Passione sempre verde quella della delazione, incentivata dall’ideologia legalitaria e manettara. A Grugliasco, comune alle porte di Torino, l’amministrazione comunale ha creato delle ronde, arruolando carabinieri e vigili del fuoco in congedo, scout e semplici volontari per esercitare il «controllo di comunità», così lo hanno chiamato. Strade pattugliate, verifica delle uscite ingiustificate dei cittadini durante le festività pasquali. Su facebook sono apparse diverse pagine dedicate alla denuncia di chi violerebbe le prescrizioni previste nei decreti governativi sul coronavirus. Un esercito di nuovi vigili da balcone e sbirri da finestra hanno iniziato a postare fotografie, diffondere video, lanciare insulti. Di questa corsa alla delazione che sembra esser divenuta un irresistibile passatempo che procura immensa gioia, scrive oggi sull’Avvenire Umberto Folena:
«Tuttavia, tra sentinella e avvoltoio la differenza può essere sottile. La sentinella sta in guardia per avvisare di un pericolo imminente. La sua soddisfazione consiste nel rendersi utile alla comunità e il suo ruolo è ufficialmente riconosciuto. L’avvoltoio è un volontario spontaneo che gode e basta. Appostato alla finestra o al balcone, o alla ringhiera del suo bel giardinetto, apostrofa i passanti, li fotografa e pubblica le loro immagine, consentendo ai sodali di vomitare loro addosso insulti a profusione. Che il passante abbia tutto il diritto di passare o stia contravvenendo alle norme, nulla importa. Così accade che la farmacista di Salerno, di ritorno a casa dopo un turno lungo e pericoloso, venga centrata dall’alto da una secchiata d’acqua: “Dove vai, balorda?”.
La moderna delazione ha una tradizione antica. Il delator è figura ampiamente citata dagli autori latini, e non benevolmente. Spesso il delatore soffia la sua spiata per ricavarne un vantaggio personale, in denaro o cariche pubbliche. Il delatore dei regimi autoritari, rigorosamente protetto dall’anonimato, in genere è ricompensato in denaro, ma la sua “ricompensa” può essere del tutto immateriale: la gioia di far del male a qualcuno, se lo meriti o no.
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Poco ci consoli sapere che il fenomeno è mondiale. A Londra, il questore Anthony Stansfeld ha pregato la popolazione di fare la spia solo per casi palesi ed eclatanti, e a intrattenere piuttosto rapporti amichevoli e collaborativi con i vicini. Nel Northamptonshire, la polizia ha ammesso di essere bombardata da dozzine di chiamate di chi vorrebbe far arrestare il vicino che si fa una corsetta o un barbecue in giardino. A Los Angeles, si segnala una valanga di “telefonate bizzarre”, come quella che chiedeva di arrestare due persone alla fermata del bus: una aveva tossito. La delazione a volte è incoraggiata: in Nuova Zelanda, il sito della polizia ha ricevuto così tante segnalazioni da andare in crash…».
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Intanto piccole bande armate crescono nelle nostre province sotto le mentite spoglie delle ronde. Strutture che, di fatto, mettono in discussione il monopolio della forza legittima detenuto dallo Stato. Per tacitare le polemiche, il Viminale ha reso noto il regolamento d’attuazione che dovrà disciplinare l’iscrizione delle «ronde» nei registri prefettizi, una volta approvato dal Parlamento in via definitiva il disegno di legge sulla sicurezza. «Le associazioni dei volontari non potranno utilizzare simboli e nomi che riportano a partiti politici». Proibito anche l’uso delle armi e di altri strumenti di coercizione come corde o manette, manganelli, spray urticanti e «qualsiasi oggetto atto a offendere». Le persone con precedenti penali non potranno far parte delle squadre di volontari, al contrario sarà favorito il reclutamento di guardie giurate ed ex appartenenti alle forze dell’ordine. Secondo il ministro dell’Interno Maroni, questo regolamento metterà «fuorilegge» tutti quei gruppi, come sono appunto le «ronde nere», che mirano a sostituirsi alle forze dell’ordine. I componenti delle squadre, composte di un minimo di tre a un massimo di cinque persone, «dovranno limitarsi alla segnalazione» delle situazioni di pericolo e dunque saranno dotati di telefonini oppure radiotrasmittenti collegate direttamente con le centrali operative. Insomma niente intervento diretto «sia esso per