Ore 6.30: gli uccelli già cinguettano fuori. Sono scomparse le cornacchie, mi domando perché. Apro la finestra. Un’ape proveniente dalle arnie del carcere è venuta a morire sul davanzale. Il loro ciclo vitale è di soli 60 giorni. Una ventina trascorsi allo stato larvale nella celletta dove la regina ha depositato le uova, i successivi 40 vissuti da operaia, con mansioni diverse. Prima la pulizia delle celle, poi la produzione di cera, quindi accudendo la regina madre, infine occupandosi dell’interno dell’arnia dove c’è sempre qualcosa da fare come produrre propoli per saldare ermeticamente gli spifferi d’aria o mummificare i corpi estranei. Solo dopo questa dura corvee viene finalmente il diritto all’agognata avventura: le missioni esterne. Scorazzare tra prati e fiori, raccogliere polline e nettare, produrre miele, avvistare altri campi, partire in avanscoperta, scovare nuovi ripari per gli sciami che
decidono d’andar via quando una nuova regina vuole fondare famiglia altrove. E quando arriva l’ora fatale dopo tanto lavoro, prima che la stanchezza vinca completamente, c’è il viaggio finale, l’ultimo volo, quello funerario. Nata in una cella la povera ape non poteva che trovare il proprio letto di morte in un’altra.
La colazione è già sul ripiano marrone appeso al muro. Sollevo il panno che ricopre lo scaldalatte e m’accorgo che lo yogurt non è venuto. Ieri sera ho atteso troppo e il latte deve aver perso la giusta temperatura. Pazienza. Con i biscotti è buono lo stesso.
Ascolto i notiziari del mattino rigorosamente rete per rete, poi le rassegne stampa televisive e radiofoniche. Alla fine spengo tutto. Di nuovo silenzio. La sezione dorme ancora. Che pace! È il momento migliore della giornata. Passa il carrello dell’infermeria. Come sempre cigola troppo. C’è chi aspetta la terapia. Più tardi arriva il latte caldo dell’amministrazione. Solita trattativa per averne di più, se avanza.
Sono le otto e trenta, da un po’ sto leggendo l’arretrato di giornali che mi sovrasta. Già sono partito con le forbicine chicco che non tagliano nemmeno la carta. Conservo alcuni articoli di “terza pagina”. La guardia apre le celle, c’è il lavorante che raccoglie la spazzatura. Non c’è ancora la posta del giorno prima (in questo carcere tutto viene consegnato con almeno 24-48 ore di ritardo).
Sono quasi le 9. È il momento di prepararsi per scendere all’aria. Oggi ci tocca il campo di calcio. Finalmente usciamo. Solita caciara. Battute, risate, occhi gonfi, visi assonnati. Il terreno è un po’ pesante. Ieri ha diluviato. Incontro Luciano e passeggiamo parlando per una ventina di minuti, quindi incomincio a fare la mia corsa. È dura, ma lentamente arrivo a scaldarmi e trovo finalmente il fiato. Concludo con un paio di scatti da una estremità all’altra del campo. Smetto. Recupero l’ossigeno e mi avvicino ad un gruppo che fa ginnastica. Mi aggrego. Facciamo gli addominali. Serie da venti. Nessun problema. Poi un po’ di flessioni. Qualche problema. Si avvicina il russo.
– Iuo fare luotta libera. Io insegnare te luotta.
– Vabbé, se proprio ci tieni!
Come faccio a dirgli di no? Rischio di sembrare scortese. Poi con quell’accento meglio assecondare. Così fino alla dieci e mezza scopro la differenza tra greco-romana e libera. Mi spiega alcune prese. In genere con Milseu mi capita di fare scherma pugilistica. Quella la conosco bene. Nonostante gli anni passati ho conservato sufficiente dimestichezza.
Salgo in sezione giusto in tempo per la doccia. C’è diversa gente. Solite chiacchiere. Arriva Valerio. Ora ha il pizzetto. Era un po’ che non lo vedevo. È di Sezze romano, “l’ultimo degli Angioini” – racconta. Ha una buona proprietà di linguaggio. Sicuramente proviene da una famiglia benestante. Deve aver frequentato il liceo da ragazzo. Forse ha commesso un reato in famiglia. Un parente ucciso probabilmente. Qualcuno dice il padre. Sta in cella con Pino, carcerato da undici anni. Tutti e due con problemi psichiatrici. Pino percepisce una pensione d’invalidità perché schizofrenico. Ha sbudellato un vicino durante una lite sotto l’ingresso della sua casa popolare a Rebibbia. L’altro giorno aveva il ballo di san vito alle mani.
– Cos’hai Pino?
– Il prete mi ha detto che è morta mia moglie. Sarà vero?
– E quando te lo ha detto?
