujets, ceux qui ne dérangent personne ?
Demander à nos doctorants de mener leurs recherches avec prudence et circonspection – au cas où – on ne sait jamais –, comme s’ils n’étaient pas déjà assez pénalisés dans leur carrière pour la période d’étude qu’ils ont choisie ?
Ce qui arrive aujourd’hui à notre collègue Paolo Persichetti nous concerne tous : il s’agit d’un acte d’intimidation très grave qui doit tous nous alerter. C’est pourquoi nous pensons qu’il est nécessaire d’exprimer une réponse civile ferme, ainsi que notre indignation contre ce qui s’est passé, en défendant la liberté de la recherche contre toute tentative de bâillonnement.
C’est une bataille pour la civilisation, car nous pensons que l’histoire est une pierre angulaire de la citoyenneté : c’est la raison pour laquelle elle est enseignée, étudiée et doit être racontée. Elle éclaire ce que nous sommes aujourd’hui en nous racontant d’où nous venons.
Même lorsque – parfois – ce récit devient trouble, complexe et gênant.
Nous pensons que la connaissance du passé nous structure en tant qu’individus actifs et autonomes au sein de la société. L’absence de mémoire historique, au contraire, nous rend manipulables et fragiles.
La mise sous séquestre des archives de Paolo Persichetti doit être levée : on n’étouffe pas l’histoire à l’aide d’interventions policières !
Michael Lowy, Elisa Santalena, Angelo D’orsi, Marco Grispigni, Monica Galfré, Giovanni De Luna, Sergio Bianchi, Andrea Fumagalli, Isabelle Sommier, Andrea Fioretti, Marco Clementi, Barbara Biscotti, Antonello De Leo, Steve Wright, Ottone Ovidi, Giuseppe Aragno, PierVittorio Buffa, Francesca Chiarotto, Alessandro Barile, Christophe Mileschi, Elisabetta Sellaroli, Alessandro Stella, Luciano Villani, Ilenia Rossini, Mauro Ronco, Alberto Pantaloni, Guido Celli, Gabriella Piroli, Marie Thirion, Guillaume Guidon, Zapruder, Giacomo Tortorici, Gianremo Armeni, Antonio Lenzi, Sergio Bellavita, Michele Vollaro, Simonetta Stampatore, Laura Nanni, Marco Morra, Giovanna Gioli, Gigi Malabarba, Lorenzo Fazio, Vincenzo Sorella, Stefano Magni, Ugo Maria Tassinari, Associazione Bianca Guidetti Serra,, Chiara Lizzani, Michele D’Ambra, Valentina Lecca, Andrea Bellucci, Maria Grazia Meriggi, Andrea Lecca, Angela sollai, Simone Varriale, Cristina Saggioro, Manuele Gasperini, Davide Steccanella, Antonio Corso, Italo Di Sabato, Vincenzina Mercuri, Danilo Mariscalco, Edoardo Blotto, Paola Rivetti, Edoardo Todaro, Fabrizio Trullu, Barbara Meazzi, Ylenia Francesca Le Mura, Aldo Matzeu, Gennaro Gervasio, Stefano Lucarelli, Emanuela Nanni, Luca Iervolino, Ilona Wsz, Eleonora Forenza, Giorgio Del Vecchio, Stefania Mazzone, Emilio francesco Daniele, Cosimo De Benedictis, Michel Huysseune, Veronica Lacquaniti, Antonello Pizzaleo, Giuseppe Ponsetti, Nicola Erba Erba, Sandro Padula, Valentina Perniciaro, Ettore Bucci, Stefania Croci, Zaccarias Gigli, Andrea Colombo, Davide Ricco, Filippo Gianluca Callegaro, Cristina Cannizzo, Annarita Camerucci, Silvia De Bernardinis, Giacomo Pellegrini, Maria Pia Calemme, Erberto Rebora, Giuseppe Sergi, Walter Niolu, Angelo Tomassetti, Marina Salvatorelli, Marina Penasso, Monica Chiofi, Cristina Bagnato, Riccardo