Antigone e altre associazioni raccolgono i reclami dei detenuti
Alfredo Imbellone
Liberazione 3 gennaio 2010 – speciale Carcere e castigo
Nell’estate del 2009 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia a risarcire Izet Sulejmanovic per essere stato costretto, durante la sua detenzione nel carcere romano di Rebibbia, a vivere in uno «spazio personale» inferiore ai tre metri quadrati. La condanna ha riguardato solo i cinque mesi di detenzione in cui si sono potute riscontrare tali condizioni di sovraffollamento e il risarcimento è stato quantificato in mille euro.
Per la prima volta in Italia le condizioni di invivibilità delle carceri determinate dal sovraffollamento sono state definite da un organismo giurisdizionale di livello internazionale. È un precedente significativo che, grazie a un intervento europeo, rompe l’immobilismo italiano attorno alla violazione quotidiana del dettato costituzionale contenuto nell’articolo 27 che stabilisce la presunzione d’innocenza fino a condanna definitiva, l’umanità e il fine rieducativo delle pene e l’inammissibilità della condanna a morte.
Grazie a una definizione di standard di vivibilità da parte del Comitato europeo per la prevenzione della tortura, la Corte ha potuto individuare nelle condizioni di sovraffollamento un «trattamento inumano e degradante» che viola l’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. La vivibilità minima si misura in termini di spazi assegnati a ogni detenuto, tempo quotidiano che si può trascorrere fuori dalla cella, accesso alla luce e all’aria, privacy per quando si utilizza il wc.
E’ proprio il carattere “oggettivo e misurabile” della sentenza Sulemamovic che la rende un evento potenzialmente dirompente nei confronti delle disastrose condizioni del sistema penitenziario italiano. Non a caso la sentenza ha visto la strenua opposizione in seno alla Corte del giudice italiano Vladimiro Zagrebelsky, contrario a qualsiasi automatismo nel riconoscimento delle condizioni di sovraffollamento come trattamenti inumani e degradanti. In effetti se i detenuti che vivono in queste condizioni continueranno a seguire l’esempio di Sulemamovic, il governo italiano si potrebbe trovare costretto a risarcire decine di migliaia di detenuti. Gli standard di vivibilità definiti a livello europeo si avvicinano infatti molto alla cosiddetta capienza “regolamentare” delle nostre carceri (circa 43.000 posti), o al limite alla capienza “da metro quadrato” calcolata dalla Direzione generale dei Beni e dei Servizi del ministero (circa 52.000 posti). In ogni caso si è ben al di sotto delle attuali presenze (circa 67.000), superiori persino alla cosiddetta capienza “tollerabile” (circa 64.000 posti) stabilita con decreto ministeriale aumentando – sic et simpliciter – i posti regolamentari del 47%.
La significatività della sentenza Sulemamovic non è sfuggita alle organizzazioni che si muovono in difesa dei diritti delle persone detenute. Ristretti Orizzonti mette a disposizione tramite il sito Internet, www.ristretti.it, materiali utili per una documentazione approfondita sulla vicenda; il Comitato radicale per la giustizia Piero Calamandrei ha predisposto un modello di ricorso che ciascun detenuto può compilare e inviare direttamente alla Corte. L’intervento più significativo, tuttavia, sembra essere quello messo in campo dall’associazione Antigone che da settembre 2009 ha messo a disposizione il proprio Difensore civico in una campagna per sostenere i detenuti che vogliono andare davanti ai giudici europei per denunciare condizioni di invivibilità in cui si trovano costretti.
Parlando con Simona Filippi, avvocato di Antigone, abbiamo appreso che a oggi sono più di mille i detenuti che si sono rivolti all’associazione per chiedere aiuto nella presentazione del ricorso. Per supportare i detenuti Antigone ha costituito una rete nazionale di volontari, prevalentemente avvocati, impegnati nella presentazione dei ricorsi. Sinora si sono rivolti a questa iniziativa singoli detenuti, così come gruppi. Dal carcere di Saluzzo hanno scritto ad Antigone: «Siamo in due in cella da uno. […] un passeggio di 25 persone attualmente ci andiamo in 56 persone, in due salette che sono utilizzate per socializzare ci andiamo più di 40 persone e pensate che sono state create per 25 persone. Alle finestre ci sono delle doppie griglie che ci causano dei problemi di vista perché non possiamo vedere fuori. [….]».
Non ci sono termini di scadenza per la presentazione del ricorso laddove la persona detenuta si trova a vivere in condizioni di sovraffollamento. I termini per presentare il ricorso davanti alla Corte europea, infatti, scadono dopo sei mesi dalla cessazione della causa che determina la violazione del diritto. In questo caso, i sei mesi iniziano a decorrere da quando si viene trasferiti in un altro istituto o da quando si esce dal carcere per fine pena. I riferimenti per chi fosse interessato a presentare il ricorso sono: Difensore civico – Associazione Antigone, Via Principe Eugenio 31, 00185 Roma, difensorecivico@associazioneantigone.it.
Link
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Toffoli, che in qualità di avvocato generale dell’Unione era già intervenuto nel procedimento, chiamato a fornire un parere sull’eccezione di incostituzionalità sollevata contro la concessione dell’asilo politico a Battisti, aveva difeso la correttezza della decisione presa dal ministro della Giustizia, Tarso Genro. Per evitare conflitti d’interesse ha preferito appellarsi alla clausola di coscienza e non prendere parte al voto. Un gesto che smentisce clamorosamente tutti quelli che avevano accusato Lula di averlo designato per far pendere gli equilibri del Tribunale a favore di Battisti. Nei giorni scorsi era persino circolata voce su un possibile ricorso contro la sua nomina da parte del governo italiano che per voce del proprio legale aveva chiesto a Toffoli di non presenziare al voto. Intervento che ha provocato la ferma reazione del ministro Genro contro l’atteggiamento irrispettoso della sovranità interna brasiliana. Fin dall’inizio l’Italia ha interferito in modo pesante sulla giustizia brasiliana. Un proconsole del governo, il procuratore Italo Ormanni, è stato inviato sul posto per manovrare nei corridoi del Tribunale e influenzare l’esito finale del voto. In realtà Toffoli avrebbe potuto votare. Non esistevano ostacoli giuridici, anzi i giuristi avevano elencato diversi precedenti. Soprattutto avrebbe potuto esprimersi sulla procedura di estradizione, nella quale non era mai intervenuto. Il Tribunale, infatti, con una scelta senza precedenti, e che molti hanno considerato quanto mai barocca, ha deciso di accorpare le due procedure: quella sulla costituzionalità della legge che attribuisce al ministro della Giustizia il potere di concedere lo status di rifugiato; e l’altra, sulla richiesta di estradizione avanzata dall’Italia. Il presidente Gilmar Mendes ha manovrato l’intera vicenda procedurale fornendo prova di notevole fantasia e creatività, al punto che nei manuali di diritto verrà ricordato come il fondatore del surrealismo giuridico brasiliano.
Dias Toffoli, giudice appena nominato al Supremo Tribunal Federal di Brasilia, ha formalmente annunciato che non prenderà parte alle votazioni che si terranno oggi e che decideranno se estradare o no Cesare Battisti. Come avvocato generale di stato si era espresso a favore della concessione di status di rifugiato politico concesso dal governo brasiliano; per questo precedente non voterà.