– Ieri, ma non è la prima volta. Che dici, sarà vero?
– Beh, se non è la prima volta, dev’essere vero.
– Anche se eravamo divorziati, mi dispiace. Era la madre dei miei figli.
Pino pare completamente perso. Di lui non si cura nessuno. Ho scritto a qualche associazione, senza risultati. Quando uscirà a fine pena, tra non molto, non avrà nemmeno un letto dove andare a dormire. La famiglia l’ha abbandonato perché lui aveva abbandonato loro. Pino è incapace di qualsiasi cosa. Non sa leggere, non sa parlare. Immagino la scena della sua scarcerazione. Immobile davanti al portone col sacco di plastica nero in mano. Si guarda davanti senza sapere cosa fare, dove andare. Cercherà di raggiungere l’ufficio postale dove sono depositate alcune migliaia di euro. Gli arretrati della sua pensione d’invalidità. Ogni tanto viene e mi chiede:
– Ma sei sicuro che quando esco ci saranno i soldi della pensione?
E magari se li farà pure rubare da qualche altro disperato. Dove andrà Pino quel giorno? Sotto quale ponte? Nella hall di quale stazione? Quanto resterà vivo, Pino?
– Nel 1576 a Sezze sono sbarcati i marziani!
Mi giro per non mostrare che sto ridendo. Valerio adesso parte con una delle sue. Tempo fa sosteneva che sotto la griglia che raccoglie gli scarichi della doccia c’erano le trote.
– Le trote?
– Si, le trote. Non le senti? Ascolta.
E noi ascoltavamo protesi con l’orecchio.
– Beh, allora se le magnamo! E mica le lasciamo qui! Aspetta che mo’ vado a pijà la canna…
Il periodo ittico ora pare terminato. Siamo all’era astrale.
– Una volta ho visto un’astronave. I primi marziani sono scesi a Sezze, poi è arrivato Nakamoto, lo scienziato giapponese con lo skateboard e ha salvato il mondo. Ha creato l’istituto scientifico spaziale. Così a Sezze c’è l’università.
In sezione incrocio Cheng, detto “Liso flitto” perché cucina un ottimo riso cantonese e perché non conosce la erre. Sembra uscito dai fumetti. Parla proprio come fanno i cinesi con i dentoni nelle nuvolette dei cartoni animati.
Liso flitto ride sempre. Ma anche quando sembra allegro è incazzato. Domenica al passeggio dell’una mi ha raccontato la sua ultima lite. C’è voluto un po’ per decifrare, ma alla fine ho capito. Gli hanno messo in cella un detenuto che pare sia omosessuale. Si dice che l’abbiano preso col sorcio in bocca… ma in carcere si dice sempre troppo.
Liso flitto allora è molto incazzato con la Direzione per quello che ritiene un affronto alla sua onorabilità.
– Io non volele flocio in cella. Mio paese non succede questo. Flocio con flocio, non mischia. Io denunciale se lolo tenele flocio in mia cella.
– Aspetta Cheng, non è mica così semplice. Non puoi essere razzista. Non puoi denunciare uno perché è omosessuale. Lui avrà anche il diritto di essere frocio.
– No, non in mia cella.
– Scusa Cheng, mica ti ha messo le mani addosso. Si comporta bene, no? È un bravo ragazzo?
– Cosa? Lui toccale mio culo? Se lui provale, lui molto. Io non potele dolmile la notte con flocio. Io dovele gualdale semple. Io pallato con bligadiele. Io detto: mio palese altla cultula. Divelso da Italia. Flocio con flocio, altlo con altlo. Non mischia. Io volele mia cultula lispettata.
– E cosa ti ha risposto?
– Lolo stlonzi, plendele pelilculo.
– Pule lolo floci? Ho detto, cercando una battuta non so quanto felice.
– Io salito cella, preso sgabello e lotto testa.
Quindici giorni di cella di punizione e Cheng è ritornato in sezione, dopo aver risolto il problema del cocellante.
Ps: Liso flitto è uscito con l’indulto del 2006 ed è tornato dalla famiglia. Pino terminata la pena ha trovato ad aspettarlo fuori dalla porta del carcere un operatore volontario (sollecitato dai suoi compagni detenuti) che lo ha accompagnato in un centro di accoglienza dove è stato momentaneamente ospitato. Preso in cura dal Centro di igiene mentale ha avuto il tempo di una piccola disavventura. Uscito dal centro di accoglienza dopo la sua prima notte di libertà, si è incamminato per le strade del centro storico di Viterbo dove ha perso l’orientamento fino a perdersi. Nel panico più assoluto e timoroso di avvincinarsi a chiunque per chiedere aiuto, ha passato la notte sulla panchina di un giardino pubblico. All’alba si è nuovamente incamminato riuscendo finalmente a trovare la sede del Cim. Ora vive in una comunità di accoglienza. Pare stia bene. L’ultima volta che ho avuto notizie di Valerio era ancora al Mammagialla.