Quintili, Serenella Marini, Antonello Tiddia, Giancarla Rotondi, Salvatore Scuderi, Lidia Nucera, Gianluca Ricciato, Rosa Colella, Daniela Bracco, Elisa Giampieri, Luca Rafanelli, Daniela Valdiserra, Maria Cristina D’Angiolini, Lorenzo Misuraca, Laura Fresu, Melania Del Santo, Diego Ruggero, Alessandra de Luca, Angelica augusta Martini, Pino Casamassima, Francesca Valagussa, Marzocchi Silvana, Ivanka Gasbarrini, Gemma Busana, Susana Roitman, Miki De Benedictis, Giampiero Fabiani, Riccardo Tomassetti, Elena Storti, Cristina Cecchini, Mimmo Sambuco, Cristina Accornero, Nadia Bagni, Tito Faraci, Mattia Gallo, Giovanni Scognamiglio, Isa a, Gaetano Musto, Michela Mari, Gaia Martina Grimaldi, Maria Ricciardi, Stefano di Iorio, Anna Lucia Tomelleri, Tanja Golisano, Francesco Schiro, Chiara Quargnolo, Isa Salis, Sabrina Pusceddu, Linda Bargellini, Francesco costa, Santa D’alio, Lorenzo Alberti, Massimo, Cicchinelli, Claudio Moratto, Claudio Serafini, Laurence Bourguignon, Andrea Mencarelli, Cesare Cavallari, Maria Orsola Chiattella, Franco Barbero, Emilio Bagnoli, Annalisa Corno, Elio Limberti, Romilda De Santis, Diego Pellizzari, Silvia Di Fonzo, Angelo Guerriero, Claudio Vecchiola, Roberto Evangelista, Giulio Petrilli, Roberta Ciribilli, Alberto di Vincenzo, Valentina Magnanti, Angela Di leo, Diana di Lollo, Anna Maria Molinari, Remo Pancelli, Irène Bonnaud, Caterina Marassi, Luigina Dorigo, Stefano Chiesa, Donatella Tirelli, Elena Orsini, Giuseppe Tiano, Paolo Favarin, Riccardo De Angelis, Annalisa Capriotti, Susanna Bernoldi, Claudia Pinelli, Valerio Minnella, Elvira Maria Guenzi, Dario Alserio, Luca Nigro, Mariarosaria La Porta, Sandra Dolente, Giulio De Leo, Umberto Spallotta, Monica Maglia, Nicol Klatt, Dario Furnari, Amelia Zarrella, Maria Enrica Pennello, Andrea Fogli, Giovanni Russo, Christian Di Stefano, Andrea De Vito, Usb Pisa, Marinella Fiume, Stefano du Bois, Antonio Vicente, Carrillo Paños, Sandra Berardi, Maurella Carbone, Diego Robotti, Cristina Campanile, Pierpaolo Ascari, Giovanni Di Leo, Diana Cavaliere, Manuela Anna Margherita Anselmo, Lorenzo Villani, Alfredo Toppi, Giovanni Monti, Alfredo Toppi, Graziano Bergonzini, Massimo Luciani, Marco Mais, Biagio Barbaro Benedetta Rossini, Gaia Dall’Ara, Laura Celano, Riccardo Pagliarini, Vittorio Oratino, Giorgio Trinchero, Michele Armando Carbone, Paolo Ciaravino, Francesco Marchi, Cecilia Gnocchi, Martina Di Pasquale, Manuela Di Giacomo, Maria luisa Renzi, Chiara Cogoni, Francesco Di Dato, Maria Raffaella Naitza, Nico Vox, Valerio Guizzardi, Alessio Caperna, Braulio Rojas, Marco Mucciarelli, Diego D’Amario, Rossana Tidei, Danilo Sidari, Valeria Sanzone, Rosella Roselli, Federica Bordoni, Titti Mazzacane, Monica Quaresima, Stefania Guastella, Antonella Coloru, Maurizia Nichelatti, Gabriele Donato, Maria Zampini, Silvia Longo, Roberto Chiarelli, Marina Grulovic, Germana Pennica, Claudia Zudini, Franck Gaudichaud, Leonardo Casalino, Olivier Kraif, Giovanni Croce, Marco Noris, Giuseppe Leo, Anna Maria Romeo, , Rossana Meloni, Antonio Andreotti, Domenico Tangolo, Nereo Santella, Irene Galuppo, Antonia Cascio, Gabriele Giraudo, Matteo Molinaro, IIaria Bracaglia, Marianna