l’identificazione o il controllo delle persone». Il regolamento, tuttavia, non risolve un problema di fondo: in caso di «flagranza di reato» l’articolo 383 del codice di procedura penale autorizza anche i privati a procedere all’arresto. Forti di questa norma, le ronde potranno comunque intervenire ed è evidente la differenza tra l’eventuale soccorso, del tutto casuale, di un cittadino che viene a trovarsi di fronte ad un evento-reato, e quello di squadre di volontari che girano appositamente per le strade. Per il segretario dell’Associazione nazionale funzionari di polizia Enzo Marco Letizia, è un «azzardo» consentire ai possessori di porto d’arma di partecipare alle ronde. «Secondo indiscrezioni – osserva Letizia – il regolamento attuativo consente l’iscrizione nei registri prefettizi anche a chi detiene o abbia un porto d’arma. Il legislatore azzarda davvero troppo ad avere fiducia nei possessori di un’arma, poiché forte sarà la tentazione, a cui i più deboli non sapranno resistere, di portarsi l’arma nel controllare il territorio». Nelle case degli italiani, ricorda sempre il segretario dell’Anfp, «ci sono circa 10 milioni di armi: siamo molto preoccupati, anche perché le norme sulle verifiche psichiche dei detentori di un’arma da fuoco sono sostanzialmente fumose e inefficaci, come dimostra la storia italiana degli omicidi e delle stragi della follia». Altro aspetto inquietante è quello del finanziamento. Il regolamento vieta elargizioni pubbliche, il che non rassicura affatto perché le ronde potrebbero finire al soldo di consorzi creati da commercianti e imprenditori locali, o di potentati e mafie del posto. Ancora peggio, come hanno ricordato i sindacati di polizia, «il vero rischio è legittimare azioni incontrollabili di associazioni mafiose e camorristiche così come quelle di cittadini esaltati». Alle ronde nere ha già risposto la brigata ebraica, attraverso il responsabile delle politiche giovanili del Pri Vito Kahlun, pronta con le controronde. Creare «strutture unitarie di vigilanza operaia e popolare sui territori» per contrastare i nascenti gruppi paramilitari della destra, è invece la proposta lanciata da Marco Ferrando del Pcl. Tira un’aria da repubblica di Weimar.
accolta nell’indifferenza generale, appena poche righe nella cronaca locale. Loyos era quello che i giornali hanno etichettato come il “biondino”. Spersonalizzato e mostrificato insieme a Karl Racs, anche lui subito soprannominato “faccia da pugile”. I due, secondo la questura e la procura, avevano aggredito una coppia di fidanzatini minorenni nel parco della Caffarella, stuprando brutalmente la fanciulla. In realtà i responsabili di quello scempio erano altri, a loro volta cittadini romeni che nei giorni precedenti avevano commesso diverse aggressioni contro coppiette nella stessa zona, seminando una quantità incredibile d’indizi. Un’indagine più accorta avrebbe trovato subito quelle tracce e scoperto agevolmente i veri colpevoli. Invece le cose sono andate diversamente. La politica ha interferito pesantemente nell’inchiesta. Un ennesimo decreto sicurezza è stato varato dopo una violenta campagna allarmistica. Servivano subito due colpevoli. Loyos e Racs erano stati fotosegnalati dalla polizia dopo un altro stupro, avvenuto il 21 gennaio precedente, in un luogo poco distante dal loro accampamento di fortuna. Insomma erano i capri espiatori perfetti. L’adolescente aggredita non mise molto a indicare il viso del biondino. Seguendo una classica tecnica a imbuto gli erano state mostrate un numero limitato di foto. Nonostante ciò aveva designato un’altra persona. Solo in seconda battuta “riconosce” Loyos. La polizia lo trova subito. Erano le 18 circa del 17 febbraio. 8 ore dopo (alle 2 di notte) confessa davanti al pm: «L’abbiamo violentata per sfregio…». Chiama in causa anche l’amico Racs. Pochi giorni dopo ritratta, spiegando di aver subito violente percosse. Nessuno lo ascolta. In questura sono occupati a smaltire la sbornia della conferenza stampa trionfale dei giorni precedenti. I giornali dipingono agiografici ritratti. Il questore non sta nella pelle: «Un lavoro di pura investigazione, d’intuito e senza l’aiuto di supporti tecnici. Da veri poliziotti». Gli fa eco il capo della Mobile Vittorio Rizzi: «Finalmente non sarò più il nipote di Vincenzo Parisi» (capo della polizia dal 1987 al 1994).