Dopo soli 13 minuti il primo goal, con un raddoppio dopo altri 14. Robinho ubriaca l’intera difesa italiana, dribla tutto quello che gli si para davanti, fa passare la palla tra le orecchie degli azzurri e infila Buffon. Il Brasile stravince a ritmo di samba per 2 a 0 contro Frattini e la schiera di politicanti che volevano giocare col lutto al braccio.
nto il relatore del tribunale federale supremo brasiliano non accoglie la richiesta italiana di annullamento preliminare dell’asilo politico concesso a Battisti. Ora il ministro della Giustizia Tarso Gendro e la difesa di Battisti hanno 10 giorni per deporre delle contro memorie in risposta a quella depositata dallo Stato italiano.

gli interrogatori di persone arrestate nell’ambito delle indagini sul terrorismo sono giunte al sindacato. Il sindacato dei lavoratori della polizia, pur condividendo il convincimento di quanti ritengono ingiustificabili tali pratiche, esprime la propria preoccupazione per l’orientamento delle inchieste in corso che tendono alla individuazione di responsabilità di singoli appartenenti alle forze dell’ordine, non tenendo conto del clima che ha suscitato tali episodi, e di cui molti devono sentirsi direttamente o indirettamente responsabili.
(il Sindacato Autonomo di Polizia): ” Non ci sono state torture ai terroristi arrestati. Se qualche episodio di violenza fosse avvenuto, sarebbe un fatto isolato. I responsabili, una volta accertata la loro colpa, dovrebbero essere puniti secondo la legge. Nella polizia non ci sono aguzzini o squadre speciali, ma solo persone normali e padri di famiglia. […]
inequivocabilmente intitolato, Stronzate. Vacue scemenze infestano i dibattiti televisivi, le pagine dei giornali, soprattutto la politica, per dimostrarlo Frankfurt ricorre a dotte riflessioni su Wittgenstein, Pound, Agostino. Molto più modestamente (siamo in Italia e di più non è possibile ricavare), a noi tocca fare i conti con Borghezio (il ciccione nazista che gli immigrati di Colonia hanno rispedito a casa a calci nel sedere), Gasparri (quello col pensiero flatulescente), Carlucci (quella del Festivalbar), Bertolini (chi è?).
quelli che lavorano, non è certo una gentile concessione dello Stato, un regalo o un premio del Padrone, ma il dovuto che il lavoratore vede ritirare ogni mese dal proprio stipendio, debitamente rivalutato secondo indici stabiliti per legge. Si chiama sistema per “ripartizione”. È roba sua insomma, prestata alle casse previdenziali che in questo modo sostengono quel po’ di welfare ancora in piedi. Tuttavia anche le polemiche più inutili e strumentali possono servire. Questa vicenda apre uno scorcio sul mondo opaco delle carceri, sulla fragilità dei diritti dei detenuti che lavorano. La disavventura accaduta a Curcio non è un fatto isolato. Il carcere ha bisogno dei suoi detenuti perché sia autosufficiente e si riproduca ogni giorno, affinché le aree comuni della prigione, corridoi, uffici, passeggi, laboratori, matricola, infermeria, caserma, siano sempre pulite e le cucine sfornino una colazione e due pasti al dì e i guasti elettrici, idraulici vengano subito riparati. Negli istituti di pena ci sono anche officine, tipografie, falegnamerie, rilegatorie, che servono a fabbricare suppellettili per altre carceri, blindati, cancelli, mobilio per i tribunali e i ministeri, registri, formulari per gli uffici. Le prigioni non potrebbero funzionare senza i carcerati. Pochi lo sanno, i più non arrivano nemmeno ad immaginarlo, ma il carcere vive del lavoro dei suoi ospiti rinchiusi. Non potrebbe farne a meno. Diventerebbe ancora più antieconomico se dovessero essere assunti degli esterni, senza contare i problemi per la sicurezza. Il miglior modo per metter a terra un carcere, infatti, è lo sciopero dei «lavoranti». Impresa ardua, riuscita solo in pochi casi. Ma quando i lavoranti si fermano, la direzione negozia subito. Proprio per questo il lavoro è una risorsa strategica del governo carcerario, gestito con oculato clientelismo e paternalismo. Non solo il lavoro dei detenuti è sotto 






evasione dal fine pena mai, la chambre d’accusation della corte d’appello di Versailles ha deciso ieri la sua scarcerazione per ragioni di salute. L’ex militante delle Br da oltre un decennio rifugiata in Francia grazie alla protezione della dottrina Mitterrand è stata rimessa in libertà sotto controllo giudiziario.