Melis, Filippo Bozzano, Ernesto Nieri, Valentine Pillet, Pier Lisi, Maurizio Milanese, Francesco Giordano, Sergio Falcone, Danilo Maramotti, Francesco Lembo, Isabella Cellerino, Tiberio Crivellaro, Francesco Russo, Noémie de Grenier, Paolo Morpurgo, Elisa Romani, Giovanna Russo, Valeria Forte, Jacopo Ricciardi, Maria Belladonna, Anna Cabras, Barbara Bernardini, Martina Battaglia, Rosario Maria Romeo, Raffaele Di Francia, Catherine Carpentier, Maddalena Tiburzio, Lorenzo Brigida, Luigia De Biasi, Valentina Donati, Brunella Bartolini, Nastasia Tennant, Maria Teresa Catania, Claudio Venza, Nicolas Kìuzik, Silvia Boverini, Costanza Curro’, Christiane Vollaire, Mirco Di Sandro, Stefano Santaniello, Gianfranco Santacaterina, Franco Ventriglia, Enzo Bistoni, Valentina Mitidieri, Tania Maria Preste, Caterina Soprana, Giancarlo Scotoni, David Gigli, Mariangela Sacchi, William Gambetta, Nadia Menengee, Vincenzo Gargano, Maurizio Conte, Beppe Battaglia, Emilio Prosperi, Paola Caruso, Natalina Farris, Giulio Zanchi, Vania Borsetti, Samantha Pescari, Maya Alexandra Seppecher, Olivier Le Trocquer, Giovanni Consorti, Roberto Scorza, Agnese Forte, Carmela Maddalena, Michela Forte, Gianfranco Criscenti, Tiziana Leoni, Alessandra Cecchi, Graziella Mascheroni, Fiorenzo Fedeli, Primo Dorigo, Agata Castello, Lorenzo Mizzi, Uberto Crivelli, Pasquale Piscitelli, Francesca de Rossi, Leonardo Pacetti, Roberto Budini Gattai, Roberta Gaeta, Sandra Lombardi, Cristina Volpe, Salvatore Francesco (detto Totò) Caggese, Emilia Andreou, Patrizia Togna, Christian Drouet, Isabelle Parion Rosa Cristina Lamberti Fresa, Irène Villa, Elena Della Pietra, Nicola Pannelli, Fausto Carotti, Riccardo Silva, Claudia Lai, Emma Contini, Fabrizio Portaluri, Sara Cassai, Giovanna Cilento, Caterina Arfè, Barbara Ragone, Filippo Kalomedis, Leo Donnarumma, Brianna Cordell, Marco Bartoli, Roberta D’andrea, Franco Ferrara, Luigina Creta, Alessandro Pallassini, Marco Pellegrino, Antonio Grilli, Xavier Lambert, Raffaele Cirone, Antonella Beccaria, Labey Marion, M.Elena Tomassini, Paola Di Paolo, Pierre Stambul, Barbara Croce, Vincenzo Pallara, Giacomo Mattiello, Giulia Leone, Mariela Ortiz, Igina Ierardi, Riccardo Rossi, Fernanda Filippi, Sandro Turdo, Stefano Gallo, Claudia Santoro, Daniela Bandini, Silvia Capata, Rosa Maria De Cambourg, Katja Besseghini, Luigi Lorusso, Donatella Quattrone, Francesco Cirillo, Alessia Peca, Luciana Capata, Mirta Mattina, Paola Lanteri, Gian Luca Pittavino, Francesca Tuscano, Alessandro D’Ansembourg, Elisabetta Faffuzzi, Mario Salvatore Gravina, Annalena Di Giovanni, Francesco Comisi, Maria Grazia Prudenzano, Sabina Paladini, Franco Barracchia, Carla Dovini, Viviana Duca, Martina La Stella, Sabatina Ragucci, Valentina Spera, Cinzia Cavini, Mauro Nicolicchia, Annalisa Pannarale, Fabiola Schneider Graziosi, Vittorio Morfino, Ivan Bianchini, Stefano Pasetto, Tania La Tella, Roberto D’Angiò, Giuseppe Pugliese, Daniela Micheli, Claudia De Angelis, Simona Musolino, Stefania Zuccari, Francesca Usala, Rossana Canfarini, Manueka Tedeschi, Francesca Lombardozzi, Daniela Usala, Anella Cerolla, Gabriella Frangiotta, Marianna Rosa, Anna Maria Costa, Luigia Mangili, Claude Pourcher, Maria Mazzarella, Chiara Di Croce, Carla Pastori, Simonetta Facioni, Mariateresa Salvi, Lara Garlaschelli, Lina Sortino, Ivan Romanò, Alberto Prunetti, Gianluca Andreozzi, Carmela Petrone, Giovanna Perretti, Chiara Cerruti, Mariamargherita Scotti, Argia Simone, Marina Bosco, Stefano Fiorin, Loretta Bertolotti, Raoul Villano, Claudio Tribuzi, Michela Mioni, Silvana Miradoli, Valeria Mercandino, Alejandro Roberto Pannocchia, Simone Cristini, Patrick Carre, Mathilde Epifanie, Kevin Kouakou, Coeli Gianluca, Agata Creanza, Marc Damestoy, Sonia Doronzo, Elisabetta Martinazzoli, Fabienne Mergaux, Jean François Wolff, Claudio Edgardo Palombella, Valeria Fiore, Alessia Stelitano, Mario Bucci, Marie Contaux, Antonino Ansaldo Patti, Cavarra Simona, Mario Orabona,Arthur Barbaras, Elena Gaetti, Jean Courtiou, Tea Cernigoi, Ambra Floris, Catherine Bolly, Rosalba Ciranni, Luisa Gaetti, Gerardina Vavala’, Antonio Scalia, Balzer Shimano, Pino Pannuti, Lorenzo Dossi, Armelle Girinon, Clara Mogno, Marco Codebo, Giorgio Casiello, Ornella Beltramme, Daniele Lauri, Flavia Fasano, Danielle Mainfray, Luciana Storri, Rocco Lerose, Patrizia Pisanu, Marco Sozzi Sozzi, Paola di Michele, Luigi Flagellin, Rachele Colella, Maurizio Vito, Teresa Mecca, Giuseppe Giannini, Giulia Pezzella, Umberto Spallotta, Alina Rosini, Rita Fiori, Luigi Casinelli, Clemente Manzo, Eugenia Magnaghi, Maria Mucci, Marco Bersani, Elena Guaraglia, Francesco Paolo Caputo, Antonio Di Giuda, Davide Rompietti, Italo Poma, Diego Graziola, Francesca Figari, Alessandro Lentini, Marco della Rocca, Adeline Picaud, Oriana Cartaregia, Christian Tarting, Olivier Rodier, Florence Rigollet, Jean-Marc Bernard, Modesta Suárez, Danièle Restoin, Serge Martin, Patrice Petit, Henri Raynaud, Francesca Cogliati Dezza, Paolo Boido, Fabia Andreoli, Isabelle Krzywkowski, Germain Coudert, Pascale Carpentier, Francesca Pulice, Francesca Fortuzzi, Lucio Terracciano, Sauthier Françoise, Claude Guillon, Mila Milanesi,Giorgio Frau, Eric Poirier, Michel Mosca, Manuela Stella, Anne Marcadelli, Robert Chassin, Ottone Ovidi, Giulia Betti, Dominique Rebeix, Alessandra Marigo, Delphine Moritz, Chiara Birattari, Christine Maynard, Gabriella Spada, Daniela Antonelli, Marie Christine Laporte, Sabrina Lanzi, Jean-Pierre Olivier, Auzou Martine, Patrizia Cuonzo, Anna Borini, Gian Luigi Longo, Francesco Montanari, Christian Larose, Andrea Bonzi, Marco Gabellini, Jean-Marie Viguie, Luigi Rotili, Anna Cepollaro, Serena Rampietti, Franco Piersanti, Carlo Premoselli, Giancarlo Calidori, Anna Di Vittorio, Gianluca Collini, Marco F. Martirava, Giovanni Savino, Guido Stori, Ivano Bisson, Marina Mini, Angelo Caforio, Michele Mikis Mavropulos, Giovanni Spreafico, Andrea Benati, Livio Milan, Pietro Terzan, Umberto Passigatti, Eva Mantelli, Pier Paolo Lisi, Flavio Guidi, Mimì Burzo, Giorgia Rocca, Chiara Siano, Fausto Giudice, Gioele Giuseppe Talami, Boudjemaa Sedira, Nicola Guarneri, Oberdam Cappa, Mario Macaluso, Luca Donadelli, AnnaMaria Alfonsi, Nicola Lofoco, Giancarlo Mammarella, Jaime Vigliano Girando, Michele Pontolillo, Fabia Andreoli, Sisto Bragalone, Stefano Bonacina, Stefano Di mitrio, Rita Prastigo Rita Prastigo